[Il ritratto] La vita normale dell’uomo della cassaforte. Ecco chi era Gilberto Benetton
Se da piccoli i fratelli Benetton vivevano con le cameriere e le tate, appena cominciarono a crescere non avevano neppure i soldi per andare a scuola. «Quello che ha studiato di più dei miei fratelli sono stato io», ha sempre ripetuto Gilberto. «E ho smesso a 14 anni». Il successo grazie alle intuizioni
«Sono un uomo normale che fa una vita normale». Gilberto Benetton amava definirsi così quando si raccontava ai giornalisti. Poi, vabbé, è difficile sembrare tanto normale quando sei a capo di un impero e la rivista americana Forbes ti infila nell’elenco delle persone più ricche al mondo. Ma lui si riteneva normale soprattutto perché non amava esibire la sua ricchezza e, se avesse potuto scegliere, si sarebbe scelto una vita semplice.
L’uomo dei nuovi business
«Abito da sempre a Treviso in un appartamento del centro», si raccontò una volta in un’intervista. «Molto lavoro, pochi amici, sempre gli stessi. Tutte le sere dormo a casa». Cercava di rientrare anche quando gli affari lo portavano lontanissimo nel mondo. Famiglia all’antica, moglie e due figlie, Maria Laura Pasquotti sposata in età giovanile, e Barbara e Sabrina. E’ sempre stato il più riservato e il più schivo della famiglia. Ma se vantava pochissimi amici, poteva annoverare tante conoscenze nel mondo della finanza: non a caso era ritratto dai giornali come «l’uomo dei nuovi business», quello che teneva le chiavi della cassaforte di famiglia. E’ lui il fratello che ha cambiato il corso della storia dei Benetton, partiti da una maglieria, cresciuti come una grossa azienda di abbigliamento e diventati ai giorni nostri una famiglia della Grande Finanza.
Polmonite fatale
Gilberto è morto a 77 anni, piegato da un male incurabile che l’aveva sfiancato e ucciso da una polmonite, scosso nei suoi ultimi giorni dalla morte del fratello più giovane e dalla tragedia del ponte Brooklyn di Genova, da un’inchiesta giudiziaria che stava puntando il suo mirino proprio contro Autostrade, la società dei Benetton. «Dopo quello che è successo, niente sarà più come prima», aveva detto. E’ vero. Ma niente è mai stato come prima nella storia dickensiana di questi quattro ragazzini di provincia, - Carlo Giuliana Luciano e Gilberto -, orfani di padre, che dopo aver conosciuto un dignitoso benessere, avevano quasi fatto la fame prima di inventarsi un maglione giallo che avrebbe cambiato la vita loro e quella di tanti altri.
La storia di famiglia
Il papà aveva seguito il fascismo in Libia alla fine degli anni Trenta. «Ma fu ucciso da una nefrite nel ‘45», come ricordò Gilberto in una delle sue interviste. I soldi finirono in fretta. Se da piccoli vivevano con le cameriere e le tate, appena cominciarono a crescere non avevano neppure i soldi per andare a scuola. «Quello che ha studiato di più dei miei fratelli sono stato io», ha sempre ripetuto Gilberto. «E ho smesso a 14 anni». Tanto per capirci. Gilberto non ha mai parlato un’altra lingua che non fosse il suo italiano molto trevigiano e anche quando ha dovuto fare business internazionale se l’è sempre cavata soltanto con qualche sorriso e una stretta di mano. All’inizio della loro avventura hanno sempre ottenuto molto grazie alle intuizioni: così tutto cominciò quando Giuliana che faceva le maglie in un negozietto ne regalò una fatta con le sue mani a Luciano. Era di un giallo sgargiante, e tutti gli amici ne volevano una. Luciano disse alla sorella: Dai proviamo, tu le fai e io le vendo.
L’intuizione delle magliette
E allora iniziarono ad aprire un negozio e poi un altro e un altro ancora, e non bastavano mai. «Non riuscivamo a stare dietro a tutte le richieste, anche lavorando come matti». Fino al 1978 niente pubblicità. Poi arriva Oliviero Toscani proprio quando il marchio sta sfondando nel mondo. Ma dopo gli anni dei grandi successi, quando la discesa sembra irreversibile, è Gilberto, con il supporto del suo manager più fidato, Gianni Mion, a creare l’impero, sulla scorta di un piano di diversificazione avviato a fine anni 80 con l’acquisto della Sme da cui è nato Autogrill e poi Autostrade, e aeroporti, immobili e varie partecipazioni finanziarie in Mediobanca, Generali, Pirelli. Edizione srl è il cuore dell’attività economica e Gilberto il vicepresidente.
Il business si allarga
Nel 2000 c’è l’ingresso in Atlantia. Soprattutto grazie ad Autostrade i loro ricavi salgono alle stelle. Giovanni Castellucci, l’amministratore delegato che disse che il ponte di Genova non era pericoloso, era un uomo suo, che lui aveva portato dalla Barilla e poi aveva fatto crescere in azienda. Ma queste sono memorie e cronache delle ultime, tragiche polemiche.
La passione per lo sport
Gilberto, ha detto chi gli era rimasto più vicino, ne era rimasto molto scosso. Basta niente per cambiare il corso di una vita. Come nello sport, e lui lo sapeva bene. Era un appassionato di golf ed era stato anche un giocatore di basket di qualche risicata speranza: «Dai 14 ai 21 anni giocavo nella Duomo Folgore. Non sono arrivato nella prima squadra nonostante i consigli di un grande come Gianni Giomo e ho smesso dopo il servizio militare: un legamento rotto cadendo da un rimbalzo». E’ che la vita aveva altre promesse per lui, altre storie da raccontare.