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Intanto Draghi porta a casa 21 miliardi del Pnrr e lascia a Giorgia un tesoretto di 10 miliardi

Prosegue il silenzio operoso della leader di Fratelli d’Italia. Ieri il faccia a faccia con Salvini a cui Meloni ha spiegato perché non può dargli il Viminale e neppure la Giustizia. Salvini: “Ma ora dobbiamo pensare alle bollette e agli italiani”. I rischi della prossima rata. Luci e ombre della Nadef. Impazza il totoministri

Claudia Fusanidi Claudia Fusani   
Giorgia Meloni e Mario Draghi (Ansa)
Giorgia Meloni e Mario Draghi (Ansa)

Mentre con fare sobrio e felpato Giorgia Meloni cerca di tenere a bada l’irrequieto Salvini e lavora alla squadra di governo, il Pd sospende il casting per la segreteria - sei candidati in 24 ore, un record-  senza però aver ancora deciso di chi sono e cosa vogliono e soprattutto come fare opposizione, l’Italia ha un governo ed è affidato a Mario Draghi. Che sono i fatti contrapposti alle parole. Così ieri il Consiglio dei ministri ha approvato, nei tempi previsti e senza ritardi (anche la puntualità nei dossier è un punto di merito e affidabilità) la Nota di aggiornamento del Documento di economia e finanza (NaDef), il consuntivo finale dell’andamento economico del paese e il quadro di tendenza per l’anno prossimo. Soprattutto Bruxelles ha dato il via libera alla tranche di 21 miliardi del Pnrr per gli obiettivi raggiunti a giugno. Adesso gli Stati membri hanno un mese di tempo per le loro contraddizioni e se va tutto bene l’assegno della seconda rata sarà staccato.

Al lavoro fino all’ultimo giorno

Draghi ha sempre detto, e lo sta ripetendo a maggior ragione da lunedì, che la sua squadra lavorerà fino all’ultimo giorno assicurando un ordinato passaggio di consegne, i conti in ordine e i dossier in fase avanzata di realizzazione. Poi starà a chi verrà, cioè a Giorgia Meloni, ereditare agenda e metodo Draghi. Oppure cambiare. Da quello che è possibile capire, la nuova premier ha davanti a sé un percorso quasi obbligato nei temi economici. Almeno per i primi 3-4 mesi. A meno che non decida di sottostare alle richieste di Salvini e della Lega che chiedono lo scostamento di bilancio, Meloni non potrà che confermare le misure adottate da Draghi. Nell’attesa - ormai si spera conclusiva - che Bruxelles intervenga con decisione sui prezzi dell’energia e contro l’inflazione. Tenere i conti in ordine e tutelare il debito non è una delle “promesse” che Meloni avrebbe fatto al premier uscente rassicurando così anche i partner europei e non solo. Palazzo Chigi ieri ha smentito con forza i retroscena giornalistici che parlavano di come Draghi si stia facendo garante con l’Europa assicurando che su conti pubblici e politica estera non ci sarà alcun cambio di marcia da parte del governo entrante. E’ chiaro però che palazzo Chigi e i ministeri chiave - cioè Mef, Farnesina e Difesa - abbiano già le necessarie interlocuzioni per permettere una transizione ordinata. Così come è evidente che il presidente Draghi tenga fino all’ultimo giorno regolari contatti con gli interlocutori internazionali. Il messaggio, soprattutto per gli speculatori, è che l’Italia ha un governo che governa. E non ci sono spazi per sbandamenti.

