Perché questa guerra è diversa e perché non c’è una chiara soluzione per mettere la parola fine
Non ci sono chiare soluzioni finali, ci si protrae in una provvisorietà permanente senza una prospettiva di medio periodo utile a terminare il conflitto con una definizione dei territori e un riconoscimento reciproco.
Questa non è una delle altre tante guerre verificatesi a partire dalla nascita dello stato di Israele nel 1948, ma è qualcosa di diverso. Secondo Luca Caracciolo di Limes, la caratteristica principale dello Stato di Israele è la sua mancata chiara delimitazione geografica. Normalmente gli Stati hanno dei confini, Israele invece non proprio. Il confine orientale, cioè quello che va verso la Cisgiordania, e quello di Gaza, oggi più che mai sono in discussione. Dunque, dal punto di vista strategico possiamo dire che tutto lo spazio compreso tra il confine del Libano e il confine con l’Egitto e il confine con la Giordania corrisponde di fatto a un solo Stato.
La cosiddetta Autorità Palestinese insediata a Ramallah nel cuore della Cisgiordania è un’entità virtuale che viene tenuta in piedi in maniera sempre più faticosa da soldi israeliani, americani ed europei senza dei quali probabilmente non esisterebbe proprio.
L’unica effettiva potenza attiva nel territorio palestinese è Hamas, insediata nella striscia di Gaza. La Striscia di Gaza è un territorio estremamente stretto di 363 km2 compresso tra il mare, il confine egiziano e lo Stato di Israele. Un territorio depresso e sterile, desertico sotto ogni profilo, non c’è acqua, per bere gli abitanti di Gaza hanno bisogno di un desalinizzatore, che a sua volta ha bisogno di carburante per funzionare. Al momento è chiaro che questi apparecchi non funzionano perché il carburante non arriva.
Questo territorio sfortunato che è passato avanti e indietro dal controllo israeliano a quello egiziano, è stato sgomberato dallo Stato ebraico nel 2005 in base all’idea del primo ministro Ariel Sharon. Questo è stato l’ideatore del Piano di disimpegno unilaterale israeliano, adottato nel giugno 2004 e ultimato nel settembre 2005, il quale era atto a dimostrare la volontà israeliana di smantellare i pochi insediamenti che lo Stato ebraico aveva nella striscia di Gaza, dando così al mondo un segnale della disponibilità di Israele a trattare la pace, rinunciando eventualmente anche ad alcuni insediamenti e mettendo “in formaldeide”, espressione usata da uno dei consiglieri di Sharon, il suo braccio destro Dov Weissglas, l’Autorità Palestinese. L’obiettivo strategico di Israele era dunque rendere l’Autorità palestinese anch’essa sterile, puramente virtuale. Per fare questo servono molti soldi.
Uno degli aspetti più importanti di questa guerra è proprio quello finanziario.
Parlando all'Assemblea Generale delle Nazioni Unite dopo il ritiro, Sharon dichiarò che "la fine del controllo e della responsabilità israeliana sulla Striscia di Gaza permette ai palestinesi, se lo desiderano, di sviluppare la loro economia e di costruire una società che cerca la pace, che sia sviluppata, libera, rispettosa della legge e trasparente e che aderisca ai principi democratici". Nel 2006 l'Autorità palestinese tenne la seconda serie di elezioni parlamentari della sua storia, dove Hamas ottenne la maggioranza dei seggi nel Consiglio legislativo palestinese (PLC). Hamas, nasce come un movimento islamista di affiliazione dei Fratelli Musulmani in Egitto, ma, ciò che potrebbe non essere noto è che il Movimento, in una fase iniziale, è stato aiutato da Israele in quanto esso era considerato strumentale a favorire la contrapposizione al nazionalismo dell’OLP, l’Organizzazione per la Liberazione della Palestina, del presidente Yasser Arafat.
L'inclusione di Hamas nella coalizione di governo provocò l’imposizione di sanzioni internazionali. Seguì una lotta per il potere, sempre più violenta, tra le principali fazioni dell'Autorità palestinese, guidata da Fatah in Cisgiordania, e alla conquista della Striscia di Gaza da parte di Hamas. Preoccupato per l'ostilità di Hamas nei confronti di Israele, nel 2007 il governo israeliano iniziò il blocco del territorio, limitando sia le importazioni e le esportazioni che i movimenti in entrata e in uscita dalla Striscia di Gaza. Da allora, il blocco, sebbene a volte allentato, non è mai stato revocato.
