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Scorie radioattive trasferite da Fukushima a Hokkaido, scoppia la polemica dei residenti

Le scorie, rifiuti contenenti alte concentrazioni di policlorobifenili (PCB), sostanze pericolose considerate cancerogene, erano stipate in depositi poco distanti dall’impianto di Fukushima, subendo pertanto una ulteriore contaminazione. Ora il governo vuole smaltirle ma l’unico impianto disposto a svolgere il lavoro si trovava a Muroran

Roberto Zoncadi Roberto Zonca   
Foto Shutterstock
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Fukushima, anche se stavolta per cause indirette, continua a terrorizzare il mondo. Il governo ha infatti autorizzato il trasferimento di ingenti quantità di rifiuti altamente tossici - depositati nelle vicinanze della centrale nucleare di Fukushima, e che dal disastro del 16 marzo 2011 non potevano esser più gestiti per ovvi motivi di sicurezza -, così da smaltirli in un impianto situato a Muroran, una città della grande isola settentrionale di Hokkaido. Immediate le proteste dei residenti, che ancora una volta si sentono traditi dalle istituzioni. Le scorie, infatti, non soltanto sono tossiche, e contengono alte concentrazioni di policlrobifenili (Pcb), ma sono anche fortemente radioattive.

La produzione di Pcb (sostanze fortemente cancerogene) è stata vietata in Giappone nel 1972. Anche la Convenzione di Stoccolma sugli inquinanti organici persistenti vieta la produzione di Pcb. Ma questi scarti già esistono, e vanno smaltiti. La popolazione non avrebbe avuto nulla da obiettare, non fosse per il fatto che quei rifiuti, ora, sono ancor più pericolosi. Il governo dal canto suo si è limitato a dire che quel carico era già stato assegnato all’impianto di Muroran, ma era rimasto bloccato a seguito del disastro nucleare avvenuto oltre 11 anni fa. Nessuno spazio alla trattativa dunque, il governo deve smaltire quelle scorie e lo farà con o senza il benestare della popolazione. Uno dei leader dei cittadini non vuole però arrendersi e, con altri residenti, ha iniziato una protesta fuori dall’impianto di Muroran: “Se accetteremo queste scorie sarà la fine, e il governo si riterrà libero di fare ciò che vuole, ancora e ancora”.

Nel mentre, sulla questione strettamente correlata al disastro della centrale di Fukushima, l’Autorità per la regolazione del nucleare del Giappone ha confermato il parere provvisorio annunciato a maggio 2021: la Tepco, società che gestisce la centrale di Fukushima, potrà sversare in mare il liquido usato per raffreddare i noccioli fusi dei reattori della centrale di Dai-Chi, previo trattamento di decontaminazione. 1,3 milioni di tonnellate di acqua altamente contaminata, nonostante le dichiarazioni allarmanti della comunità scientifica internazionale, finiranno in mare perché classificate "sicure". L’ultimo parere positivo, supportato dalla stessa Tepco, è arrivato lo scorso 22 luglio e darebbe garanzie per la salute umana come anche per l’ambiente.

Ora la società dovrà ottenere due semplici ok dalla prefettura di Fukushima e dalle città di Okuma e Futaba, superato questo scoglio si potrà procedere con il rilascio in mare dell’acqua contaminata, presumibilmente nella primavera del 2023. Il rilascio nell’oceano Pacifico, e ancor prima il processo di purificazione attraverso il procedimento chiamato Alps (incapace di rimuovere però il trizio - isotopo dell’idrogeno) sarà monitorato dall’AIEA, l’Agenzia internazionale per l’energia atomica, che con insolito entusiasmo ha già approvato il piano di Tepco.

L’acqua verrà convogliata tramite tunnel sottomarino che sbuca a circa 1 chilometro dalla costa, nell’Oceano Pacifico, e la cosa non tranquillizza di certo i Paesi vicini. La Corea del Sud, come anche la Cina accusano il Giappone di “atteggiamenti irresponsabili” e temono ripercussioni sull’economia e in particolar modo sul settore ittico.

A cura di Roberto Zonca

Roberto Zoncadi Roberto Zonca   
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