21 preziosissimi miliardi

Bruxelles ha dunque accertato che i 45 obiettivi previsti entro il 30 giugno dal cronoprogramma del Pnrr sono stati raggiunti. Dei 21 miliardi 10 sono di sussidi e 11 di prestiti. Il Next generation Eu è un’opportunità unica per l’Italia per costruire un’economia più competitiva e sostenibile e una società più equa, come meno distanze e disuguaglianze. Meloni dovrà quindi decidere in fretta cosa fare: entro il 31 gennaio il suo governo dovrà raggiungere 26 obiettivi del totale di 55 previsti per il secondo semestre del 2022.  Diversamente non sarà erogata la terza rata pari a 24 miliardi. Ci sarà quindi subito una verifica da fare rispetto ai proclami e alle promesse della campagna elettorale ripetuti in queste ore da Francesco Lollobrigida, capogruppo di Fdi alla Camera: se Meloni, come ha detto, vorrà cambiare e modificare il Pnrr, il momento è arrivato. Potrebbe però, una volta assunta la responsabilità della guida del paese, valutare che non è il caso: il rischio di perdere tempo e soldi sarebbe troppo alto.  Tra i traguardi raggiunti con questa seconda rata ci sono la riforma del pubblico impiego (pubblico riconoscimento per il ministro Brunetta a cui Von der Leyen ha detto: “Una riforma davvero di ampio respiro”), degli appalti, dell’istruzione, dell’amministrazione fiscale, giudiziaria e sanitaria. E massicci investimenti in settori come 5G, ricerca, turismo e cultura.

E vorrebbe blindare anche la terza rata

Draghi vuole blindare anche la terza rata, valore 24 miliardi che scade a fine anno. Per questo secondo semestre sono 55 gli obiettivi e il governo uscente si è impegnato a realizzare 29, poco più della metà. Anche questo è un dossier già condiviso: non si può certo aspettare la fine di ottobre, un altro mese, quando verosimilmente ci sarà il giuramento, per capire cosa fare e come muoversi. Al governo Meloni resteranno 26 obiettivi in due mesi che saranno assai impegnativi anche per la sezione di bilancio.

La macchina del sottosegretario Garofoli e dei ministeri marcia a passo spedito per approvare/convertire/attuare  le 29 riforme promesse. Nel consiglio dei ministri di ieri sono stati approvati i tre pilastri (i decreti attuativi) della riforma Cartabia: il nuovo ufficio del processo, la revisione del processo civile e la riscrittura di quello penale. Nelle scorse settimane è stata chiusa la riforma delle commissioni Tributarie, degli istituti tecnici professionali (fondamentale per giovani e accesso al lavoro), il Fondo per l’housing universitario (660 milioni nel Pnrr), i fondi aggiuntivi per la transizione digitale. Sono stati anche stanziati i fondi aggiuntivi per la transizione digitale dei comuni ed è stata completata l’Istituzione dell’Agenzia per la cybersicurezza nazionale. Il fiore all’occhiello di questo pacchetto di norme relative al secondo semestre e già approvate c’è il decreto che estende a Regioni, province e tutti gli enti locali il Portale unico del reclutamento InPa. Si tratta del canale telematico che da novembre, dopo l’avvio già realizzato per le amministrazioni centrali,  ospiterà tutte le selezioni di personale e le procedure di mobilità del pubblico impiego.

Cosa c’è nei 26 mancanti

In pratica c’è tutta la parte attuativa del disegno di legge delega sulla Concorrenza, norme molto divisive per il destra-centro, che hanno contribuito a far saltare il governo e che devono essere attuate entro la fine dell’anno. A cominciare dal monitoraggio delle concessioni demaniali. C’è poi il completamento della governance del sistema idrico - l’obiettivo è evitare che tre diversi enti abbiano competenza su un torrente per cui poi alla fine nessuno fa nulla -  e tutto il capitolo della riforma dei servizi pubblici locali a cominciare dal trasporto pubblico. Anche qui: o il nuovo governo segue la strada tracciata oppure perdiamo 24 miliardi e mettiamo a rischio il Pnrr.

Intanto, la squadra

Ieri Giorgia Meloni ha passato a giornata a studiare dossier, incontrare persone e a ragionare sulla squadra. Il faccia a faccia con Salvini è servito a decidere almeno una linea comunicativa per cui “la maggioranza è impegnata a studiare le soluzioni per dare risposte ai cittadini”. Per quanto ci si sforzi di dire che non è mai stato finora affrontato il tema delle nomine e dei ministeri per evitare che si dica che le poltrone vengono prima delle bollette, il tema di cosa far fare a Salvini è invece centrale. Il leader della Lega è in difficoltà in casa sua, le voci di un suo passo indietro si fanno insistenti, e lui ha bisogno di far vedere che invece c’è, lavora e ottiene risultati. Ecco perché vuole Viminale e Giustizia. Meloni però non intende cedere nessuno dei due: c’è un processo in corso e la chiusura dei porti non è la sua proposta (che è invece il muro navale, cioè respingimento forzato in mare). Da qui l’idea di avere al governo due vicepremier - uno per ciascun alleato - e tenere libere le caselle del governo. Di sicuro la prima casella da riempire è quella del Mef. Sono stati smentiti spacchettamenti (anche perché la legge Bassanini impedisce il proliferare delle poltrone). I nomi dei papabili sono quelli di sempre: Panetta, Siniscalco e Franco, il ministro in carica. Tutti nomi in perfetta continuità con l’agenda e il metodo Draghi. E che si troveranno subito impegnati nella sfida della legge di bilancio.

