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[L’analisi] Con Trump il commercio mondiale è in pericolo e vi spiego perché

L'arresto in Canada su richiesta Usa della vicepresidente di Huawei Wanzhou Meng per presunte violazione delle sanzioni all'Iran è un avvertimento mafioso alla Cina ma anche a tutti Paesi e all'Europa che continuano a rispettare l'accordo sul nucleare del 2015 con l'Iran sancito anche da una risoluzione Onu. In poche parole, oltre alle sanzioni sulle imprese che commerciano con Teheran, gli Usa emetteranno dei mandati di arresto chiedendo ai loro alleati di obbedire. Una sorta di Far West dove chiunque può finire con un “Wanted” stampato in fronte.

Alberto Negridi Alberto Negri, editorialista   
Donald Trump
Donald Trump

Soltanto uno sprovveduto può credere alla dichiarazioni degli americani, ovvero che la cinese Huawei abbia potuto mettere a rischio la sicurezza degli Stati Uniti. La realtà è ben diversa: l’America dell’agente immobiliare Trump sta annaspando nelle trattative commerciali con la Cina e non sa più a cosa attaccarsi per giustificare delle politiche protezionistiche che non hanno nessun consenso internazionale e stanno sprofondando i mercati.

Trump sapeva dell’arresto della direttrice finanziaria della società cinese mentre al G-20 di Buenos Aires concedeva una tregua a Pechino sul nodo dei dazi. Teneva per il collo come un ostaggio il vertice di una delle aziende più importanti del mondo e dettava al presidente cinese le condizioni.

La cronaca parla da sola con il tonfo delle Borse mondiali, soltanto in parte attutito dal recupero finale di Wall Street che da due giorni apre in maniera disastrosa perché ha mangiato la foglia: con questo presidente gli affari e il commercio mondiale sono in pericolo. L'arresto in Canada su richiesta Usa della vicepresidente di Huawei Wanzhou Meng per presunte violazione delle sanzioni all'Iran è un avvertimento mafioso alla Cina ma anche a tutti Paesi e all'Europa che continuano a rispettare l'accordo sul nucleare del 2015 con l'Iran sancito anche da una risoluzione Onu.

In poche parole, oltre alle sanzioni sulle imprese che commerciano con Teheran, gli Usa emetteranno dei mandati di arresto chiedendo ai loro alleati di obbedire. Una sorta di Far West dove chiunque può finire con un “Wanted” stampato in fronte.
Gli Stati Uniti ci chiedono in Sardegna di fare più bombe per i sauditi da rovesciare sui civili in Yemen ma ci impongono di non commerciare con l’Iran. Nel primo caso avremo la nostra fetta di utili e posti di lavoro, rassicurando Riad e Israele. Nel secondo, se osiamo esportare verso Teheran anche un paio di scarpe, finiremo sotto sanzioni Usa, irritando gli occhiuti servizi americani e israeliani.

Chi sbaglia paga: se poi qualcuno si spinge a vendere qualche apparato hi-tech alla repubblica islamica rischia di finire in carcere, come è accaduto alla direttrice finanziaria della cinese Huawei. Nessun problema invece per i 50mila yemeniti uccisi dai bombardamenti e dalla fame. Lì c’è licenza di uccidere: imprenditori e lavoratori siete avvertiti.
Ma soprattutto si capisce bene che qui tutti lavoriamo alacremente per gli Stati Uniti: uno dei contratti delle bombe prodotte per i sauditi in Sardegna dalla tedesca Rvm riguarda la Raytheon americana, uno dei giganti mondiali della produzione bellica.

L’aspetto più sconcertante è la cessione di sovranità europea e italiana per cui ci pieghiamo alle sanzioni americane contro l’Iran per favorire Arabia Saudita e Israele. Insieme alla doppia ipocrisia c’è quindi il consueto doppio standard che regola da decenni ogni questione mediorientale a danno di chiunque si opponga, dagli iraniani, ai palestinesi, ai siriani, al triangolo Washington-Riad-Tel Aviv. E anche i cinesi devono imparare la lezione senza illudersi di cambiare le regole del gioco.

Al G-20 di Buenos Aires quasi tutti i leader, con Putin in prima fila, sono andati a stringere la mano del principe saudita Mohammed bin Salman che secondo la Cia ha diretto l’assassinio del giornalista Jamal Khashoggi: l’ ipocrisia ha raggiunto i suoi massimi livelli. Ma questo è il copione che vogliono gli Stati Uniti: Putin lo ha capito e si adegua, la Cina non si era ancora è piegata. E adesso è arrivato un messaggio chiaro e diretto.

Alberto Negridi Alberto Negri, editorialista   
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