[La storia] Brexit, Londra smentisce il rinvio. Ecco a quanto è già arrivata la fuga di capitali dalla City
L’esecutivo della May ha confermato che il 29 marzo di quest’anno il Paese lascerà l’Europa indipendentemente dall'esito del voto parlamentare sull'accordo di divorzio. Nel frattempo ben 800 miliardi di sterline sono stati spostati all'estero dalle banche della City
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Il nuovo giallo attorno alla Brexit è durato giusto qualche ora. Il governo britannico ha escluso l’ipotesi di un rinvio dell’uscita in caso di bocciatura parlamentare dell’accordo di divorzio dalla Ue sottoposto alla Camera dei Comuni dalla premier Theresa May.
"Ostacoli pratici molto seri" per il rinvio
L’indiscrezione era stata divulgata dal quotidiano Daily Telegraph, secondo cui i negoziatori britannici starebbero "sondando le acque" sull'opzione d'una richiesta di allungamento dei termini dell'articolo 50 in incontri tecnici riservati a Bruxelles. Ma il ministro per la Brexit, Stephen Barclay, parlando a conclusione del tradizionale consiglio dei ministri del martedì, è sembrato cadere dalle nuvole, negando di aver aperto la questione in sede Ue e parlando di ostacoli "pratici molto seri" di fronte a qualunque eventualità di rinvio.

Costi salati per l'economia britannica
Il Regno Unito lascerà dunque l’Europa il 29 marzo di quest’anno e niente potrà dunque fermare le conseguenze che si annunciano molto dolorose per i cittadini di Sua Maestà in particolare se l’uscita dovesse avvenire senza accordo. Secondo alcune stime elaborate dal ministero dell’Economia di Londra, il Paese è destinato a perdere a causa della Brexit il 3,9% del Pil entro 15 anni. Ma in cado di no deal (nessun accordo con Bruxelles) la contrazione dell’economia sarebbe molto maggiore e potrebbe addirittura raggiungere il 9,3%. Secondo gli studi del governo in carica in valori assoluti i costi del divorzio da qui al 2033 vanno da un minimo di 60 miliardi di sterline fino a un massimo di 200 miliardi in caso di no deal.
All'estero il 10% del patrimonio gestito dalle banche
E i primi effetti pesanti sull’economia britannica cominciano già a farsi sentire. Secondo una stima (per difetto) di Ernest Young ben 800 miliardi di sterline sarebbero state spostate lontano dal Regno Unito dalle banche. Nel complesso si tratta di circa il 10% del patrimonio totale gestito dalle istituzioni finanziarie della City londinese. Per prevenire i contraccolpi della Brexit, e salvaguardare le proprie operazioni e i propri clienti, molte banche hanno già aperto nuovi in altri paesi dell’Unione europea.
I costi del populismo
Una fuga di capitali da Londra annunciata già prima dello storico referendum del 23 giugno del 2016 e che ora si sta avverando.La dimostrazione che i costi del populismo alla fine ricadono sull'economia reale di un paese e dunque sui cittadini, perché è evidente che saranno loro a pagare il prezzo più alto dell’addio del Regno Unito al Vecchio Continente.
