“Piazze piene, urne vuote”? Salvini e Letta leader "spompi" e due piazze che fanno "acqua"
“Comunque vada, sarà un disastro”. Le due ‘chiusure’, in contemporanea, di Salvini e Letta, due leader di partito che rischiano il capitombolo come voti e come segretari
Il leader della Lega, Matteo Salvini, e il segretario del Pd, Enrico Letta, hanno di fatto già ‘chiuso’ le loro rispettive campagne elettorali. Il primo a Pontida, provincia di Bergamo (3 mila anime), nota per essere la culla della Lega Nord. E il secondo a Monza, capoluogo di provincia di sé stessa (121 mila abitanti), fresca di nomina, oltre che della Brianza (Lombardia), nota perché il Monza è stato promosso in serie A, ma il merito qui è tutto del Cavalier Silvio Berlusconi. Insomma, Monza, col Pd, ‘c’azzecca’ assai poco. Infatti, all’inizio, la ‘contro-Pontida’ si doveva tenere a Milano, officiante il sindaco, Sala, ma poi, per misteriosi motivi, la location è cambiata. Forse perché, chissà, a Monza le piazze centrali sono assai piccole e, a Milano, troppo grandi.
Pratone troppo grande, piazza troppo piccola
Salvini cerca di ‘rivitalizzare’, senza successo, il mitico (si fa per dire) ‘pratone’ di mega adunate leghiste: solo che allora non serviva ‘cammellare’ le truppe, oggi sì. Il risultato resta però deludente: precettati iscritti, militanti, dirigenti, consiglieri comunali e regionali, di tutto di più, ma non serve se non a lasciare tanta nostalgia del tempo che fu.
Letta, invece, per una volta, cambia bersaglio (Salvini, appunto, e non la Meloni) e chiede, ai ‘suoi’ sindaci, quelli dem (capofila Matteo Ricci, sindaco di Pesaro) di mettergli in piedi una ‘contro-Pontida’, ma il risultato è quello che è: tanti sindaci (Sala, Gori, Nardella, Lo Russo, Lepore, etc.), molti staff che devon ‘fare numero’, ma pochissima gente ‘normale’. In una piazzetta piccola piccola come quella di Monza, peraltro, nonostante il sindaco, a sua volta, sia democrat.
Il ‘libro dei sogni’ di Salvini, le ideone di Letta
Ci sarebbero, poi, le proposte politiche. Mentre Letta continua a proporre ‘detassazioni’ per tutte le categorie possibili e immaginabili (donne, giovani, Sud e, ovviamente, imprenditori), l’ultima di Salvini – decisamente più in vena di Berlusconi, che propone 1000 euro di pensione per tutti, sordociechi compresi – è l’abolizione del canone (Rai) - bella forza, tanto è zeppa di ‘komunisti’: “Dall’anno prossimo lo toglieremo dalla bolletta della luce”, dice, al termine di un comizio che vede sul palco, facce ‘un po’ così’, i big del partito, a partire da ministri e governatori.
Tutti – letteralmente – spinti, cioè ‘obbligati’, a firmare una sorta di “contratto con gli italiani”, sempre di berlusconiana memoria, in sei punti: stop ai rincari dell’elettricità e nucleare sicuro; autonomia; flat tax al 15% e pace fiscale; abolizione della legge Fornero e introduzione di quota 41; interruzione degli sbarchi; riforma della giustizia. Insomma, un classico ‘libro dei Sogni’ che fa a pugni con la realtà, Ma saranno, questi, però, guai della Meloni che ci dovrà governare insieme, con la Lega, e cercare di farli ragionare.
Nella giornata dell’orgoglio ‘padano’ (ma Bossi non c’è, Salvini manco lo ha invitato), il segretario annuncia che il primo consiglio dei ministri di un nuovo, eventuale, governo di centrodestra “riscriverà i decreti sicurezza”. Poi Salvini traccia il suo ‘fanta-governo’ (e qui alla Meloni, in cuor suo, viene un singulto): “prometto che il prossimo ministro degli Esteri sarà un diplomatico e non un Giggino volante. E il prossimo ministro della Salute sarà un medico e della Giustizia un avvocato... pensate che strano! La Bongiorno sarebbe un’ottima Guardasigilli”.
