Le chiusure di Letta (Pd) e Renzi-Calenda (Terzo Polo) sono tutti un successo di piazza, ma sono avversari
Quello dem è un palco che sembra il Politburo del Pcus. Messi insieme al Terzo Polo avrebbero potuto fare paura al centrodestra, ma divisi non la fanno
“Viva l’Europa! Viva l’Italia! Viva l’Italia democratica e progressista! Viva il Pd! Andiamo a vincere le elezioni domenica!” grida ‘Enrico’, al termine del comizio del Pd a piazza del Popolo.
Lo striscione gigante, e il claim della campagna, è “Scegli”. Tutti insieme, sul palco, dietro Letta, provano a dare un’impressione di ‘unità’, di “un gruppo dirigente tutto compatto col segretario”. Ma la sfilza di ministri, governatori, candidati e amministratori, tutti in piedi dietro Enrico Letta, danno più l’idea da ‘vecchio’ Politburo del Pci o, anche, se il paragone non fosse ardito, del Pcus.
Certo, va anche detto che, in piazza, la gente c’è. Molti gli anziani, ovviamente, ma pure i giovani e tanti i sindaci che hanno ‘cammellato’ i loro, coordinati dal capo dei sindaci Pd, Matteo Ricci. Il quale, sindaco di Pesaro e ieri in piazza, dice: “Siamo arrivati alla fine di una campagna elettorale intensa e complicata, durante la quale abbiamo messo al centro i temi dell’ambiente, del lavoro, dei giovani, dei diritti sociali e civili. Domenica si sceglie. Si sceglie se stare dalla parte dell’Europa dei diritti, della giustizia sociale per un’Italia protagonista, democratica e progressista. Oppure dalla parte di chi questi diritti li nega. Mancano poche ore. Ma fino all’ultimo secondo faremo sentire la nostra voce”.
La piazza, incredibilmente, è molto piena, ma il Pd ci è sceso ‘da solo’ a piazza del Popolo
Paradossalmente, ieri, in piazza del Popolo, sembra che ci sia più gente del giorno precedente, quando in piazza era disceso, e tutto insieme, il centrodestra. Insomma, la sfida delle ‘piazze’, per il Pd, almeno quella, sembra vinta. Solo che il Pd è ‘da solo’, cioè senza gli alleati di coalizione (Verdi-SI, +Europa, Impegno civico) che hanno chiuso le loro campagne elettorali ognuno per conto proprio. Non proprio un esempio di unità, per la coalizione di centrosinistra. A fare massa (si fa per dire) ci sono i ‘nanetti’ giù inglobati nel listone “Italia Democratica e Progressista”: Psi, Articolo 1 (Speranza), Demos, Repubblicani, etc.
Ma insomma, è la piazza del Pd: si vede e si sente soprattutto: “Bella ciao” che risuona più di una volta, con tanto di orchestrina che la suona dal palco, ma la colonna sonora è “Life is life”, vecchia hit degli anni Ottanta assai retrò (in compenso, la Meloni aveva scelto Pupo, ecco).
A differenza del comizio del centrodestra, dove hanno parlato solo i tre leader, al ‘comizione’ del Pd, ‘democratico’ per definizione, parlano un po’ tutti, ma i tempi sono contingentati (due minuti) e pure inflessibili. Gli oratori sono una dozzina.
Una dozzina di oratori, ma che parlano poco… Franceschini urla un clamoroso ‘no pasaran!’
Tra gli altri, parlano il sindaco di Roma Gualtieri, le due capogruppo uscenti (le ‘vestali’ di Letta, le chiamano i maligni), Serracchiani e Malpezzi, e i tre ministri uscenti (Guerini, Franceschini, Orlando). Parlano poco pure loro e filano via lisci, tranne l’ex Dc-ex PPI-ex Margherita (e Pd solo alla fine) Franceschini che fa una tiratona antifascista (“Abbiamo di fronte una destra estrema, eversiva e pericolosa: non passeranno!”) che, per carità, per la piazza di ieri, va benissimo, ma fa davvero a pugni con la sua storia moderata. Poi, tocca a Roberto Speranza, molto applaudito che definisce la Meloni, che il giorno prima, dalla stessa piazza lo ha attaccato, “un’irresponsabile”.
