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[L’analisi] Sanità, scuola, trasporti e stipendi pubblici: in arrivo un taglio brutale

Nel 2020 ci sarà una Manovra pesante. La medicina del governo gialloverde sarà amara. Un colpo mortale al welfare

Maurizio Riccidi Maurizio Ricci   
[L’analisi] Sanità, scuola, trasporti e stipendi pubblici: in arrivo un taglio brutale

Preferite pagare di più il medico, perché l’Iva sulla fattura è più alta o pagare di più l’esame del colesterolo, perché è più pesante il ticket da versare alla Asl? O l’una cosa o l’altra. O, forse, un po’ di tutt’e due. Di certo, si può escludere l’ipotesi “né l’una, né l’altra”,  che esiste solo nell’universo parallelo dei comizi di Salvini e Di Maio. Prepariamoci, insomma, ad una manovra economica pesante e ad un 2020 difficile. Alternative (anche in caso si andasse alle elezioni) non ce ne sono.  Un corpo a corpo con i mercati e con lo spread, un commissariamento da parte dell’Europa, una rottura con uscita dall’euro sono tutti scenari con costi assai più alti. La medicina che il governo gialloverde finirà per somministrare al paese per risollevarlo dalla sbornia delle promesse elettorali del 2018 (a partire dai 16 miliardi di euro per reddito di cittadinanza e quota 100, in bilancio per il 2020) è, insomma, ancora il minore dei mali. Anche se è assai amara. Basta chiederlo ai pendolari che, nelle prossime settimane, in un primo assaggio della manovra, vedranno sfilarsi sotto il naso 300 milioni di euro di fondi destinati al trasporto regionale e cancellati con un tratto di penna.

I conti con Bruxelles

Giuseppe Conte è sbarcato a Bruxelles per il vertice europeo con una notizia sorprendentemente buona e un’altra velenosamente cattiva. La notizia buona schiarisce l’orizzonte 2019 e fornisce un po’ di fiato per il 2020. Purtroppo, la notizia cattiva rischia di affondare tutt’e due gli anni.

Cominciamo dalla notizia buona. I conti del 2019 vanno meglio, anche di quanto un governo pur sistematicamente ottimista avesse previsto. A rafforzare il sospetto che reddito di cittadinanza e quota 100 per le pensioni non fossero misure destinate a tamponare drammatiche e impellenti emergenze sociali, le domande sono state largamente inferiori alle attese. La spesa per il 2019 sarà la metà di quella (17 miliardi) inizialmente stanziata dal governo Salvini-Di Maio e solo due terzi di quella (11 miliardi) sforbiciata a dicembre dalla Ue. In due parole, le due sospirate riforme costeranno, quest’anno, 3 miliardi in meno, secondo il presidente dell’Inps, Pasquale Tridico. Soldi che sarebbero stati meglio impiegati se investiti in infrastrutture, dunque, ma che, comunque, al momento, sono stati risparmiati. Contemporaneamente, ha funzionato la fatturazione elettronica dell’Iva. Questa e altre entrate alleggeriscono il bilancio per altri 3 miliardi di euro. Infine, c’è il “fondo Tria”, i 2 miliardi di euro di tagli lineari alla spesa (stanno qui i 3oo milioni sottratti ai pendolari) che il ministro del Tesoro aveva congelato a dicembre per mostrare che la spesa era sotto controllo. I tagli, ora, verranno effettuati. Sommati agli altri più (meno spese e più entrate) si arriva ad un bilancio 2019 più leggero per 8 miliardi di euro circa. Il disavanzo (la “linea del Piave” di dicembre) scenderebbe, quindi, dal 2,5-2,4 per cento preventivato al 2 per cento circa.

L’ombra della recessione

Anche se questo non spegne tutti i malumori di Bruxelles (ci sarebbe anche un buco 2018, passato in cavalleria), difficile che la Commissione non ne prenda atto, allentando l’atmosfera da ultima spiaggia che grava sulla minaccia di una procedura d’infrazione per deficit eccessivo che pende sull’Italia. Purtroppo, questa è solo metà della storia. L’altra metà sono le valutazioni che l’Istat ha appena fatto sull’andamento dell’economia italiana. Dopo la recessione della seconda metà del 2018, c’era stato, nel primo trimestre un piccolo rimbalzo. Ma non era la svolta: man mano che la primavera è diventata estate, l’orizzonte si è andato oscurando. Il secondo trimestre potrebbe segnare di nuovo recessione. L’Istat conferma la previsione (per l’intero 2019) di una modesta crescita (0,3 per cento). Ma, visto che, per il momento, siamo a zero, questa è ancora una scommessa.