La Lega, va da sé, ha già prenotato il Viminale, anche se Salvini non mette limiti alla Divina Provvidenza e dice di puntare più in alto: “Per me sarebbe un onore essere scelto da Mattarella come presidente del Consiglio” (qui, però, la Meloni, sempre in cuor suo, sorride).
Salvini nega dissidi con i leader del centrodestra, che però ha alimentato per giorni, tanto che, al termine di una settimana in cui con la Meloni ha litigato a distanza e a più riprese, ora dice: “Con Giorgia e Silvio andiamo d’accordo su tutto, su quasi tutto. E governeremo per cinque anni. Un esecutivo serio, stabile, coerente, sarà molto più rispettato e credibile all’estero di un'Italia rappresentata da 38 cose diverse”. Miracoli della Pontida pre-elettorale. Per i riscontri fattuali, per la verità, bisogna attendere almeno sette giorni.
Sembrano due leader di due partiti ‘minori’…
Ma paiono due leader minori, Letta e Salvini, nonostante il primo sia il ‘front runner’ di una coalizione, il centrosinistra, composta, però, tutta da ‘nanetti’ privi di voti in natura (+Europa, Impegno civico, Verdi-SI), e l’altro l’ex Capitano di un centrodestra che ha cambiato, oltre alla maglia, anche la squadra.
‘Minori’ in quanto collocabili a metà strada tra un Berlusconi fintamente pimpante, in netta crisi di idee come di consensi, e un Renzi decisamente ‘al di sotto’ delle sue possibilità, in una campagna elettorale che vede non più la Meloni, ma il leader, ieri in pochette, oggi descamisado, Giuseppe Conte tornare ‘mattatore’ come pochi.
Eccoli, dunque, i due leader ‘minori’, Letta e Salvini: hanno chiuso campagne elettorali ‘minori’ e, sul piano social e comunicativo, disastrose, come vedremo poi, con pareri illustri.
Le chiusure ‘ufficiali’, è vero, saranno altre, ma per ora si registrano solo due mega-flop
Certo, le chiusure ufficiali, ovviamente, non sono state quelle di ieri, tenute entrambe in terra lombarda, ma saranno, entrambe romane, romanissime. Rispettivamente, quella della Lega - insieme a tutto il centrodestra – sarà a piazza del Popolo, giovedì 22 settembre, con Meloni e Berlusconi. E quella del solo Pd, venerdì 23 settembre, sempre a piazza del Popolo (il Pd è arrivato prima di tutti gli altri, vecchia scuola), ma solo soletto giusto per evitare ‘foto di gruppo’ inopportune da ‘tutti insieme appassionatamente’, con Bonino, Di Maio, Fratoianni e Bonelli, etc.
E così – al netto del solito ‘braccio di ferro’ sul numero dei presenti (20 mila per la Questura, ma centomila e più per gli organizzatori, a Pontida, 10 mila per il Pd, a Monza, forse un migliaio, in realtà, per i dem, di cui cento solo sindaci del Pd) – la verità è che le due prove di forza si sono rivelate presto per quello che si temeva: due flop.
Meloni e Conte, invece, le piazze le riempiono
E tutto questo mentre la Meloni, e pure Conte, riempiono come uovi tutte le piazze, e i palazzetti e le vie, dove vanno, in qualsiasi città italiana, tra continui, a volte un po’ isterici, bagni di folla. La Meloni inveisce contro le “provocazioni” degli infiltrati di sinistra (ci sono state, in realtà, e lei già ne ha chiesto conto al ministro Lamorgese).