Luci e ombre

Intanto ieri è arrivata la fotografia della Nadef. Parla di un’economia che cresce quest'anno più del previsto ma che sarà in brusca frenata l'anno prossimo. Con il calo del debito, dell'inflazione e soprattutto del deficit ma che consegna un tesoretto prezioso di una decina di miliardi al nuovo governo. Nonostante il “contesto difficile” - si legge - ci sono gli spazi per superare gli obiettivi. Il testo contiene solo la parte “tendenziale” e lascia quella “programmatica” al governo che verrà. Sarà il nuovo governo a scrivere la legge di bilancio (la parte programmatica, appunto) e Draghi ha sempre ripetuto che non avrebbe mai messo bocca su quello che sarà. Ciò detto, è chiaro che l’auspicio di Guido Crosetto (“scrivere una legge di bilancio a quattro mani, vecchio e nuovo governo”), uno dei primi consiglieri di Meloni, sarà in qualche modo applicato.

I numeri certificano un Pil che migliora quest'anno al +3,3% (dal +3,1% delle stime di aprile) grazie alla crescita superiore al previsto del primo semestre e nonostante la lieve flessione della seconda metà dell'anno. Ma a “subire gli effetti dell'indebolimento del ciclo internazionale ed europeo” sarà il 2023, con una brusca frenata al +0,6% (dal +2,4% nel Def). In discesa il deficit, che cala al 5,1%: un obiettivo inferiore di 0,5 punti rispetto al 5,6% fissato nel Def e già autorizzato dal Parlamento, che lascia uno spazio di manovra tra 9 e 10 miliardi al nuovo governo per un eventuale nuovo decreto energia di cui ci sarà bisogno a fine novembre per tenere in vita gli incentivi e i bonus del governo Draghi. Cala anche il debito, che imbocca un percorso di discesa (145,4% del Pil quest'anno e 143,2% il prossimo) che lo porterà nel 2025 sotto quota 140% (al 139,3%). Sull'inflazione, la previsione è che il tasso comincerà “a scendere entro la fine di quest’anno”.

Nella premessa il ministro Franco parla di “approccio prudenziale” e di dati “rassicuranti”. Quello attuale è un “contesto difficile” ma ci sono anche “margini” per fare meglio. “Il Governo conclude il suo operato in una fase assai complessa” ma “con evidenti segnali di ritrovato dinamismo per l'economia italiana” sintetizza Franco. Davanti ci sono mesi “complessi” tra i rischi geopolitici e il probabile permanere dei prezzi dell'energia su livelli elevati, ma le risorse senza precedenti per rilanciare gli investimenti (il Pnrr) “potranno dar luogo a una crescita sostenibile ed elevata”.

Un nuovo decreto come prima mossa

Il rialzo di tassi e rendimenti è destinato a ad avere un importante impatto negativo sul Pil nel 2023 (con una spesa per interessi verso il 3,9%). Sulla base di queste previsioni, ora la palla passa alla coalizione di centrodestra. A fine novembre ci dovrà essere un possibile nuovo decreto energia. Le  ultime previsioni sull'aumento delle bollette parlano di un +60% per la luce nel prossimo trimestre (Nomisma). Solo per replicare a dicembre quanto fatto per ottobre-novembre sul fronte aiuti, servirebbero 4,7 miliardi. Da prorogare lo sconto benzina (in scadenza a fine ottobre), che costa circa 1 miliardo al mese. Draghi lascerà un tesoretto di 10 miliardi da spendere.

Claudia Fusanidi Claudia Fusani   

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