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L’appello di papa Francesco nella domenica delle Palme: tregua pasquale per la guerra in Ucraina

Nessun esito vittorioso dal conflitto el piantare la bandiera sulle macerie ma nella capacità di un vero negoziato

Carlo Di Ciccodi Carlo Di Cicco   
Foto Ansa
Foto Ansa

“Si depongano le armi! Si inizi una tregua pasquale; ma non per ricaricare le armi e riprendere a combattere, no! una tregua per arrivare alla pace, attraverso un vero negoziato, disposti anche a qualche sacrificio per il bene della gente. Infatti, che vittoria sarà quella che pianterà una bandiera su un cumulo di macerie?”. E’ l’appello di papa Francesco per l’Ucraina, a conclusione del breve ma intenso Angelus nella domenica delle Palme che introduce la settimana santa in preparazione alla Pasqua. In poche righe riassunto l’essenziale delle speranze del mondo e di una composizione onorevole tra i belligeranti. Potrebbe sembrare un’utopia fermare ora un conflitto che pare inarrestabile ma “Nulla è impossibile a Dio. Anche far cessare una guerra di cui non si vede la fine. Una guerra – rivela Francesco - che ogni giorno ci pone davanti agli occhi stragi efferate e atroci crudeltà compiute contro civili inermi. Siamo nei giorni che precedono la Pasqua. Ci stiamo preparando a celebrare la vittoria del Signore Gesù Cristo sul peccato e sulla morte. Sul peccato e sulla morte, non su qualcuno e contro qualcun altro. Ma oggi c’è la guerra. Perché si vuole vincere così, alla maniera del mondo? Così si perde soltanto. Perché non lasciare che vinca Lui? Cristo ha portato la croce per liberarci dal dominio del male. È morto perché regnino la vita, l’amore, la pace”. La proposta di una tregua può nascere solo da una particolare visione dell’uomo e del mondo che il papa aveva spiegato nell’omelia durante la messa in Piazza san Pietro nella ricorrenza della domenica delle Palme. Lo spunto lo ha preso dal Vangelo che narra come mentre veniva crocifisso Gesù chiede a Dio di perdonare i suoi carnefici che nell’inchiodarlo sulla croce lo sfidano a salvare se stesso se vuole essere creduto. Nel momento del massimo dolore e del massimo abbandono Gesù invece lascia il suo insegnamento esemplare e più importante: non pensare a sé, ma agli altri per i quali chiede perdono. “Salvare se stessi, badare a se stessi, pensare a se stessi; non ad altri, ma solo alla propria salute, al proprio successo, ai propri interessi; all’avere, al potere, all’apparire. Salva te stesso: è il ritornello dell’umanità che ha crocifisso il Signore”. Pensiamoci – esorta il papa poiché “alla mentalità dell’io si oppone quella di Dio; il salva te stesso si scontra con il Salvatore che offre se stesso. Nel Vangelo odierno sul Calvario anche Gesù prende la parola tre volte, come i suoi oppositori (cfr vv. 34.43.46). Ma in nessun caso rivendica qualcosa per sé; anzi, nemmeno difende o giustifica se stesso. Prega il Padre e offre misericordia al buon ladrone. Una sua espressione, in particolare, marca la differenza rispetto al salva te stesso: «Padre, perdona loro». Nell’ottica umana in quei momenti “verrebbe solo da gridare tutta la propria rabbia e sofferenza; invece Gesù dice: Padre, perdona loro. Diversamente da altri martiri, di cui racconta la Bibbia, non rimprovera i carnefici e non minaccia castighi in nome di Dio, ma prega per i malvagi. Affisso al patibolo dell’umiliazione, aumenta l’intensità del dono, che diventa per-dono”. Questo è il comportamento che Dio usa anche con noi un perdono smisurato. E questo comportamento è anche una sfida all’uomo a restare fedele alla propria umanità, alla maniera del Crocifisso. Lui insegna “a spezzare il circolo vizioso del male e del rimpianto. A reagire ai chiodi della vita con l’amore, ai colpi dell’odio con la carezza del perdono”. La prova massima di questa fedeltà all’insegnamento del Cristo si è chiamati a darla in tempo di guerra. “Noi, discepoli di Gesù, - si domanda Francesco - seguiamo il Maestro o il nostro istinto rancoroso? È una domanda che dobbiamo farci: seguiamo il Maestro o seguiamo il nostro istinto rancoroso? Se vogliamo verificare la nostra appartenenza a Cristo, guardiamo a come ci comportiamo con chi ci ha feriti. Il Signore ci chiede di rispondere non come ci viene o come fanno tutti, ma come fa Lui con noi. ..Quando si usa violenza non si sa più nulla su Dio, che è Padre, e nemmeno sugli altri, che sono fratelli. Si dimentica perché si sta al mondo e si arriva a compiere crudeltà assurde. Lo vediamo nella follia della guerra, dove si torna a crocifiggere Cristo. Sì, Cristo è ancora una volta inchiodato alla croce nelle madri che piangono la morte ingiusta dei mariti e dei figli. È crocifisso nei profughi che fuggono dalle bombe con i bambini in braccio. È crocifisso negli anziani lasciati soli a morire, nei giovani privati di futuro, nei soldati mandati a uccidere i loro fratelli. Cristo è crocifisso lì, oggi”. Alle domande che Francesco rivolge alle coscienze si potrebbe aggiungere la domanda alla politica: perché è tanto difficile ascoltare il buon senso e la strada dell’accordo per firmare la pace vera dove nessuno ci guadagna a scapito di altri, ma tutti ne condividono equamente i benefici?

Carlo Di Ciccodi Carlo Di Cicco   
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