Conte invece sbraita contro Renzi, minacciato di presentarsi, a Palermo, ma “senza scorta, se ha le p.”. Uno smacco nello smacco, a Letta e Salvini.
Due leader ‘spompi’ e due campagne sbagliate di due partiti in crisi verticale di consensi…
Onestamente, Letta e Salvini appaiono, agli osservatori esterni, già due leader ‘spompi’, oltre che pronti ad essere defenestrati dai rispettivi ‘colonnelli’ che, dentro la Lega il fronte dei governatori&ministri e. dentro il Pd, praticamente tutti tranne cinque lettiani, non vedono l’ora di fare, a entrambi, le scarpe.
Certo, di sondaggi non si può parlare, ma la ‘dura’ realtà è che la Lega è stata ‘doppiata’, da FdI, in Veneto, Piemonte, Lombardia (sì, pure in Lombardia), come in Friuli, Liguria, centro Italia.
Una ignominia che già fa fremere d’indignazione i governatori del Nord, i cui uomini e donne sono stati, in molti, estromessi dalle liste per fare posto ai fedelissimi di Salvini, ma preparano “vendetta, tremenda vendetta” (dal Rigoletto), non appena si sapranno i risultati e la Lega sarà precipitata sotto la soglia di guardia (12%). Ecco, a quel punto, i governatori (Zaia, Fedriga, di certo non Fontana, però) e i ministri (Giorgetti) apriranno il ‘processo’ al Capitano. Si palesa, in sostanza, un congresso anticipato che mira, nei fatti, a defenestrarlo per sostituirlo con Fedriga, che è bravo, preparato, moderato, e in ottimi rapporti con tutti, compresa, che strano, Meloni.
Il Sud è un buco nero, per la Lega e per il Pd
Al Sud, poi, peggio si sentono, i leghisti: la Lega è in crollo verticale e strutturale, forse superata, oltre che, ovviamente, da FdI, che a Mezzogiorno ha le sue roccaforti, anche dai 5Stelle di Conte. I quali stanno facendo incetta di voti ovunque, creando non pochi guai al centrodestra e alla sua leader in pectore, che rischia di vedersi ‘scippare’ per una manciata di voti un pugno di collegi, ma – in alcune regioni - persino dal Terzo Polo, oltre che da un Pd, in debito di ossigeno e di consensi, che al Sud non beccherà un collegio uninominale che sia uno. E che, grazie alle parole ‘dal sen fuggite’ al governatore Michele Emiliano (dem, ma solo in pura astrazione) che, “per fare diga” (alla destra ‘fascista’) propone ai pugliesi di votare … M5s (e ‘non’ Pd, per la gioia di Letta), aumentando la sensazione che sarà proprio il M5s e non certo il Pd a contendere seggi alle ‘destre’. Uno scenario, oggettivamente, molto plausibile.
La ‘lotta per la successione’ nel Pd è già aperta con Bonaccini che si lancia ‘prima’ del voto
Non che, infatti, nel Pd si sentano molto meglio e lo sanno pure. La ‘lotta per la successione’ è già iniziata. Il governatore dell’Emilia-Romagna, Stefano Bonaccini, ha ormai deciso di lanciare la sua candidatura. A Letta, non userà neppure la ‘buona creanza’ che useranno i nemici di Salvini a Salvini. Oltre a diverse interviste in cui ‘Bonaccia’ ha già sparato ‘sul quartier generale’, e hanno fatto inviperire non poco il segretario, ecco che esce la ‘notizia’. Il 20 settembre, cioè cinque giorni ‘prima’ e non ‘dopo’ le elezioni, il governatore ha organizzato un incontro, a Rimini (gli onori di casa li fa l’ex sindaco della ridente cittadina balneare, Andrea Gnassi, candidato del Pd alla Camera) con al fianco, tra gli altri, i sindaci di Firenze (Nardella), Bergamo (Gori), Bari (Decaro) e molti altri donne e uomini pronti ad appoggiarlo nella ‘scalata’ al Pd post-Letta. Manca il sindaco di Bologna, Matteo Lepore, ma “quello lo vede in privato la mattina stessa…”, dice chi ne conosce, a menadito, tutte le mosse.