Il punto è decisivo, perché, per allentare la morsa di deficit e debito, è aritmeticamente necessario che il Pil nominale (quello reale più l’inflazione) salga più di quanto costa, nell’anno, il debito pubblico. Andiamo nella direzione opposta: il debito costa il 2,8 per cento e il Pil nominale cresce a malapena dell’1 per cento. Debito e disavanzo continuano, dunque, inesorabilmente ad allargarsi, proiettando un’ombra sinistra su tutto il prossimo anno.

La stretta del  2020

Ecco perché l’attenzione dell’Europa, nelle prossime settimane, si concentrerà sui programmi per il 2020. Anche la magra previsione di una espansione dello 0,7 per cento, l’anno prossimo, è, infatti, appesa ad un filo e questo peggiora tutti i parametri della finanza pubblica. Il nodo centrale sono i 23 miliardi di euro messi a bilancio, con un aumento record dell’Iva, per pagare 16 miliardi di euro previsti per la spesa di reddito di cittadinanza e quota 100 nel 2020. Se, come il governo ripete, l’Iva non aumenterà, il disavanzo sfonderà il tetto del 3 per cento, fissato a Maastricht. Se vi aggiungesse la flat tax voluta da Salvini, si veleggerebbe sopra il 4 per cento. Per scongiurare l’aumento dell’Iva e varare la flat tax, senza scardinare il disavanzo, occorre trovare una cinquantina di miliardi di euro in misure alternative. La scommessa del 2020, con Bruxelles, è questa.

E’ possibile che, sulla flat tax, la Lega si accontenti di un impegno per i prossimi anni. Il buco da riempire scenderebbe a 35 miliardi di euro, circa. Da limare con i risparmi su reddito di cittadinanza e quota 100 che dovrebbero replicarsi nel 2020. La stima dell’Inps è di un risparmio di 5 miliardi di euro, sulle due misure, rispetto alle previsioni per l’anno prossimo. Dei 30 miliardi ancora da coprire, il grosso è il buco dell’Iva: 23 miliardi. Da mesi, al Tesoro, stanno simulando un aumento articolato, che limiti il rincaro ai beni socialmente meno sensibili. L’aliquota Iva, insomma, salirebbe, ma le esenzioni potrebbero far scendere il peso sull’economia di una decina di miliardi.

I tagli al welfare

E i 20 miliardi che ancora mancano? E’ qui che al Tesoro sono partite altre simulazioni. In buona sostanza, l’ipotesi sarebbe quella di replicare, in versione maxi, il congelamento dei fondi per 2 miliardi di euro, messo in pratica quest’anno. Sfumata ogni velleità di spending review, arenatasi come in tutti gli anni precedenti, si procederebbe con un taglio secco, lineare su tutte le poste di spesa. Si tratta di intervenire sulla carne viva del paese. Le grandi poste di spesa sono, infatti, la sanità, la scuola, le pensioni, gli stipendi pubblici, insieme agli investimenti. Il taglio sarebbe secco, brutale, indiscriminato, per almeno una decina di miliardi di euro, da distribuire, pro quota, su tutte le spese. Quello che resta, oggi, del welfare ne uscirebbe azzoppato.

Un risultato annunciato, dirà chi, fin dallo scorso autunno, aveva definito la manovra 2019 “una bomba ad orologeria”. L’effetto di un peggioramento del clima economico internazionale che pochi avevano saputo calcolare, dirà chi cercherà di appellarsi alla solidarietà degli altri paesi europei. La camicia di forza imposta dalle regole capestro della Ue, dirà chi pensa che il debito pubblico italiano interessi solo gli italiani e che gli europei dovrebbero pensare ad altro. Prepariamoci a discuterne nelle prossime settimane.

Maurizio Riccidi Maurizio Ricci   
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