Swift: la ragnatela lungo la quale viaggiano i nostri soldi è davvero sicura?
Ogni catena è forte quanto il suo anello più debole, e per Swift l’anello debole sono i sistemi bancari delle nazioni più piccole o meno sviluppate
È cosa nota e arcinota. Il nuovo e fantastico mondo della rete, dei social, delle app, del 5G e di internet of things è in realtà un mondo pieno di rischi. I nostri dati, volontariamente forniti per accedere a questo o quel servizio, vengono usati per le più disparate finalità, dal marketing invasivo fino alla truffa o al furto d’identità. Le nostre preferenze vengono registrate e utilizzate per veicolare messaggi commerciali o politici, le nostre opinioni indirizzate verso obiettivi più o meno commendevoli. Le cronache sono piene di casi assai preoccupanti: dallo scandalo Cambridge Analytica, alle manovre russe per influenzare le elezioni di mezzo occidente, dai piani del governo cinese per schedare i volti dell’intera popolazione, all’utilizzo dei dati sanitari da parte di Google e Facebook.
Banche dati che raccolgono tutto di tutti e vengono passate a pettine fitto da programmi che analizzano, raggruppano, elaborano, agiscono. Il tutto per aziende, partiti e governi e per fini non sempre leciti. Se va bene. L’alternativa è che a farlo siano individui o entità con finalità criminali che approfittano di buchi e bachi, protezioni non all’altezza, sistemi vulnerabili ecc.
A tutto ciò ormai abbiamo fatto il callo: prestiamo attenzione, ma non più di tanto, e sicuramente non quella che dovremmo.
C’è una piattaforma che…
Tra le tante banche dati e infrastrutture che potrebbero essere a rischio, ce n’è una la cui esistenza è poco nota, ma che svolge un ruolo fondamentale nel mondo senza frontiere di internet, così come lo svolgeva in quello dei muri alla fine degli anni’70. È la piattaforma che governa l’intero sistema di transazioni internazionali, nota come SWIFT. La storia è stata ben raccontata da Tim Harford sul sito della BBC pochi giorni fa dal titolo “Why is the world's financial plumbing under pressure?”.
Il nome Swift non apparirà del tutto nuovo, è infatti uno dei codici delle nostre coordinate bancarie, insieme all’assai più familiare Iban. Il sistema è stato sviluppato negli anni ’70 del secolo scorso per evitare l’implosione del sistema di transazioni internazionali e nel contempo far fronte a un possibile monopolio americano.
In principio fu il telex
Dalla fine della seconda guerra mondiale in poi per dare ordini di accredito da un conto all’altro e da un paese all’altro si usava il telex, un sistema che consentiva di scrivere un messaggio da un terminale e di inviarlo attraverso le linee del telegrafo o quelle telefoniche al terminale di arrivo che lo avrebbe poi stampato. Naturalmente, trattandosi di transazioni finanziare non era prudente che i messaggi fossero in chiaro. Si sarebbe corso il rischio di manipolazioni e truffe.
Facendo tesoro dell’esperienza maturata nel corso della seconda guerra mondiale nella criptazione e decrittazione dei messaggi, le banche svilupparono così una serie di codici e di processi di cifratura e decifratura dei messaggi degni di Enigma, la famosa macchina costruita dagli inglesi a Bletchley Park per svelare il contenuto delle comunicazioni tedesche.
Il processo però era lungo e faticoso, non automatizzato e prono al verificarsi di errori che potevano avere costi potenzialmente rilevanti. La progressiva integrazione dei mercati accrebbe sempre più le pressioni sul sistema che si rivelava inadatto a gestire una crescente mole di operazioni. Serviva un nuovo sistema, un’esigenza avvertita soprattutto dai paesi europei sempre più interdipendenti tra di loro.
Vennero avviati programmi di ricerca, create commissioni di studio, gruppi di lavoro e chi più ne ha più ne metta. Ma le cose procedevano a rilento. Fino a quando l’americana Citibank non cominciò a imporre il suo sistema “Marti”. La mossa, tuttavia, venne vissuta con un misto di fastidio e timore dalle banche europee a cui in generale una soluzione “americana” piaceva poco e nel caso particolare non gradivano consegnarsi armi e bagagli alla soluzione di una banca rivale.
I principali istituti di credito europei decisero quindi di unire le proprie forze e diedero vita a un nuovo consorzio, la “Società per le telecomunicazioni mondiali interbancarie”, in inglese Society for Worldwide Interbank Telecommunication, Swift appunto.
Un sistema che funziona
Si trattava di una società privata, con sede a Bruxelles, i cui soci erano 270 banche di 15 paesi diversi. Swift forniva un servizio di comunicazione utilizzando un format standardizzato che minimizzava gli errori e semplificava drasticamente le procedure. Linee dedicate e centrali di comunicazione vennero inizialmente installate a Montreal, New York e in 13 centri bancari europei. Le banche si sarebbero poi allacciate alla centrale del proprio paese. Il primo messaggio fu inviato dal Principe Alberto del Belgio il 9 maggio 1977. Il rivale sistema Marti fu chiuso lo stesso anno.
Negli anni l’infrastruttura è cambiata, crescendo ed evolvendosi così da poter gestire gli attuali 8 miliardi di operazioni all’anno. È cresciuto anche il numero di banche e istituti coinvolti, oggi oltre 9mila. L’infrastruttura tuttavia non sarebbe sufficiente, se il sistema non prevedesse anche un elevato grado di cooperazione tra i vari associati che consente non solo di definire standard, ma anche di risolvere problemi e disaccordi tra i suoi membri.
Il problema non è l’anello debole
Non tutto però è scintillante come l’oro. Ogni catena è forte quanto il suo anello più debole, e per Swift l’anello debole sono i sistemi bancari delle nazioni più piccole o meno sviluppate, i cui meccanismi di sicurezza non sono sempre sicuri come dovrebbero. Nel 2016 ad esempio vi furono alcuni cyberattacchi provenienti dal Bangladesh. Ma, almeno per ora, si tratta di casi sufficientemente rari da non far scattare l’allarme rosso. I veri problemi, invece, sembrano venire da un’altra parte.
Il fatto di essere al centro della ragnatela finanziaria globale, anzi di essere la ragnatela stessa, rende Swift una tentazione irresistibile per i governi di un mondo sempre meno multilaterale e sempre più caratterizzato da nazionalismi, sovranismi e leader poco propensi al negoziato e molto all’azione unilaterale.
Gli Stati Uniti, ad esempio, hanno da tempo messo nel mirino la società di Bruxelles. Swift è stata così oggetto di richieste del governo di Washington per avere accesso al suo database per tracciare transazioni legate al terrorismo oppure di negare l’accesso alle banche iraniane, sotto embargo USA. Richieste a cui, nonostante il disaccordo europeo, la società di diritto belga non è riuscita a sottrarsi. Come giustamente ha scritto Harford nel suo articolo: “Swift non è interessata alla geopolitica, ma la geopolitica è interessata a Swift”.
E lo sarà sempre più in futuro. Gli Stati Uniti sono la prima potenza finanziaria del mondo e hanno quindi un peso notevole nel porre le loro richieste che non deriva solo dal loro ruolo di potenza mondiale. E hanno sempre più fronti aperti, primo fra tutti quello cinese, tra Huawei e dazi. Chissà che magari un giorno non se ne apra uno europeo. Cosa succederà allora?