Titolo – plastico - dell’iniziativa “Lotto per Te. I fatti e l’amore dell’Italia che Va”, senza neppure uno straccio di riferimento al Pd e al suo logo (siamo, in teoria, ancora in campagna elettorale), ma con grande tricolore, bandiera dell’Italia. Insomma, Bonaccini vuole impostare una campagna, per ‘scalare’ il Pd, non solo ‘tricolore’ (cioè ‘nazionale’), ma anche molto ‘oltre’ il Pd, anche se ha già individuato un ‘referente’ dem, in ogni regione d’Italia, per aiutarlo nell’impresa.
Sor Tentenna e i nomi degli altri candidati Pd
Non a caso, dal Pd già sospirano: “Sor Tentenna (nomignolo storico di Nicola Zingaretti, ndr.) ha deciso. Rompe gli ormeggi e ora si lancia”. Non che sia l’unico. Si fa il nome, con insistenza, di un altro sindaco importante, e in prima fila, nel Pd attuale, e di zone attigue, cioè centro Italia. Oltre a quelli – a loro volta già noti – del ‘campione’ della sinistra interna, Peppe Provenzano (capolista per il Pd in Sicilia), della vicepresidente dell’Emilia-Romagna, pasionaria ‘de sinistra’, Elly Schlien (candidata in Emilia, pur se Letta se la porta in giro come una sorta di madonna pellegrina, sta per tirargli la coltellata). E, così ha scritto, giorni fa, Quotidiano nazionale, di Enzo Amendola, capolista dem in Basilicata, che dovrebbe unire il fronte degli anti-Bonaccini.
La sola differenza, dunque, è che la Lega pensa, come ‘anti-Salvini’, a un candidato ‘unico’ (Fedriga) a segretario, mentre, nel Pd, i candidati alla successione sono tanti e pure divisi. Il che, per Letta, potrebbe essere persino un vantaggio…
L’ombra di Banquo, per entrambi, è ‘Giorgia’
Certo è che Salvini come Letta sono alle prese il primo con ‘l’ombra di Banquo’ di shakeasperiana memoria (dal Macbeth), con Giorgia Meloni che ne è diventata l’ossessione e la fobia principale, al punto da chiedere ai suoi governatori e colonnelli di attaccarla ogni giorno e su ogni argomento, manco fosse, lei, Fratoianni&Bonelli in orbace. Ma i colonnelli e, soprattutto, i governatori, a dirla tutta, nicchiano assai sul punto, anche perché, se mai andranno o torneranno al governo, dovranno avere il placet della prossima premier, cioè lei, mica quello di Salvini, il quale – se proprio gli va di lusso – finirà per fare il ministro e rischia pure un dicastero di serie B, non certo gli Interni, Mattarella ha già detto ‘no’ tre volte.
E il secondo (Letta), pure, vive l’ossessione della Meloni, tanto che ieri, ospite dalla Annunziata, ha parlato tutto il tempo solo di lei, per contrastarla, dimenticandosi del suo programma, che pure c’è/ci sarebbe, tutto preso ad attaccarla.
Con la sola differenza che, almeno, mentre Salvini la Meloni l’ha sempre detestata, ci ha sempre litigato, di lei non si è mai fidata, insomma sono ‘cane&gatto’ da tempi lontani, Letta si fidava, ci cinguettava, ci parlava. Salvo dopo, cioè solo da poche settimane, scoprire che la sua ex amica è un “pericolo per la democrazia” e vuole “abbattere la Costituzione”, “cacciare Mattarella”, “allearsi con la Russia e la Cina”, “far diventare l’Italia come l’Ungheria di Orban” e altre cose turpi che, evidentemente, fino a un mese fa, la Meloni neppure si sognava di fare, manco fosse una sorta di Elly Schlien ‘de destra’. Insomma, il ‘bau-bau’ di Letta e Salvini resta lei.
