“Non ci sarà un Draghi bis ma consegno un paese sano e con i conti in ordine. La democrazia è forte”
Il premier illustra il terzo decreto Aiuti pari a 14 miliardi. Chiude la storia del dossier degli 007 Usa. Si leva qualche sassolino dalle scarpe e fa 2 nomi come prossimi ministri

Altri 14 miliardi. “Se fate la somma - sorride Mario Draghi - con i 17 del decreto bis in approvazione al Senato, sono 31 miliardi, uno in più dei trenta miliardi che insistentemente alcuni partiti stano chiedendo per far fronte al caro vita. Noi li abbiamo dati senza fare nuovo debito e lasciando i conti in ordine”. Con una telefonata al segretario di Stato americano Blinken ha chiuso la storia del dossier dell’intelligente Usa sui fondi russi per condizionare la politica di oltre venti paesi. “L’Italia non c’è e non c’è alcun politico italiano. Questa la situazione. Al momento almeno”. Fa quello che ha promesso: realizzare 29 dei 55 obiettivi del secondo semestre 2022 per ottenere i 20 miliardi della terza rata del Pnrr. Così ieri il Consiglio dei ministri ha approvato due decreti legislativi previsti dalla legge sulla Concorrenza: la mappatura delle concessioni demaniali (spiagge comprese) e i nuovi principi per i servizi pubblici locali. La Lega non ha votato. Il centrodestra ha fatto campagna elettorale rassicurando i balneari che tanto “la legge è congelata fino al loro arrivo al governo”.
Poi, che c’entra, per tre volte a tre diversi tentativi, diretti e obliqui, per capire se sarà ancora premier Mario Draghi risponde per tre volte “No, no, no” con il sorriso stampato in faccia. E più o meno lo steso fanno i due ministri che gli siedono accanto - Franco e Cingolani - e che, si capisce, sono stati il suo punto di riferimento in questi ormai un anno e sette mesi di governo. Sono “tecnici” e li può portare in conferenza stampa senza fare danno a nessuno.
Di tutto questo, cosa rimbalza dalla campagna elettorale? Che l’agenda Draghi non esiste. Che un Draghi bis neppure può esistere. Che “il Terzo Polo ha quindi barato”. Il primo a dirlo è proprio Giuseppe Conte, il cui astio e rancore, qualcuno dice invidia, nei confronti di Draghi traspare ormai ogni giorno di più e senza freni inibitori in questa campagna elettorale. Il bello è che il secondo a dirlo è Enrico Letta quando il segretario dem ha fatto dell’agenda Draghi il suo cavallo di battaglia. A seguire arrivano gli altri. Come se una conferenza stampa fosse il posto dove si decidono certe cose. Ad una settimana dal voto poi.
“Lascio un paese forte, in crescita”
L’ottimismo della volontà di Mario Draghi: “Quando a New York nei prossimi giorni incontrerò i leader e capi di stato e di governo degli altri paesi racconterò esattamente il paese che lascio oggi: un paese forte, che cresce, rispetta i conti, coerente, che non ha ceduto a capovolgimenti in politica estera, atlantista, europeista, democratico”. Ma qui un giorno e l’altro pure Lega e Fratelli d’Italia, le forze di centrodestra candidate a guidare il prossimo governo, dicono di voler cambiare il Pnrr, mandano avvenimenti all’Europa al grido “tuteleremo gli interessi nazionali”, chiedono di fare nuovo debito, condividono il “regime ibrido di autocrazia elettorale” di Orban andando controcorrente riseptto alla maggioranza del Parlamento europeo. “Io - continua Draghi - posso dire cosa ha fatto fin qui questo governo, un governo del fare e non dello stare, che ha rispettato le promesse date. Poi se c’è uno (Salvini, ndr) che vuol togliere le sanzioni alla Russia e vuol parlare di nascosto con i russi o l’altro (Conte, ndr) che è orgoglioso dei successi in Ucraina e però non voleva mandare le armi, io che ci posso fare? Di sicuro non posso fare previsioni su quello che succederà. All’interno del centrodestra ci sono tanti punti di vista e non posso dire quale prenderà il sopravvento. Non condivido visioni negative e drammatiche e soprattutto credo nella maggioranza degli italiani che invito tutti ad andare a votare”.
