TSMC, l’azienda che domina il mercato mondiale dei chip
La domanda cresce e i produttori non riescono a stare al passo. Tranne uno. Alla fine sono rimasti pochi grandi produttori che dominano il mercato. Un futuro da vincitori ma con grandi preoccupazioni
Il mondo ha fame di chip. E più di tutti ne hanno le fabbriche di automobili, quelle di videogiochi e computer, quelle di telefonia e quelle che producono server e apparecchiature informatiche. Ma è una fame destinata a non essere saziata se non tra un anno o più. Nel frattempo la domanda cresce e i produttori non riescono a stare al passo. Tranne uno.
Fabless e fonderie
Il settore della produzione di chip o semiconduttori ha seguito il destino di larga parte della produzione industriale: i grandi marchi storici, Qualcomm, Nvidia e gli altri, hanno mantenuto le funzioni alte, design e progettazione, dando la produzione in outsourcing a produttori terzi localizzati per lo più in Asia. La maggior parte delle aziende storiche sono in tal modo divenute “fabless”, aziende senza fabbriche, che commissionano i loro prodotti alle “fonderie” di chip, così chiamate perché il processo di produzione dei semiconduttori prende il via dalla fusione del silicio in lingotti cilindrici da cui poi vengono tagliate sottilissime fette o “wafer” sulle quali verranno poi montati i microscopici circuiti.
“Smaller, faster, cheaper”
I chip come le scarpe da ginnastica, l’abbigliamento e i telefonini insomma, grandi marchi da un lato, terzisti asiatici dall’altro. Solo che a differenza di quei settori, in quello della produzione di chip la tecnologia richiesta è divenuta sempre più sofisticata e gli investimenti necessari sempre più costosi. L’imperativo “smaller, faster, cheaper”, ovvero costruire chip sempre più piccoli, sempre più veloci e sempre meno costosi, ha determinato nel tempo la progressiva espulsione dal mercato di tutte le “fonderie” che non avessero le risorse necessarie per investire in ricerca e adeguare le loro linee di produzione. A causa dell’elevata mole di risorse necessarie sono fortemente cresciute anche le difficoltà per i grandi marchi a riprendersi la produzione in casa, il cosiddetto re-shoring.
Pochi grandi produttori
Alla fine sono rimasti pochi grandi produttori che dominano il mercato, il maggiore dei quali è la taiwanese TSMC, seguita dalla coreana Samsung, dalla taiwanese UMC e dalla statunitense Globalfoundries controllata in realtà dal fondo sovrano di Abu Dhabi Mubadala Investment Company. Circa il 91% della produzione di chip è localizzata nell’estremo oriente e in particolare a Taiwan e in Corea del Sud.
TSMC: leader indiscussa
L’azienda leader indiscussa del settore è la taiwanese TSMC. Fondata nel 1987, l’azienda oggi produce milioni di wafer, i sottilissimi strati tagliati dai lingotti di silicio fuso, la cui purezza deve essere quasi assoluta (99,9999999%) e sui quali viene poi montato il chip vero e proprio. Nel 2020 l’azienda ne ha sfornati oltre 12 milioni (il 23% in più del 2019) che sono andati a rifornire l’intero mercato. Non solo clienti finali, come possono essere le aziende dell’elettronica da consumo, della telefonia o dell’automotive, ma anche altri produttori di chip e aziende “fabless” come Broadcom, Qualcomm, Nvidia, AMD, Texas Instruments, ST Microelectronics, NXP, Renesas. Queste ultime a loro volta hanno clienti come Apple, Samsung, HP, Alphabet, Amazon, Dell, Continental, Tesla, Toyota, Ford. Direttamente o indirettamente, TSMC domina il mercato, i suoi chip sono più o meno ovunque dagli iPhone della Apple ai caccia F-35. Tanto più è sofisticata la tecnologia tanto maggiore è la quota dell’azienda taiwanese: solo il 3% delle sue vendite è diretto al settore automotive, che utilizza processori non particolarmente sofisticati, mentre circa il 50% ha come destinazione finale i produttori di smartphone, ben più esigenti in quanto a prestazioni.