“Brutti, sporchi e cattivi”. I giudizi impietosi di tre comunicatori su Salvini, Letta e gli altri
Ma ecco cosa pensano, di Salvini e Letta, come degli altri leader politici, tre bravi comunicatori: Gian Piero Travini (“Piave Digital agency”), comunicatore talentuoso, che lavora con candidati del Pd e della sinistra, Francesco Nicodemo, comunicatore già molto esperto, dalla lunga carriera e che ha anche lavorato a palazzo Chigi con Matteo Renzi; e, infine, Franz Russo (blogger, digital e social media top sulla Rete).
Ebbene, dicono – tutti e tre – più o meno, sia per Salvini come per Letta, la stessa cosa (campagna azzeccata, messaggio sbagliato). Così li ha raccolti e intervistati lo Speciale elezioni di ‘Qnet’, sezione di Quotidiano nazionale on-line.
Per Travini “Salvini ha tenuto, paradossalmente, toni molto pacati. Nel 2019 la retorica del “Capitano” è finita sul fondo di un mojito al Papeete e, oggi, può solo contenere il crollo della Lega. Il claim ‘Credo’ è un appello alla base per evitare ulteriori fughe verso Fratelli d’Italia, ma la sua difesa potrebbe essere un canto del cigno”. Per Nicodemo “è stata molto bella l’idea alla base di “Credo” della Lega (i dem americani avevano usato “I believe”, qualche anno fa), ma la crisi di leadership di Salvini e la saturazione dei suoi messaggi ne ha azzoppato la campagna”.
Tornando su Letta, per Travini, “Enrico Letta ha “scelto” come sua avversaria proprio la Meloni. La grande scommessa è che il Pd fosse il primo partito e Letta si dimostrasse come ‘front runner’ di poter battere Meloni, polarizzando. Noi o loro. Io o lei. ‘Meloni’ è la quinta parola più usata da Letta online. La strategia funziona, ma solo in parte: l’engagement di Letta – il tasso di coinvolgimento online – è oltre il 9%, il migliore tra tutti i leader, ma è un percorso che non porta risultati reali nell’immediato. La polarizzazione fa poi perdere di vista il valore del contenuto e il peso dei territori nel messaggio politico: per un elettore di centrosinistra può essere un problema”.
Per Franz Russo, “se guardiamo le mosse di tutti i leader, seguendo i dati rilevati da ‘Arcadia’ (Spa di Domenico Giordano che fa ottimo e puntuale lavoro sugli engagement di politici e non, ndr.), nell’engagement (coinvolgimento), si nota la netta polarizzazione tra Meloni e Letta, con la presidente di FdI più forte su Instagram e Facebook, mentre il segretario del PD si è difeso su Instagram e su Twitter, che ormai, però, è appannaggio di Carlo Calenda, terzo in termini”.
Impietoso il giudizio complessivo di Nicodemo: “Sin dall’inizio, si è sentita una stanchezza di fondo, forse dovuta al fatto che nessuno davvero era pronto alla campagna elettorale. Tra gli slogan hanno prevalso quelli bisillabici: ‘pronti’, ‘scegli’, ‘credo’. Immediati, ma letti tutti insieme sembrano una canzone trap, più che un payoff elettorale. La corsa alla presenza su Tiktok sembra dettata più all’improvvisazione che alla strategia. La parola cringe (“imbarazzante”, detto di scene e comportamenti altrui che suscitano imbarazzo e disagio in chi le osserva, cfr. l’Accademia della Crusca, ndr.) è diventata di uso comune e non solo tra le giovani generazioni. Abbiamo assistito a un paternalismo spiccio del tipo ‘cari giovani, ora vi spieghiamo come è il mondo e come usare tale piattaforma’, e a leader, a loro insaputa, diventati dei ‘meme’ viventi…”. Ecco, appunto. Meme viventi che vanno al voto...