[Il punto] Tav si o Tav no? Conviene davvero farla? Ci sono esperti con forti dubbi
Già qualche anno fa il professor Ponti, docente di Economia dei Trasporti al Politecnico di Milano, affermava: “Il traffico merci su quella direttrice è in calo e difficilmente cambierà nei prossimi anni”. Il progetto allora è davvero prioritario? Anche la Francia comincia ad aver dubbi. Per questo forse non è sbagliato affidarsi a una approfondita valutazione costi-benefici
Molti cittadini sono scesi in piazza a Torino per chiedere ad alta voce la realizzazione del Tav, ovvero il Treno ad Alta Velocità tra Torino e Lione per il trasporto di merci e passeggeri che dovrebbe affiancare la linea ferroviaria esistente. Di questo progetto si discute da decenni. Le popolazioni dei territori interessati l’hanno contrastato fortemente e molti ambientalisti ne hanno messo in discussione utilità e convenienza. Esistono insomma nel Paese schieramenti contrapposti.
Adesso il governo Conte annuncia di voler dare una risposta sull’argomento, precisando che i soldi eventualmente risparmiati sul Tav non sarebbero certo accantonati ma investiti in altre infrastrutture davvero necessarie: ponti, strade, trasporti. In ogni caso riguardo al nuovo tratto di ferrovia che ci dovrebbe collegare meglio con la Francia occorre attendere, come ha di recente sostenuto il premier e ribadito la ministra per il Sud Barbara Lezzi, “l'esito dell'analisi costi-benefici che è in corso". Perché di certo "deve sempre prevalere il principio dell'efficacia".
"Verificare se conviene farla"
Insomma, al di là di quello che ne pensino i cultori sfrenati del Tav, e persino gli alleati della Lega, “devono essere i numeri a prevalere”, è saggio “verificare se conviene o no farla". Troppo spesso, in passato - si potrebbe far notare - sono stati realizzati progetti risultati poco consoni agli interessi della collettività e molto consoni a quelli di certi gruppi e holding. Basti pensare a talune “incompiute” disseminate sul territorio. Ed allora la domanda che i cittadini dovrebbero porsi, al di là delle appartenenze partitiche e dei colori sociali, dovrebbe essere in effetti proprio quella: conviene portare a realizzazione questa grande opera, oppure rischiamo di spendere ancora una volta tanti soldi inutilmente? Le posizioni degli esperti in materia, come accade in questi casi, sono contrastanti.
Il professor Ponti
Tra quelle che sollevano più di un dubbio sul Tav ce n’è tuttavia una particolarmente qualificata, quella del professor Marco Ponti, docente di Economia dei Trasporti al Politecnico di Milano (oggi in pensione), nominato a luglio 2018 dal ministero delle Infrastrutture consulente per la valutazione delle grandi opere, che già qualche anno fa prese posizione sulla grande e controversa struttura ferroviaria.
Una posizione interessante soprattutto perché proveniente da un tecnico di comprovata esperienza, un decano della materia, e non da un semplice esponente dei No-Tav. In sostanza il docente, già allora, si domandava se quel progetto fosse prioritario. Un progetto basato più che altro “sul trasporto-transito merci”. Un progetto non giustificato, secondo i più accaniti detrattori, da ragionevoli previsioni di traffico merci e passeggeri, che espone a una ingente spesa pubblica ed ha la potenzialità per compromettere in maniera irreversibile le risorse ambientali. Sarà così?
Il professore sfoderava alcune considerazioni basate su dati oggettivi. Faceva notare che il traffico merci su quella direttrice era andato effettivamente sempre calando. “In quell’area con la Francia scambiamo molto poco”, osservava l’esperto. E “sembra difficile che il traffico possa salire nei prossimi decenni stando ai trend verificabili attualmente”. Dunque dove sta la priorità dell’opera?
Secondo il professor Ponti “non è quella la direzione in cui si muove l’innovazione, già molto visibile nel settore dei trasporti. Più che elefanti bianchi, rischiamo di trovarci di fronte a cimiteri di elefanti, avendo indirizzato le scarse risorse pubbliche verso una tecnologia sostanzialmente ottocentesca, che soffre e soffrirà sempre dell’impossibilità di fare servizi porta a porta”. Del resto non è forse vero che la stessa Francia non sarebbe più tanto entusiasta del progetto della Tav Torino-Lione, soprattutto in ragione degli alti costi e delle scarse prospettive?
Costi e benefici
Ed allora sembra più che giusto fermarsi a considerare il rapporto costi-benefici, anche perché i costi alla fine li paga sempre Pantalone, ovvero i cittadini. Una certa dose di cautela su questo tema non è mai sprecata. Quali ritorni finanziari ci sarebbero una volta completata l’ingente spesa e realizzata l’opera? Se questi ritorni, come più d’uno dice, non ci saranno, o saranno esigui, allora i contribuenti dovranno mettere mano – manco a dirlo – al portafogli. “A meno che non si voglia ricorrere all’imposizione di tariffe elevatissime che limiterebbero probabilmente l’utilizzo del collegamento veloce”. Insomma, nonostante l’utilizzo di soldi provenienti dalla Ue, la collettività rischierebbe di dover sopportare pesanti fardelli. Una eventualità, questa, che il professor Ponti, già a suo tempo, illustrò alla perfezione.