Tutto in un campus a Taiwan
«Il settore dipende in modo incredibile da TSMC, specialmente per i prodotti di frontiera, ed è una situazione particolarmente rischiosa» – ha dichiarato al Financial Times Peter Hanbury, partner della società di consulenza Bain & Company. «Venti anni fa esistevano venti produttori, ora la roba più avanzata si fa in un solo campus a Taiwan». Un’opinione condivisa da Brett Simpson, analista di Arete, una società di ricerca del settore: «Il mercato sta dirigendosi verso un solo produttore dominante e un secondo meno grande, ma anch’esso capace», rispettivamente TSMC e Samsung. E ha aggiunto: «Quello che distingue TSMC dagli altri produttori è la sua capacità di rischiare e la sua abilità bel portare a termine i progetti».
Come metà dei fondi del Recovery Fund
Per capire di che tipo di capacità e di quali progetti si stia parlando basti sapere che solo nei prossimi tre anni l’azienda taiwanese ha piani d’investimento per 100 miliardi di dollari, più o meno pari a metà dei fondi che l’Italia riceverà dal Recovery Fund in sei anni. Come ha ricordato Wendell Huang, responsabile finanziario della TSMC, l’enorme investimento è necessario perché la società «sta entrando in un periodo di crescita ancora maggiore, sostenuta dai grandi cambiamenti strutturali indotti dal 5G e dal computing ad elevata prestazione».
20mila volte più piccoli di un capello
Già ora TSMC sta investendo 20 miliardi di dollari nella costruzione di uno stabilimento a Taiwan che dovrebbe entrare in funzione il prossimo anno e che diventerà il centro dell’universo della produzione di chip. Il sito sarà di 160mila metri quadri, più o meno 22 campi da calcio, e in esso verranno fabbricati semiconduttori di dimensioni così piccole da ridefinire il significato stesso di wafer. Il loro spessore sarà di soli 3 nanometri (3 milionesimi di millimetro) e saranno il 70% più veloci e più efficienti dal punto di vista energetico dei chip a 5 nanometri, i più avanzati attualmente in produzione. Più piccolo è il transistor montato sul chip, minore è il consumo di energia e maggiore la velocità e sui wafer a 3 nanometri verranno montati transistor che sono 20mila volte più piccoli di un capello umano. “Smaller and faster” come non mai.
Soli al traguardo
Il salto tecnologico e finanziario richiesto è tale che è probabile che l’azienda taiwanese, già oggi leader indiscussa, sarà la sola a potersi lanciare nella produzione di quest’ultima generazione di semiconduttori accompagnata forse dalla sudcoreana Samsung. Non sorprende quindi che nell’ultimo anno il valore delle azioni di TSMC sia raddoppiato portandola ad avere una capitalizzazione di 583 miliardi di dollari, due volte e mezza quella di Intel e maggiore della stessa Samsung. Anche il 2021 non si preannuncia affatto male, con il fatturato del primo trimestre aumentato del 24% e previsioni per l’intero anno di una crescita del 20%.
A ognuno le sue preoccupazioni
Un futuro da vincitori insomma. Ma anche i più forti possono avere le loro preoccupazioni. Anzi maggiori le dimensioni, più grandi sono i problemi da affrontare. E a turbare i sogni di dominio incontrastato di TSMC sono le tensioni tra Cina e Stati Uniti. Questi ultimi stanno facendo pressione sull’azienda di Taiwan perché non rifornisca più uno dei suoi maggiori clienti, la cinese Huawei, al centro di una disputa internazionale tra Pechino e Washington. Di converso la Cina, che spende più per importare chip che per importare petrolio, sta sviluppando un’industria dei semiconduttori per ridurre la sua dipendenza dalle forniture dall’estero e in particolare proprio dal gigante taiwanese. Secondo alcuni il tema è talmente caldo che Pechino potrebbe arrivare a considerare la presenza di TSMC a Taiwan come un motivo che potrebbe giustificare l’invasione dell’isola. Ipotesi senza dubbio esagerata, ma lo scenario di un qualche tipo di scontro nell’area non è da escludere, vista la situazione sempre più tesa, e in un modo o nell’altro la produzione del colosso mondiale dei semiconduttori potrebbe andarci di mezzo. Preoccupato da una possibile guerra su Taiwan, ad esempio, il Giappone ha accolto con favore la decisione dell’azienda di creare una controllata nel paese del Sol Levante dedicata alla ricerca su nuovi materiali semiconduttori. «Non è bene che TSMC sia solo a Taiwan, occorre che sia più distribuita» – ha dichiarato un funzionario del governo giapponese al Financial Times – «c’è bisogno di bilanciare il rischio di una guerra. Un rischio assai concreto».