Infine, oltre Elly Schlien, di cui parliamo dopo ben tre governatori (Emiliano e De Luca, che fa il suo solito show) e Stefano Bonaccini - la cui presenza ‘serve’ a testimoniare che non vuole ‘fare le scarpe’ al segretario in carica, ove il Pd andasse malissimo (non è vero, ma non importa), e di Alessandro Zan, cui Letta chiede un atto di fede (“la tua legge la approveremo nella prossima legislatura”: a Roma gli si direbbe: ‘ciao, core’), arriva il turno del segretario. Emozionato, con dietro tutto lo ‘squadrone’ dem, e detto che il tono da ‘comiziante’ non è il suo né gli addice.
Il discorso di Letta che non è un ‘comiziante’
Letta ce la mette tutta per convincere i militanti (già convinti) e gli elettori (assai meno), specie i più giovani, cui ha fatto diversi appelli al voto, che ‘devono’ votare Pd, domenica prossima. “Loro sono l’Italia del passato, noi l’Italia del futuro – scandisce le parole Letta che poi pigia, cambiando verso (ma solo in calcio d’angolo) a una campagna elettorale in cui il Pd ha parlato più di diritti civili che di diritti sociali, su “meno tasse sul lavoro, meno precariato, più soldi alla scuola e agli insegnanti, agli anziani, alla sanità”.
“Loro vanno solo a Budapest, noi a Berlino”, dice ancora, per testimoniare che il Pd sta dentro, e a pieno titolo, nelle famiglie europee che contano (infatti, appena prima, sono piovuti i messaggi di tutti i – pochi – leader socialisti rimasti su piazza, a partire dal premier spagnolo, Pedro Sanchez), e chiude con le, ormai note, parole di David Sassoli sulla speranza, dicendo che “siamo in rimonta”. I sondaggi non dicono questo, ma ieri era il giorno dell’orgoglio dem. E la festa non è stata rovinata. Domani è un altro giorno, soprattutto domenica.
Lo show anti-Meloni di Elly Schlein la ‘rossa’
“Sono una donna. Amo un’altra donna e non sono una madre, ma non per questo sono meno donna. Non siamo uteri viventi, ma persone con i loro diritti". E’ quando Elly Schlein prende la parola, a piazza del Popolo, e capovolge il discorso di Giorgia Meloni che, in un famoso discorso, disse: “Sono Giorgia, sono una madre, sono cristiana”, che, a questo punto, la piazza dem esplode: “Sei una di noi!” le gridano un po’ tutti.
Giacca e camicia rossa, un piccolo foglio di appunti, che tradisce una certa emozione (è la sola che non parla ‘a braccio’) Elly Schlein (all'anagrafe Elena Ethel Schlein, cittadinanza svizzera e, insieme, statunitense, classe 1985, ex europarlamentare del Pd, poi passata al partito mignon di Pippo Civati, ‘Possibile’, poi rientrata, intelligentemente, nel più grande Pd, oggi vicesegretaria dell’Assemblea regionale più ‘rossa’ d’Italia, quella dell’Emilia-Romagna, lesbica dichiarata, nonché candidata alle Politiche in un collegio blindato), scalda assai la piazza. Sono i suoi i passaggi, tra tutti i tanti discorsi, in particolare quelli sulle donne, quelli segnati dai più forti applausi, tra tutti gli oratori, a voler contare, ieri, ‘l’applausometro’ della piazza.
Non che la Schlien, però, abbia portato solo ‘gioie’, alla segreteria di Enrico Letta, di cui è diventata, di fatto, la ‘seconda in comando’, surclassando, nell’immaginario del popolo dem, due vicesegretari – quelli scelti da Letta - rimasti sempre un po’ in ombra: Provenzano e Tinagli.