I sassolini dalle scarpe
Chissà se quella di ieri è stata l’ultima conferenza stampa del governo Draghi. Sicuramente ci saranno incontri con la stampa nei vertici internazionali a New York in occasione dell’Assemblea delle Nazioni Unite (19-22 settembre) quando appunto Draghi, a tre giorni dal voto, incontrerà i leader mondiali e anche gli investitori e dovrà rassicurare sul passaggio di consegne a palazzo Chigi. Così come ci saranno altri momenti di incontro a Bruxelles in occasione del vertice del Consiglio europeo a metà ottobre quando avremo già votato ma non ci sarà ancora un governo (passerà più o meno un mese). Ieri è stata forse l’ultima conferenza stampa dopo il Consiglio dei ministri nella Sala polifunzionale. Un rito che aveva acquisito le sue abitudini.
E che ieri, proprio perchè l’ultima o quasi, li ha rotti. Il premier, accompagnato dai ministri tecnici Franco e Cingolani e dal sottosegretario Garofoli (non ha più fatto sedere accanto a se uno dei ministri in campagna elettorale) si è sottoposto a ben 15 domande accettandone anche due fuoriprogramma. “Così perdiamo il controllo” ha sorriso la portavoce Paola Ansuini. Si vede che aveva voglia di parlare. E così è stato. Ha ripetuto per tre volte e a tre domande diverse, con tre sorridenti “No” la sua non disponibilità ad un nuovo incarico. E’ stato assai più generoso con i ministri Franco e Cingolani, “sono bravissimi e consiglio a chiunque verrà di tenerli in squadra”. Gli interessati sono quasi arrossiti. Negando. Circa “presunti frequenti interlocuzioni con Giorgia Meloni” ha confermato di avere “rapporti con tutti i leader di maggioranza e opposizione. Poi voi continuate pure a ricamare”. Ha fatto buon viso a chi gli ha chiesto un giudizio su questa campagna elettorale “così becera e dai toni non commentabili” (riferito al centrosinistra). “Ma io non posso giudicare…”. E certo, è stata la replica “lei che è stato calato dall’alto”. Appunto - la controreplica - “come dice lei, io che sono stato calato dall’alto…”. Ha persino risposto a chi gli ha chiesto cosa potrebbe votare: “Ma c’è il segreto dell’urna”. Aplomb e sorrisi e qualche moto di stizza. E, soprattutto, Mario Draghi non ha alcuna intenzione di mollare l’agenda del suo governo. E snocciola, supportato poi dal ministro Franco elogiato per la capacità di “trovare soldi nel bilancio senza fare ulteriore debito e fare quasi una manovra ogni due mesi”, i provvedimenti del decreto Aiuti ter approvato in mattinata.
Il decreto Aiuti ter
Sono altri 14 miliardi che vanno a famiglie ed imprese contro il carovita. “Sono 31 miliardi in poco più di un mese, uno in più di quei trenta che qualche forza politica chiede aumentando però il debito. Noi li stiamo dando senza toccare i conti dello Stato ed evitando così tensioni sui mercati”. L’augurio, quasi una raccomandazione, è che anche il prossimo governo “segua gli stessi criteri” perchè i conti sono in ordine ed è importante che ci restino. La via è indicata.
Nei 14 miliardi c’è il bonus sociale (150 euro netti) per 22 milioni persone, il credito d’imposta portato al 40 per cento per le aziende gasivore e del 30% per quelle dai 4 ai 16 kgw (due milioni di piccole imprese), i 190 milioni per l’agricoltura e le pesca, i 100 milioni per il trasporto pubblico locale, i 40 milioni per cinema e tratti strozzati anche loro dalle bollette, 400 milioni per le Regioni per pagare le utenze di ospedali e Rsa, per il terzo settore e gli impianti sportivi. “La novità - ha spiegato il ministro Franco - è che le banche hanno accettato di lavorare per il paese e di accordare prestiti alle aziende in crisi di liquidità con tassi pari a quelli dei Btp, la garanzia è data dallo Stato ed è un prestito senza interessi che può essere restituito in 4-5 anni”. Non è la rateizzazione delle bollette ma si avvicina molto. “Sono misure finanziate dal maggior gettito di cassa dovuto alla crescita e all’inflazione” ha ribadito il ministro che è andato a cercare i soldi nelle pieghe del bilancio dello stato tra quelle voci di spesa che non sono state attivate.
