Russia: vendere gas alla Cina non è come venderlo all’Europa
Nella migliore delle ipotesi il passaggio dagli acquirenti europei al dragone sarà tutt’altro che indolore per i conti russi. Il prezzo a cui verrà venduto il gas sarà considerevolmente più basso

Su forniture e prezzo del gas per tutto il 2022 la Russia ha giocato con i paesi europei come il gatto col topo lucrando profitti mostruosi serviti poi per finanziare la guerra d’invasione in Ucraina. L’approccio era un po’ quello di uno spacciatore all’angolo della strada che vende a clienti disperati, ansiosi che la loro dose possa invece essere data ad altri, nella fattispecie la Cina. Quando però l’Europa ha deciso comunque di sganciarsi dal gas russo, al Cremlino si sono accorti che il cambio di fronte sarebbe stato meno lineare di quel che si poteva sperare e soprattutto tutt’altro che vantaggioso. Questa volta, esperienza piuttosto inusitata per i russi, ad avere il coltello dalla parte del manico sarebbe stato il cliente.
Quando il potere siberiano non basta
Il problema di base è che per vendere grandi quantità di gas c’è bisogno di un gasdotto. Tra Russia e Cina ne esiste uno, il Power of Siberia, che tuttavia è già utilizzato per trasportare il gas prodotto dai giacimenti siberiani. Inaugurato nel 2019, oggi trasporta circa 16 miliardi di metri cubi all’anno e dovrebbe raggiungere la sua capacità massima di 38 miliardi di metri cubi all’anno nel 2024. Al momento è l’unico esistente che collega i due paesi e non è quindi di nessuna utilità per riorientare il flusso un tempo diretto verso l’Europa. Circa un decennio fa è stato sviluppato il progetto di un secondo gasdotto, il Power of Siberia 2 (PS-2) che dovrebbe invece trasportare il gas prodotto dai giacimenti della penisola di Yamal, sulla costa artica della Russia, gli stessi che rifornivano i gasdotti diretti verso l’Europa, incluso il North Stream. Realizzando il nuovo gasdotto la Russia potrebbe quindi sostituire, almeno in parte, un compratore con un altro.
Risposte evasive
In teoria l’accordo con Pechino per la sua costruzione sarebbe stato già raggiunto, almeno in linea di massima. È opinione diffusa che se ne sia parlato in occasione delle olimpiadi invernali in Cina, poco prima dell’invasione. Ma da allora Pechino è stata sulle sue evitando di impegnarsi in alcun modo. Nel corso della visita del presidente cinese Xi a Mosca lo scorso marzo, Putin si è sbilanciato parlando del progetto come di una cosa approvata e avviata mentre il suo ospite forniva a riguardo risposte assai evasive. E di nuovo in questi giorni il premier russo in visita a Pechino è dovuto tornare a casa senza aver ottenuto alcun impegno da parte dei padroni di casa ed è probabile che dovrà aspettare non poco per averlo.
Senza fretta
La Cina, infatti, non solo non ha fretta, ma è ben conscia che più a lungo aspetta, più cresce il suo potere negoziale. Certo, il gasdotto farebbe comodo a Pechino che sta tentando di aumentare la quota trasportata via terra rispetto a quella trasportata via mare, strategicamente più esposta a rischi di ogni tipo, compresi quelli derivanti dalle conseguenze di una possibile invasione di Taiwan. Ma non tanto da non poter aspettare un po’ e approfittare della debolezza della situazione nella quale si trova invece Mosca. A oggi, infatti, fluisce attraverso il Power of Siberia solo il 5% delle importazioni cinesi, meno della metà di quanto viene importato dal Turkmenistan attraverso tre gasdotti.
Il problema è tutto dei russi che a causa della guerra in Ucraina si trovano a dover gestire una spesa pubblica in rialzo con entrate in forte calo, proprio a causa delle mancate vendite di gas ai paesi europei. Nessuna sorpresa quindi che Pechino, conscia di essere l’unico acquirente alternativo, la tiri in lungo così da per poter convenientemente trattare sul prezzo, ben sapendo che più si va avanti, più invece la situazione si complica per il Cremlino.
Meno del 20%
Anche nella migliore delle ipotesi, tuttavia, il passaggio dagli acquirenti europei al dragone sarà tutt’altro che indolore per i conti russi. Non solo, infatti, il PS-2 non potrà in alcun modo coprire i volumi un tempo esportati verso la UE, ma il prezzo a cui verrà venduto il gas sarà considerevolmente più basso. Già ora il gas che fluisce attraverso il Power of Siberia viene venduto a un prezzo assai minore di quello applicato sul mercato europeo e comunque più elevato di quello che Pechino paga ad altri fornitori. Una stima riportata dal Financial Times ipotizza che la Russia possa incassare dal PS-2 circa 12 miliardi di dollari all’anno, dei quali 4,6 verrebbero versati allo stato sotto forma di dazi e tasse, meno del 20% del valore del gas esportato verso i paesi europei lo scorso anno. Poco meno del 30% se torniamo indietro al 2021, prima della guerra. Non proprio un affare.