Infatti, in alcune apparizioni televisive (per dire, da Lucia Annunziata) e in (molte) dichiarazioni, la Schlein ha nettamente ‘dirazzato’ rispetto alla linea baricentrica – né col Terzo Polo né coi 5s – che Letta ha cercato di imprimere alla sua campagna elettorale. Sia quando ha pestato duro sul tema dei diritti sociali, oltre che civili, sia quando ha ‘rimproverato’ Letta – che aveva definito quella con Verdi e SI “un’alleanza solo elettorale” – dicendogli, in buona sostanza, che, invece, per lei quella è un’alleanza tutta politica.
La verità è che, pare con il placet dello stesso segretario, se – dopo il voto – il Pd andasse male e Letta dovesse mollare la tolda di comando, sarà proprio lei a sfidare il ‘campione’ dei riformisti, Stefano Bonaccini. Il quale, pure lui, si ‘scalda’.
Pure Bonaccini, però, si scalda a bordocampo mentre tutti i candidati pensano al ‘ticket’
Infatti la ‘strategia’ del governatore emiliano sarebbe già chiara e pure già definita con i suoi. “Se il PD resterà sotto il 18% (cioè un disastro, la stessa percentuale del Pd di Renzi nel 2018, ndr.) Bonaccini chiederà a gran voce un congresso (anticipato) da tenersi subito” – spiega chi lo conosce bene e ne segue le mosse, nel Pd - mentre, invece, se il PD andasse sopra al 18%, ma restasse sotto al 20%, la minoranza dem (Base riformista, la corrente di Lotti e Guerini, ndr.) cercherebbe un accordo con Letta per arrivare a fine scadenza naturale del mandato del leader, con un segretario ‘traghettatore’ o, anche, con Letta stesso che resti in sella fino ad allora”.
“Se, invece, - continua la nostra fonte dem – il PD riuscisse a superare il ‘muro’ del 20%, Letta potrebbe, tranquillamente, arrivare fino alla scadenza ‘naturale’ del suo mandato (il 2023), con la nomina di Marco Meloni, oggi il suo capo segreteria, ma eletto sicuro al Senato (Sardegna), come capogruppo a palazzo Madama per evitare la ‘balcanizzazione’, in Parlamento, del partito”.
Insomma, una strategia che sembra, più che altro, un missile a tre stadi e che dipenderà, molto, dai risultati elettorali. Anche se - a Bologna, dove Bonaccini ha il suo quartier generale – c’è chi dice che, anche se il Pd restasse sotto il 21%, Bonaccini proverebbe comunque a forzare” e, cioè, a chiedere, a gran voce, un congresso.
E visto che, di questi tempi, nel Pd tutti cercano il ‘ticket’, pure questi sarebbero già pronto. Ma all’incontrario: Bonaccini (e altri candidati) cercano una donna, come vice, lei invece ‘cerca’ un uomo. E lo avrebbe anche già individuato: il giovane, e dalle esperienze sociali, non partitiche, parlamentare alla Ue, Pierfrancesco Majorino, milanese e, pure lui, molto ancorato alla sinistra.
Insomma, non solo per i risultati del centrodestra, ma anche per quelli dello stesso Pd, dentro i dem, tutti attendono il voto del 25 con il fiato sospeso.
La chiusura del Terzo polo che ancora ci crede con Renzi e Calenda pronti all’‘abbraciamose’
Poi ci sono ‘gli altri’. Ma non sono i ‘piccoli’ partiti, che lottano per agguantare la soglia di sbarramento, e di sopravvivenza, del 3% (così impone la legge elettorale, il Rosatellum): Italexit di Paragone a Italia Sovrana e Popolare di Rizzo e Ingroia fino a Unione Popolare di De Magistris. Sono, invece, due ‘poli’ che, pur rappresentando due liste ‘singole’ e non delle coalizioni, hanno l’ambizione – assai estesa – di rappresentarlo loro il ‘Terzo Polo’. E sono, appunto, Az-Iv e M5s.
L'ultimo appello del leader, con la voce ormai ai minimi termini, è per gli indecisi, "quelli per cui la politica è un magna magna. No, la politica dipende da chi la vota", mette in chiaro Carlo Calenda, prima che dagli altoparlanti partisse Born to Run di Bruce Springsteen, e che la
(piccola) folla che si è ritrovata, ieri sera, sulla Terrazza sul Gianicolo applaudisse il suo abbraccio (un po’ finto) con Matteo Renzi.