Hamas per tenere in piedi la situazione di una striscia di territorio abitata da 2 milioni e 800 mila persone in un territorio sterile e stretto aveva bisogno di finanziamenti. Israele accettava dunque di far arrivare soldi ad Hamas per tenere più o meno sotto controllo la situazione, poi ogni tanto questa situazione esplodeva e per reclamare più soldi Hamas lanciava una pioggia di missili sulle città del sud di Israele e dopo una settimana o due attraverso episodi più o meno cruenti, definiti come tagliare l’erba dall’esercito di Israele – interventi brevi e rapidi messi in atto nella striscia di gaza senza entrarci – si ristabiliva l’equilibrio precedente.
Un meccanismo importante per capire il funzionamento di questi episodi si riferisce al Qatar, un piccolo stato affacciato sul Golfo persico che corrisponde approssimativamente da un punto di vista strategico alla disponibilità di un enorme giacimento di gas, co gestito con l’Iran, il quale consente una disponibilità finanziaria assolutamente straordinaria.
Cinicamente, il meccanismo finanziario era il seguente: partiva un aereo da Doha, arrivava a Ben Gurion con una valigetta di soldi dentro, i servizi segreti israeliani li passavano agli egiziani che li facevano arrivare ad Hamas. Questo precarissimo equilibrio è durato 16 anni e si è rotto inaspettatamente il 7 ottobre 2023 con l’incursione di Hamas in territorio israeliano, la strage di circa 1400 fra militari e civili israeliani in particolare nei kibbuz vicino a Gaza. Uno smacco senza precedenti per l’intelligence e per le forze armate israeliane.
Gli orrori che sono stati perpetrati e documentati da Israele e da fonti indipendenti sono certamente responsabilità di Hamas, anche se, molto probabilmente, dentro all’operazione di Hamas sono entrate altre forze della cosiddetta resistenza palestinese, tra cui anche qualche elemento dello Stato Islamico o comunque gruppi jihadisti fuori controllo che hanno fatto la parte più brutta e tragica del lavoro. Tutto ciò per dire che Hamas non è pienamente in controllo della Striscia e di tutte le sue forze.
Detto ciò, come può evolvere la situazione a Gaza? Chiaramente non ci sono certezze. I desiderata della destra israeliana prevedono certamente l’evacuazione di gran parte della popolazione di Gaza, la distruzione infrastrutture attribuibili ad Hamas e la liquidazione di una buona parte della leadership di Hamas. Dal punto di vista ideologico e anche materiale, tuttavia, occorre avere ben chiaro che Hamas è indistruttibile perché è un movimento di massa e in quanto tale ha sede prima nelle menti e solo poi nei luoghi fisici. Una versione ancora più estremista potrebbe prevedere l’espulsione dei palestinesi anche dalla Cisgiordania, ma risulta chiaro che né Al Sisi in Egitto, né sua maestà Abdallah in Giordania hanno intenzione di ospitare palestinesi potenzialmente poco affidabili, alla luce dell’affiliazione di Hamas ai Fratelli Musulmani, nemico numero uno di Al Sisi e non solo.
Per quanto riguarda la soluzione dei due stati, la quale ciclicamente riappare in maniera sempre più stantia e meno praticabile, sfortunatamente questa non sembrerebbe praticabile. Seguendo il ragionamento di Luca Caracciolo, che guida i temi esposti in questo articolo, oltre al problema relativo alla divisione e al controllo del territorio tra l’Autorità palestinese e Israele, sorge la questione fondamentale della soggettività. Per essere considerato uno Stato e dunque un soggetto internazionale, è necessario possedere i seguenti requisiti: una popolazione permanente, un territorio definito, un governo e la capacità di entrare in relazioni con gli altri Stati. Inoltre, secondo il diritto internazionale, lo Stato deve esercitare effettivamente il proprio potere su una comunità territoriale – principio di effettività – e deve essere indipendente, internamente ed esternamente. Non servono grandi ragionamenti strategici per appurare che né l’Autorità palestinese, guidata da Abu Mazen, né Hamas possono rispondere a questi requisiti, ad oggi.
Non ci sono quindi chiare soluzioni finali, ci si protrae in una provvisorietà permanente senza una prospettiva di medio periodo utile a terminare il conflitto con una definizione dei territori e un riconoscimento reciproco. Anzi, in questo contesto, possiamo solo prevedere che terroristi e jihadisti continueranno inesorabilmente a lavorare alla destabilizzazione di Israele per poi avviare una trattativa che non andrà comunque al di là di qualche incontro inutile in alberghi a cinque stelle.