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San Giuseppe proposto a modello di vita sociale, Francesco chiede lavoro per tutti

Nella Lettera apostolica “Con cuore di padre” il papa aggiorna la figura del patrono della Chiesa universale e con un decreto indice uno speciale Anno di san Giuseppe fino a dicembre 2021.

Carlo Di Ciccodi Carlo Di Cicco   
San Giuseppe proposto a modello di vita sociale, Francesco chiede lavoro per tutti

“Nessun giovane, nessuna persona, nessuna famiglia senza lavoro!”. Lo chiede papa Francesco in uno dei passaggi più significativi di una lunga Lettera apostolica per i 150 anni da quando san Giuseppe fu proclamato patrono della Chiesa universale. Una circostanza che offre al Papa l’occasione di disegnare – sull’esempio del santo che ha amato e protetto Maria e Gesù con cuore di padre - un modello di nuova paternità per un mondo sconvolto dalla pandemia e alle prese con gravissime urgenze economiche e sociali. Con la Lettera apostolica, pubblicata ieri, viene diffuso anche un Decreto con cui si indice un Anno di san Giuseppe fino all’8 dicembre del 2021 durante il quale saranno concesse ai fedeli speciali indulgenze.

“Tutti i fedeli – afferma il Decreto della Penitenzieria apostolica vaticana - avranno così la possibilità di impegnarsi, con preghiere e buone opere, per ottenere con l’aiuto di San Giuseppe, capo della celeste Famiglia di Nazareth, conforto e sollievo dalle gravi tribolazioni umane e sociali che oggi attanagliano il mondo contemporaneo”. La Lettera apostolica “Patris Corde” (Con cuore di padre) spiega i motivi di questa scelta di papa Francesco, convinto che l’attuale stagione del mondo così travagliata abbia bisogno di un modello nuovo di padre. A proposito di san Giuseppe, sempre tanto venerato nella storia cristiana, Francesco vuole condividere “alcune riflessioni personali su questa straordinaria figura, tanto vicina alla condizione umana di ciascuno di noi. Tale desiderio è cresciuto durante questi mesi di pandemia, in cui possiamo sperimentare, in mezzo alla crisi che ci sta colpendo, che «le nostre vite sono tessute e sostenute da persone comuni”.

Gente che “esercita ogni giorno pazienza e infonde speranza, avendo cura di non seminare panico ma corresponsabilità”. Tutti possono trovare in San Giuseppe, “l’uomo che passa inosservato, l’uomo della presenza quotidiana, discreta e nascosta, un intercessore, un sostegno e una guida nei momenti di difficoltà”.

Di san Giuseppe, papa Francesco, propone un profilo attuale di padre amato, tenero, obbediente, accogliente, coraggioso e creativo, lavoratore e discreto. Due aspetti in particolare sono innovativi nella riflessione del papa su san Giuseppe: il lavoro e la paternità. Come lui  “possiamo progettare, inventare, trovare,affrontare problemi concreti come tutte le altre famiglie, come molti nostri fratelli migranti che ancora oggi rischiano la vita costretti dalle sventure e dalla fame”.

“Così ogni bisognoso, ogni povero, ogni sofferente, ogni moribondo, ogni forestiero, ogni carcerato, ogni malato sono “il Bambino” Gesù che Giuseppe continua a custodire. Ecco perché San Giuseppe è invocato come protettore dei miseri, dei bisognosi, degli esuli, degli afflitti, dei poveri, dei moribondi. Ed ecco perché la Chiesa non può non amare innanzitutto gli ultimi, perché Gesù ha posto in essi una preferenza, una sua personale identificazione”.

Parole forti nella Lettera di Francesco sono riservate alla questione del lavoro perché tocca la dignità delle persone. “In questo nostro tempo, nel quale il lavoro sembra essere tornato a rappresentare un’urgente questione sociale e la disoccupazione raggiunge talora livelli impressionanti, anche in quelle nazioni dove per decenni si è vissuto un certo benessere, è necessario, con rinnovata consapevolezza, comprendere il significato del lavoro che dà dignità”.

La crisi del nostro tempo, che è crisi economica, sociale, culturale e spirituale, “può rappresentare per tutti un appello a riscoprire il valore, l’importanza e la necessità del lavoro per dare origine a una nuova “normalità”, in cui nessuno sia escluso. Il lavoro di San Giuseppe ci ricorda che Dio stesso fatto uomo non ha disdegnato di lavorare. La perdita del lavoro che colpisce tanti fratelli e sorelle, e che è aumentata negli ultimi tempi a causa della pandemia di Covid-19, dev’essere un richiamo a rivedere le nostre priorità”.

Quanto alla paternità Francesco sottolinea che “Padri non si nasce, lo si diventa. E non lo si diventa solo perché si mette al mondo un figlio, ma perché ci si prende responsabilmente cura di lui. Tutte le volte che qualcuno si assume la responsabilità della vita di un altro, in un certo senso esercita la paternità nei suoi confronti. Nella società del nostro tempo, spesso i figli sembrano essere orfani di padre. Anche la Chiesa di oggi ha bisogno di padri”.

Essere padri significa “introdurre il figlio all’esperienza della vita, alla realtà. Non trattenerlo, non imprigionarlo, non possederlo, ma renderlo capace di scelte, di libertà, di partenze. Forse per questo, accanto all’appellativo di padre, a Giuseppe la tradizione ha messo anche quello di “castissimo”. Non è un’indicazione meramente affettiva, ma la sintesi di un atteggiamento che esprime il contrario del possesso. La castità è la libertà dal possesso in tutti gli ambiti della vita. Solo quando un amore è casto, è veramente amore. L’amore che vuole possedere, alla fine diventa sempre pericoloso, imprigiona, soffoca, rende infelici. Dio stesso ha amato l’uomo con amore casto, lasciandolo libero anche di sbagliare.

La felicità di Giuseppe non è nella logica del sacrificio di sé, ma del dono di sé. Non si percepisce mai in quest’uomo frustrazione, ma solo fiducia. Il suo persistente silenzio non contempla lamentele ma sempre gesti concreti di fiducia. Il mondo ha bisogno di padri, rifiuta i padroni, rifiuta cioè chi vuole usare il possesso dell’altro per riempire il proprio vuoto; rifiuta coloro che confondono autorità con autoritarismo, servizio con servilismo, confronto con oppressione, carità con assistenzialismo, forza con distruzione”.

Carlo Di Ciccodi Carlo Di Cicco   
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