Cingolani rassicurante
Per il futuro il ministro Cingolani si è detto fiducioso sul tetto al prezzo del gas. “La discussione a livello europeo porta a questa misura e al disaccoppiamento gas ed elettricità, il 30 settembre dovrà essere presa una decisione” ha detto. E comunque tra risparmi nel consumo dell’energia, stoccaggi che sono all’85%, diversificazione delle fonti (ieri il Cdm ha approvato sei ulteriori impianti eolici finora bloccati da vincoli paesaggistici per un totale di 45 impianti autorizzati dal governo per un totale di 2.185mgw. altri 14 impianti saranno liberati nelle prossime settimane, ndr), il paese “non deve temere la recessione se il sistema produttivo resta dinamico e vivace come è adesso”. La ricetta è “mettere in sicurezza l’ambiente produttivo”.
“Nel dossier Usa non c’è l’Italia”
Poi Draghi ha voluto fare chiarezza una volta per tutte sul caso dossier Usa e sui 300 milioni russi pagati in almeno venti paesi dal 2014 a oggi per influenzare le politiche nazionali. E’ stata una parola netta: l’Italia e nessun leader politico italiano è “al momento” coinvolto in questa storia. “La cosa più naturale da fare è stata telefonare al segretario di Stato Usa Antony Blinken e chiedergli cosa sapesse. Mi ha confermato l’assenza di forze politiche italiane nella lista di destinatari di finanziamenti russi oggetto dei lanci giornalistici di questi giorni. Successivamente anche l’intelligence Usa ha confermato di non disporre di alcuna evidenza di finanziamenti occulti russi a candidati e partiti politici che competono nell’attuale tornata elettorale”. Anche su questo Draghi ha voluto andare oltre la stretta comunicazione. E ha dato il suo punto di vista: “La democrazia italiana è forte, non si fa abbattere da nemici esterni, dai loro pupazzi prezzolati. Dobbiamo essere fiduciosi nella nostra democrazia. Non bisogna avere timore di qualunque voce. E’ chiaro che negli ultimi venti anni il governo russo, e questo risulta da amplissime ricostruzioni internazionali, ha effettuato una sistematica opera di corruzione nel settore degli affari, della stampa, della politica, in tanti settori, in molti Paesi europei e negli Stati Uniti. Queste sono cose note e non c’è niente di cui stupirsi”. Capitolo chiuso. In 72 ore.
Avanti tutta con il dl Concorrenza
Quello che non si chiude invece è l’azione del governo Draghi. In barba alla manovre da campagna elettorale. Ieri il Consiglio dei ministri ha approvato due decreti legislativi di attuazione della legge sulla concorrenza: il servizio pubblico locale (treni, bus, corriere) e la mappatura delle concessioni demaniale, il primo passo della Bolkestein. Non è azzardato dire che il governo è caduto per la delega concorrenza (era già successo a Monti). I taxi l’hanno fatta franca. I balneari no. Nonostante le promesse delle campagna elettorale il governo è andato avanti, come annunciato, “perchè è una riforma chiave del Pnrr che va realizzata entro il 31 dicembre altrimenti perdiamo la tranche da venti miliardi”. Sono 55 gli obiettivi da realizzare. Il governo Draghi ha promesso di realizzarne 29 entro la fine di ottobre. La concorrenza è uno di questi. I ministri della Lega si sono rifiutati di votare la misura in consiglio dei ministri. Garavaglia ha quasi minacciato le dimissioni. Vedremo. I soldi arrivano se facciamo le cose. Altrimenti non arrivano.
… e anche con la delega fiscale
Un altro pugno sui tavolo è arrivato sulla delega fiscale. “I partiti si erano impegnati di votarla ed approvarla entro il 7 settembre. Il governo si era impegnato a non procedere con i decreti delegati. Noi siamo stati di parola. I partiti no” ha detto Draghi. “Ma vediamo - ha aggiunto - c’è ancora una settimana in cui il Senato può dimostrare di rispettare le promesse fatte”. Il Parlamento dovrà lavorare. Fino all’ultimo giorno. L’ottimismo della volontà, appunto. Gramsci lo aveva contrapposto al pessimismo della ragione. Che forse ha avuto poi il sopravvento quando è arrivato a Ostra, nelle Marche, faccia a faccia con l’ennesima tragedia di un ambiente trascurato, boschi e fiumi non puliti che diventano bombe di fango dopo mesi di siccità. Il governo comunque c’è e farà ancora una volta tutto il possibile. Anche questo è metodo Draghi.