[Il punto] La classifica dei paesi più felici al mondo: Italia lontana dai primi
Presentato il World Happiness Report 2019. L'Italia si colloca appena al 36esimo posto. Meglio di noi tutti i principali partner europei e perfino gli Stati Uniti
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L’Italia risale la classifica dei paesi più felici al mondo ma rimane ancora lontana dalle prime posizioni. Questo il risultato più importante, per noi italiani, del World Happiness Report 2019, il settimo della serie, coordinato scientificamente dall’economista Jeffrey Sachs.
Andare oltre il Pil
Il rapporto sulla felicità nasce come reazione alla visione puramente economicista della società secondo cui l’unica variabile importante per misurare il benessere di un Paese è il Pil (prodotto interno lordo). Approccio messo in discussione già negli anni ’60 del secolo scorso quando il presidente americano John Kennedy, in un suo celebre discorso tenuto presso l’università del Kansas il 18 marzo del 1968, tre mesi prima della sua morte, denunciò pubblicamente l’inadeguatezza del Pil sottolineando che comprendeva anche “l'inquinamento dell'aria, la pubblicità delle sigarette e le ambulanze per sgombrare le autostrade dalle carneficine dei fine-settimana”.
Le sei variabili della felicità
A distanza di 51 anni da quel discorso è indubbio però che il Pil resti ancora la variabile seguita con più attenzione e ansia dall’opinione pubblica per valutare lo stato di salute e il benessere di un paese. Nel World Happiness Report l’economia resta centrale ma non è l’unica dimensione presa in considerazione. Le variabili chiave considerate sono sei: il reddito pro capite, il sostegno sociale (qualità del welfare e delle reti di solidarietà), aspettative di vita sana, libertà di fare le scelte fondamentali, generosità delle persone, livelli di corruzione. Appare evidente dunque che oltre all’economia giocano un ruolo fondamentale la comunità e la qualità delle relazioni sociali.
Al primo posto la Finlandia, Italia 36esima
Nella classifica del 2019 l’Italia si piazza solamente al 36esimo. In progresso rispetto al 47esimo posto occupato nel 2018, ma ancora molto lontano dalle prime posizioni che sono saldamente presidiate dai paesi nord europei. La prima piazza è della Finlandia. Completano il podio Danimarca e Norvegia. A seguire Islanda, Paesi Bassi, Svizzera, Svezia e Nuova Zelanda. Chiudono la top ten Canada e Austria. Per quanto riguarda i nostri principali partner europei e i grandi paesi del mondo, ci precedono il Regno Unito (15esimo), l Germania (17esima), gli Stati Uniti (19esimi), la Francia (24esima) e la Spagna (30esima). Dietro di noi il Giappone (58esimo) e la Cina (93esima). Chiudono la classifica l’Afghanista (154esimo), la Repubblica centro africana (155esima) e il Sudan del Sud (156esimo) che si aggiudica la palma dello Stato più infelice del mondo.
I mali degli italiani
Perché l’Italia occupa posizioni nettamente inferiori rispetto ai partner europei più vicini? E’ vero che la nostra economica balbetta ma storicamente il Paese ha sempre goduto di comunità e reti sociali robuste. Una possibile spiegazione è la crescita tra gli italiani di individualismo e opportunismo. Fenomeni che generano infelicità perché nessun individuo riesce ormai a gestire da solo la complessità della società contemporanea.
Gli effetti negativi dei social media
Il coordinatore scientifico, Jeffrey Sachs, ha poi puntato il dito sui social media come causa di peggioramento del benessere nei paesi evoluti. “Dall’introduzione del primo iPhone in poi, abbiamo avuto un deterioramento misurabile nella felicità, soprattutto tra i giovani” ha spiegato l’economista secondo cui ciò è dovuto “alla crescita di ansia, stressa, insonnia e depressione e peggioramento delle interazioni sociali”. Per lo studioso i social media vanno ormai trattati “come una nuova forma di dipendenza, una droga del nostro tempo”. Conclusioni che danno dunque ragione a Berners Lee, il padre del Web, che in occasione dell’anniversario dei 30 anni di vita ha espresso forte delusione per come si è sviluppata la rete rispetto alle aspettative iniziali.
L'importanza del buon governo
Altra conclusione interessante del Report riguarda poi l’importanza, come fattore cruciale di benessere dei cittadini, del buon governo, definito come “efficacia dell’azione pubblica, Stato di diritto e certezza della legge, qualità delle norme e riduzione della corruzione”. L’aspetto che merita maggiore attenzione è che il buongoverno non è necessariamente legato al tasso di democrazia. Un campanello di allarme per le democrazie liberali da tempo, ormai, alle prese con una pericola crisi.