Il retroscena, Meloni ai suoi: "Mi aspetta un incarico difficile, statemi vicino"
Dalla vincitrice sempre più moderata al "ridimensionato" Salvini, da Berlusconi a Toti, come sta il centrodestra il giorno dopo
Il giorno dopo il trionfo, esce un centrodestra un po’ meno trionfante di quello che raccontano gli istogrammi e le “torte” che illustrano graficamente come saranno le nuove Camere. Intendiamoci, il successo è nettissimo e non c’è riconteggio, attesa dei voti degli italiani all’estero, alchimie sui senatori a vita, ruolo dei sudtirolesi o del Terzo Polo che possa contraddirlo. Perché indubitabilmente la partita vera era quella della maggioranza assoluta a Palazzo Madama, questa volta ancor più importante perché i senatori sono scesi da 315 a 200, più quello di diritto e a vita, in quanto ex presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, e i cinque a vita: Renzo Piano, Carlo Rubbia, Mario Monti, Elena Cattaneo e Liliana Segre.
E anche il Rubicone di Palazzo Madama è agevolmente superato
E forse bastava leggere i nostri reportage su Tiscalinews, più e prima ancora dei sondaggi, per rendersi conto che i vincitori delle elezioni sarebbero stati due e solo due: Giorgia Meloni e Giuseppe Conte, perché per respirare le piazze non serve contare i numeri delle presenze, spesso di truppe cammellate, ma proprio respirare l’aria di quelle piazze. E lì si respirava chiaramente quelli che sprizzavano entusiasmo vero e quelli che erano lì perché dovevano esserci. Quelli che avrebbero vinto e quelli no.
Eppure
Eppure ci sono sensibilità diverse all’interno del centrodestra. C’è la vera e unica vincitrice, che è Giorgia Meloni, che paradossalmente ma non troppo è quella che tiene i toni più bassi ed istituzionali. Poche dichiarazioni roboanti, pochissimi temi divisivi (sull’aborto ci è stata tirata per i capelli, ma non aveva affatto detto ciò che le viene attribuito, e lo dico avendolo ascoltato personalmente), pochi riferimenti agli amici stranieri poco o nulla presentabili: da Vox a Orban.
Verso l'incarico di governo
Ma, per l’appunto, la misura di Giorgia in campagna elettorale, confermatasi anche in queste ore, è la prova provata della serietà con cui la leader di Fratelli d’Italia conta di affrontare l’incarico di prima donna presidente del consiglio dei ministri della Repubblica italiana, che entra nel Pantheon al femminile della politica italiana, dopo una serie di altre prime al femminile: Tina Anselmi prima donna ministro, Nilde Iotti prima presidente della Camera dei deputati (e, dopo di lei, Irene Pivetti e Laura Boldrini), Maria Elisabetta Alberti Casellati prima presidente del Senato della Repubblica, Marta Cartabia prima presidente della Corte Costituzionale (e oggi è il turno di Silvana Sciarra).
In arrivo un autunno durissimo
Insomma, siamo nei dintorni dei record e ci sarebbero tutte le caratteristiche per montarsi la testa. E invece Giorgia modera l’entusiasmo dei suoi, come racconta chi le sta vicino: “Ragazzi tranquilli. Mi aspetta un impegno da far tremare le vene ai polsi, non una passeggiata di salute. Il difficile viene ora, statemi vicini”.
Posizione molto seria e responsabile, anche perché Giorgia è assolutamente consapevole del fatto che sta arrivando un autunno molto duro e comprende che ogni esagerazione sarebbe rischiosa.
I più fidati
A fianco, oltre agli amici di sempre, a partire dal numero due del partito Francesco Lollobrigida, un ristrettissimo gruppo che ha contribuito a cambiare completamente lo storytelling di Giorgia senza però rinnegare le sue radici, persino nelle scelte musicali. Nei comizi c’era sì Lucio Battisti, ma la canzone simbolo della campagna elettorale, quello che fu “La canzone popolare” per Romano Prodi o “E’ Forza Italia”, “Azzurra libertà” o “Meno male che Silvio c’è” per Silvio Berlusconi, è stata “A mano a mano” di Rino Gaetano (scritta da Riccardo Cocciante), spesso accompagnata da un altro classico di Rino come “Ma il cielo è sempre più blu”.
Crosetto c'è sempre
Insomma, oltre all’onnipresente Guido Crosetto, la cui presenza è impossibile da non notare, anche per semplici questioni volumetriche, e a Raffaele Fitto, che ha costruito una credibilità in Europa, portando elementi liberali nel partito, a me piace ricordare il ruolo di Pietrangelo Buttafuoco, amico di Giorgia prima che consigliere, che ha spazzato via tante mezze figure che avrebbero dovuto rappresentare il mondo alla cultura al tempo di Gianfranco Fini (uno che infatti Buttafuoco non lo chiamava, troppo intelligente e arguto per un partito dove al solo sentire nominare la parola cultura si metteva la mano alla fondina) e ha spiegato benissimo il concetto in un’intervista a Repubblica dove si cita il bel film di Riccardo Milani con Paola Cortellesi e Antonio Albanese: “È la rivincita di Coccia di Morto su Capalbio”.
