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[L’analisi] Vi spiego perché Erdogan ha paura dell’Eni e dei suoi successi nel Mediterraneo

La Turchia teme di diventare un attore marginale nella partita del gas mondiale. Le recenti scoperte di Eni nel Mediterraneo Orientale rischiano di rendere marginale, ad esempio, il gasdotto Trans-Anatolico TANAP (Trans-Anatolian Natural Gas Pipeline), il cui completamento è previsto proprio nel 2018 e che dall'Azerbaigian, attraverso la Georgia e la Turchia dovrebbe arrivare in Europa 

Il presidente turco Recep Tayyip Erdogan (Ansa)
Il presidente turco Recep Tayyip Erdogan (Ansa)

Resta ferma nel Mediterraneo Orientale la piattaforma dell’Eni Saipem 12000, oggetto del blocco della marina militare turca che dal 9 febbraio le impedisce di proseguire il viaggio verso la zona di trivellazione datale in concessione da Cipro all’interno del cosiddetto Blocco 3 nella “zona economica esclusiva” del governo di Nicosia. Dietro le contestazioni di Ankara, che si oppone alle attività di prospezione definite “unilaterali” non c’è solo l’annosa questione turco-cipriota relativa al riconoscimento di Cipro Nord.  Il bersaglio di Ankara è molto più alto, e rappresenta una sfida aperta al cuore dell’Europa e dell’interesse strategico italiano, portato avanti con successo proprio da Eni nel Mediterraneo Orientale in questi ultimi anni.

Questioni geografiche

Uno sguardo alla geografia, alle linee che tratteggiano il percorso delle grandi vie del gas qui può servire più di qualsiasi dichiarazione ufficiale. E può aiutarci a capire perché Ankara intende spezzare quello che ritiene essere un vero e proprio aggiramento del suo ruolo strategico come vettore di transito verso il ricco mercato del gas europeo.  Si perché le recenti scoperte di Eni nel Mediterraneo Orientale rischiano di e rendere marginale, ad esempio, il gasdotto Trans-Anatolico TANAP (Trans-Anatolian Natural Gas Pipeline), il cui completamento è previsto proprio nel 2018 e che dall'Azerbaigian, attraverso la Georgia e la Turchia dovrebbe arrivare in Europa. 

Gas e petrolio

Ma anche la fonte di approvvigionamento garantita dal Qatar via Ankara rischia ormai di trovare la porta sbarrata dalla recente scoperta di nuovi giacimenti-monstre a due passi dalla sponda europea nel Mare Nostrum, ad opera di Eni. Un esempio su tutti è Zohr, in acque territoriali egiziane, il più grande giacimento di gas naturale del Mediterraneo, con un potenziale di risorse di 850 miliardi di metri cubi. Scoperto nel 2015 dalla società petrolifera italiana, è già entrato in produzione ed entro il 2019 sarà a regime regalando all’Egitto non soltanto l’autosufficienza energetica, ma anche un ruolo di primissimo piano nel mercato mondiale dell’energia.  Non solo.

Concessioni governative

Ci sono, come detto, le concessioni date dal governo cipriota ad Eni e rientranti nelle acque economiche di sua pertinenza esclusiva: un mercato che promette bene dato che appena qualche giorno fa la società di Descalzi aveva annunciato la scoperta di un nuovo grande giacimento di gas sotto il fondale del blocco 6 attraverso il pozzo Calypso 1. Infine, è cronaca delle ultime ore, Eni ha firmato con il Libano due contratti di esplorazione e produzione per i blocchi 4 e 9, situati nelle acque prospicenti il paese dei cedri. I blocchi sono stati assegnati nell'ambito di una gara internazionale lanciata dalle autorità libanesi dove Eni ha un interesse partecipativo del 40%, insieme a Total e Novatek.

Sovranità contesa

In questo caso però i problemi potrebbero arrivare soprattutto da Israele, che rivendica la sovranità sul blocco 9 nella porzione confinante con le acque territoriali libanesi. Il ministro della Difesa israeliana, Avigdor Lieberman avrebbe definito "un'aggressione" l'assegnazione delle licenze da parte di Beirut. Sulla questione è intervenuto il ministro dell'Energia israeliano, Yuval Steinitz, dichiarando che lo Stato ebraico sta cercando una soluzione diplomatica alla disputa con il Libano sui confini territoriali e marittimi. 

Paola Pintusdi Paola Pintus, giornalista esperta di esteri    
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