Le opere prioritarie
Non è allora più giusto pensare di utilizzare, nel caso, quelle risorse per altre opere davvero prioritarie? Per Ponti “se i tassi di crescita del trasporto merci dovessero crescere a tassi elevatissimi, oggi impensabili, ci sarebbero almeno altre 30 opere più urgenti da realizzare, perché ben altre direttrici andrebbero in saturazione molto prima, sia di valico che non di valico”.
Ad avviso dell’esperto di trasporti infatti a studiare i numeri dei flussi internazionali, i costi per trasferire le merci “le imprese li devono sopportare nell’attraversamento delle aree dense, non certo sui valichi”. I dati? “Il 75% del traffico e dei costi per le imprese è dovuto alla congestione delle aree dense e metropolitane, con gli annessi problemi di inquinamento. Quindi è qui che occorrerebbe intervenire, dove i problemi esploderanno prima”, sosteneva in tempi meno sospetti l’esperto.
Ecco perché, per non rischiare di mettere pesanti costi sulle spalle dei cittadini, solo per favorire le attese (e magari gli interessi) di pochi, è senz'altro meglio analizzare bene i numeri, valutare appunto costi e benefici, discuterne con pacatezza e (possibilmente) obiettività, e poi, solo alla fine, scegliere.
Le analisi da fare
Sempre a seguire gli insegnamenti di Ponti sarebbero due in realtà le analisi da fare. “La prima – spiega l’esperto sul suo blog del Fatto Quotidiano - si chiama Costi-Benefici (ACB; in inglese per chiarire ci mettono anche un sociali: social cost-benefit analysis) e misura se le risorse consumate dalla collettività (non dallo Stato) per costruire qualcosa sono inferiori o superiori ai benefici totali (sempre per la collettività) che quel progetto produrrà negli anni. La seconda analisi si chiama Finanziaria (AF), ed è molto più semplice, c’entra solo lo Stato, non la collettività, e misura quanti soldi costa allo Stato costruire qualcosa e quanti di quei soldi gli torneranno in cassa negli anni. La ACB dunque serve a vedere se l’opera s’ha da fare per il benessere collettivo (chiunque ci metta i soldi), la seconda serve a vedere se rende soldi alle casse pubbliche o contribuisce a vuotarle”.
Questione di buon senso?
La domanda allora diventa una: e se davvero la posizione dell’esecutivo Conte fosse da considerare di buon senso? Sotto questo aspetto la dichiarazione della ministra Lezzi, che a questo criterio si è appellata, suona molto chiara: "Noi – ha sostenuto - prendiamo decisioni per il bene dei cittadini e non per inseguire il consenso. Se decideremo per il no, non ci sottrarremo al dialogo con la città di Torino”. Per altro “mi preme sottolineare un aspetto: noi andiamo oltre la logica della divisione Nord- Sud. Abbiamo ottenuto che su 15 miliardi da destinare in tutta Italia, previsti in manovra, il 34 per cento sarà vincolato per il Mezzogiorno: smettiamola di dire che il M5S è contro tutte le grandi opere o contro le infrastrutture tout court".
La posizione espressa dal governo è allora tanto lontana dal un criterio di buona amministrazione? Qualunque cittadino dovrebbe chiedersi se spendere tanti soldi pubblici ha una giustificazione. Un ritorno sociale. Perché non attendere di valutare l'esistenza di questo stato di cose? Verificare appunto “se conviene o no”. Perché questa smania di affrettare la realizzazione di una grande opera contestata fin dall’inizio da tanti, politici, cittadini e ambientalisti, e soprattutto dalle popolazioni locali? Ora molti scendono in campo, come la manifestazione di Torino ha dimostrato, e non c’è ragione di non credere nella loro buona fede. Ma nel nostro Paese sono proprio tutti animati dalla spinta a difendere l’interesse generale, oppure ci sono dietro alcune legittime istanze anche interessi particolari oltre a risentimenti politici? Se la risposta fosse sì, saremmo di fronte a un modus agendi pericoloso, a un rischio di manipolazione dei buoni intenti. Non sarebbe per altro strano che a breve qualcuno pensasse di organizzare una contro-manifestazione di tutti quelli che alla Tav sono contrari. E allora?
Un meccanismo oggettivo
Quando ci si scontra su una scelta o un punto di vista, ritenuto giusto e giustificato da ambedue le parti contendenti, non resta appunto che approfondire le posizioni e affidarsi, per la scelta, ai dati oggettivi. A una verifica, appunto, per appurare se andare in una certa direzione conviene o non conviene. E le scelte potrebbero essere diverse a seconda dei casi, come dire che il Tap potrebbe risultare in definitiva cosa da farsi e la Tav magari no. Aspettiamo dunque il risultato dell'analisi. Certo serve un meccanismo di decisione il più possibile oggettivo. E serve spiegarlo bene al Paese.