Un binomio nato quasi a sorpresa, a un mese dalle elezioni, che punta a non perdere Mario Draghi a Palazzo Chigi: "Se prendiamo più del 10% credo che quella potrebbe diventare la vera soluzione, la soluzione giusta". E poco importa che Draghi, alla sola idea, già rabbrividisce.
Questa esperienza elettorale poi potrebbe sfociare in un progetto più strutturato: "Innanzitutto saremo protagonisti in Parlamento - spiega il capo di Italia viva - e nel 2024 porteremo Renew Europe (il gruppo di liberal e macroniani, ndr.) non solo a essere il primo parroco in Ue, ma in Italia, troveremo le forme".
Intanto l'obiettivo è creare le condizioni per conservare Mario Draghi alla guida del Paese. "Ci aspettiamo un voto intelligente degli italiani, l'unico modo per tenere il Paese in sicurezza, è votare il Terzo polo", è la (ardita) tesi di Calenda.
Il suo compagno di viaggio, Renzi, non può citare i sondaggi ma è sicuro: "Abbiamo il vento in poppa, avremo un grande risultato". La chimica fra i due leader ha retto, finora, tra alti e bassi. "Molti scommettevano su quando avremmo litigato io e Calenda. Abbiamo litigato, ma non ve lo abbiamo fatto vedere - ha rivelato l'ex premier -. Anche sul luogo di questa manifestazione". La gente in piazza - oltre 4mila secondo gli organizzatori, ma sono decisamente eccessivi, almeno secondo la Questura - ride e applaude. "Il Terzo polo ha rappresentato l'unica novità di questa campagna elettorale. Il Pd - per Renzi - forse vince le elezioni nel Metaverso". Sventolano le bandiere bianche e blu nuove di zecca, sul palco si alternano i big dei due partiti, a partire dalle ministre Elena Bonetti, Mariastella Gelmini e Mara Carfagna, che lancia un avvertimento su Giorgia Meloni, potenzialmente la prima donna premier in Italia: "Mi dicevano 'dai Mara, una donna premier vuole dire sfondare un tetto di cristallo'. Ma il rischio è che i cocci di quel tetto di cristallo ricadano sulla testa delle donne italiane". "Chi la vota perché gli sta simpatica, poi non si lamenti. Col centrodestra al governo in quattro mesi saremo come nel 2011", il rilancio di Calenda, che definisce "aberranti" le parole di Silvio Berlusconi su Vladimir Putin e "insufficiente" il suo chiarimento: "Caro Silvio Berlusconi, è arrivato il momento che vai a fare altro, e noi ti aiuteremo a farlo accadere", dice, col solito disprezzo per (tutti) i suoi avversari.
Nel mirino dell'ex ministro ci sono anche Giuseppe Conte ("Non sei tu il papà del Reddito di cittadinanza ma i cittadini che lo pagano") ed Enrico Letta, accusato di aver puntato su una campagna elettorale divisiva, anche in tema di vaccini. Un collage di film ambientati nei luoghi più suggestivi di Roma dà a Calenda (Calenda la ‘fissa’ lo spunto per rilanciare un'idea di politica nata da "emozione e bellezza". "Il 90% di quello che hanno detto gli altri sono grandissime palle, la flat tax, i 10mila euro ai 18enni, il presidenzialismo. Questo Paese è fragile, deve ricominciare dai fondamentali", chiarisce, puntando sulla difesa di "due pilastri del welfare, la sanità e la scuola, che stanno crollando sotto i nostri occhi". Saranno pure i ‘fondamentali’, ma è più ’fondamentale’ sapere e capire, a sto’ punto, se sarà il Terzo Polo l’ago della bilancia, nel prossimo Parlamento, o lo saranno i 5Stelle, o se, – come è possibile, entrambi dovranno stare, per forza di cose, insieme al Pd, tutti all’opposizione.