Una rivoluzione culturale in una frase. E poi anche amici dalle storie incredibili, come quella di Stefano Spinaci, giovanissimo luminare di cura dei tumori al seno delle donne, amico fraterno del coordinatore ligure Matteo Rosso, che è diventato amico pure di Giorgia e suo autista di fiducia anche grazie alla sua capacità di premere sull’acceleratore come una prima guida di Formula 1.
I perdenti
E gli altri? La Lega è andata malissimo, la resistenza di Salvini asserragliato in una sorta di bunker con i fedelissimi è quasi commovente (o patetica, a seconda dei punti di vista) di fronte a risultati che farebbero dimettere chiunque. E i primi critici, nell’ultimo dei partiti monolitici del mondo, sono venuti allo scoperto: il presidente veneto Luca Zaia, l’ex capo della Lega lombarda Paolo Grimoldi, l’ex numero uno del Copasir Raffaele Volpi, mister 90mila preferenze nel Nord-Ovest alle Europee Angelo Ciocca e tanti altri.
Addio Viminale per Salvini
Insomma, Salvini è sotto tiro e - visto che probabilmente non metterà più piede al Viminale – può però schierare tre cavalli di razza: Giancarlo Giorgetti e Roberto Calderoli si giocano le presidenze delle Camere, ovviamente una sola, Edoardo Rixi è praticamente candidato unico a fare il ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti, dove ha già fatto benissimo nel Conte uno, il governo gialloverde in cui è stato sottosegretario e viceministro al dicastero di Porta Pia.
L'inossidabile Berlusconi
C’è poi il risultato di Forza Italia, francamente incredibile alla luce delle ultime esternazioni di Berlusconi, che però potrebbero essere state anche di lucida follia per andare a intaccare l’elettorato filorusso indicato come numeroso dai sondaggi, nonostante le violenze russe e i crimini dell’esercito di Putin. Insomma - al netto della straordinaria capacità di Gianfranco Miccichè in Sicilia, il migliore per distacco fra i coordinatori azzurri, che aveva capito prima di tutti anche la forza di Cateno De Luca e di Nord chiama Sud in Sicilia che è arrivato secondo alle regionali ed ha conquistato in solitaria entrambi i collegi uninominali di Messina, unico ad entrare in Parlamento fra i non allineati e i piccoli - ancora una volta la rimonta azzurra e i voti di Forza Italia sono arrivati grazie a Berlusconi. E nonostante Berlusconi.
I delusi
E a questo punto il Cav ha idea di provare a ricostruire un’area moderata più larga: non è un caso se - dopo il risultato molto negativo di “Noi moderati”, la fusione a freddo fra Italia al centro di Giovanni Toti (che fa con grande onestà intellettuale un’analisi molto seria e senza sconti, né scuse di una sconfitta nettissima), Noi con l’Italia di Maurizio Lupi, Udc di Lorenzo Cesa e Coraggio Italia di Luigi Brugnaro, che conquistano solo una manciata di otto collegi uninominali - si riparla di polo moderato nel centrodestra, ma a trazione azzurra. L’invito, non ancora con le partecipazioni di nozze, ma subliminalmente chiaro a riguardare verso la loro casa d’origine arriva dal deputato vincente per distacco nel collegio uninominale del levante ligure, da Recco all’intera provincia della Spezia, Roberto Bagnasco e da suo figlio Carlo plebiscitato sindaco di Rapallo (quasi l’80 per cento), che è coordinatore regionale di forza Italia.
Sottosegretari cercasi
E, mentre si studia la possibilità dell’ingresso di due sottosegretari di Noi moderati nel governo Meloni: il lupiano Andrea Costa, che lo è anche oggi, tuttora in carica, nell’esecutivo di Mario Draghi, e la totiana Ilaria Cavo, che ha una storia da firma di punta del giornalismo televisivo Mediaset, e sarebbe un’ottima viceministro alla Cultura. Magari di Vittorio Sgarbi, che non è stato rieletto nella loro lista.
Ilaria Cavo è l’immagine del centrodestra che va a vincere in trasferta avendo espugnato il difficilissimo e popolare collegio dell’ultima parte della provincia di Savona e di Genova ponente, dove un tempo, in un passato recentissimo, stravinceva la sinistra. Ha vinto perché ha governato bene, perché studia i dossier e perché è una secchiona e consuma suole di scarpe e sudore. Insomma, il fatto che abbia vinto facilmente contro una sindaca Pd capace e molto sponsorizzata, ribalta molte narrazioni pigre.
Intanto, Pier Silvio Berlusconi passa al Salone Nautico e ci va in coppia e con la mano sulla spalla di Giovanni Toti.
Il giorno dopo il trionfo passa tutto.