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Il grosso bazooka della Bce ha iniziato a sparare una montagna di soldi pubblici. L'Italia respira e ora il Mes

E' un Quantitative easing al quadrato: questa montagna di soldi servirà alla banca centrale europea per rastrellare titoli pubblici - italiani, ma anche francesi, spagnoli - sostenendone i prezzi e impedendo così che gli interessi sul debito (che si muovono in senso opposto ai prezzi) schizzino verso livelli insostenibili.

Maurizio Riccidi Maurizio Ricci   
Il grosso bazooka della Bce ha iniziato a sparare una montagna di soldi pubblici. L'Italia respira...

Ecco quanto è grosso il bazooka della Bce, tante volte evocato per mettere in riga i mercati e salvare l'euro. Più di mille miliardi: i 320 che erano già in cassa più i 750 miliardi di euro messi sul tavolo, in tutta fretta, ieri notte, in una inedita riunione notturna (telefonica), a mercati chiusi, del vertice di Francoforte. E' un Quantitative easing al quadrato: questa montagna di soldi servirà alla banca centrale europea per rastrellare titoli pubblici - italiani, ma anche francesi, spagnoli - sostenendone i prezzi e impedendo così che gli interessi sul debito (che si muovono in senso opposto ai prezzi) schizzino verso livelli insostenibili.

Il soccorso arriva quando già si sentiva rumore di tempesta. Per tutta la mattinata di ieri, l'Italia aveva rischiato di restare schiacciata in una micidiale tenaglia. Da una parte, fuori, nel paese, il montare inesorabile dei contagi e gli appelli disperati del governatore lombardo, Fontana. Dall'altra, nei mercati finanziari, l'emergenza spread e l'apparentemente incontrollabile ascesa dei rendimenti dei Btp, ovvero del costo del nostro debito pubblico, tornato ai livelli da stress insostenibile dell'autunno caldo di due anni fa e della Finanziaria di allora, targata Salvini-Di Maio.

Una sorta di doppio meltdown, sanitario e finanziario, proprio nel momento in cui il governo è a caccia disperata di risorse per tamponare l'emergenza epidemia. In serata, la situazione sui mercati si era alleggerita, le quotazioni erano tornate vicine ai livelli di martedì, grazie all'intervento di mani pesanti, Banca d'Italia (che opera per conto della Bce) in testa. Ma la tensione restava altissima ed era difficile pensare che potesse essere gestita giorno per giorno, solo reagendo via via alle spinte degli operatori.

Era il momento, dunque, di far vedere questo bazooka, finora tenuto chiuso nell'armadio degli attrezzi. Anche ieri, infatti, si erano replicate le dichiarazioni rassicuranti del vertice di Francoforte. “Siamo pronti a misure audaci” diceva il vicepresidente (spagnolo) Luis de Guindos. “Non lasceremo che ogni paese vada per conto suo” rincarava un altro componente del direttorio, Isabel Schnabel (tedesca). Ma la gaffe di Christine Lagarde della scorsa settimana (“lo spread non è affar nostro”) ha scatenato le paure e le tentazioni dei mercati e, evidentemente, non bastava moltiplicare  le interviste per placarle.

In realtà, ieri l'ondata di vendite ha investito un po' tutti i titoli pubblici mondiali, compresi i beni rifugio tradizionali: Bund tedeschi e Treasuries americani. Anche l'oro ha perso terreno. Apparentemente, un comportamento inspiegabile. Normalmente, quando crollano le azioni (come sta avvenendo dappertutto) gli investitori si orientano sul più stabile reddito fisso. Non ora: dietro l'ondata di vendite ci sono i fondi, che stanno vendendo in massa tutto quello che possono (compreso titoli da sempre solidissimi) per raggranellare contante con cui far fronte alla valanga di richieste di rimborso delle quote da parte degli investitori in fuga.

Ma l'onda che sballotta Bund tedeschi e Treasuries americani si abbatte con violenza sui Btp italiani, affondandoli. Ieri mattina, alle 11, lo spread fra il Bund e il Btp era arrivato a quota 330, un livello che, ai tempi della Finanziaria Salvini-Di Maio, aveva fatto gridare al pericolo default e bancarotta. Il costo in interessi del Btp decennale superava il 3 per cento: tre settimane fa, all'Italia, indebitarsi a dieci anni costava l'1 per cento.

La differenza con l'autunno 2018 è che, allora, le quotazioni erano il risultato di scelte politiche di finanza facile e della percezione di un rischio di uscita dell'Italia dall'euro. Niente di tutto questo ora. Le difficoltà sono evidentemente temporanee, legate all'emergenza, e Roma ha tutto l'appoggio di Bruxelles. Ma quotazioni alla deriva alimentano la speculazione, in una spirale che può diventare fuori controllo.

E i soldi della Bce, per quanto necessari, non possono essere utilizzati per far ripartire il paese e bloccare una violenta recessione, che incendierebbe ulteriormente i mercati. Ecco perché una ipotesi che, solo una settimana fa, era solo un'idea, quasi una provocazione, da addetti ai lavori, è oggi sul tavolo e se ne discute apertamente nei televertici europei. Si tratta di far intervenire, al fianco della Bce, il vituperato e contestatissimo (in Italia) Mes, il Meccanismo europeo di solidarietà, anche se in una chiave del tutto inedita.

L'armamentario è di tutto rispetto. Il Mes è un fondo europeo di emergenza, in grado di mobilitare finanziamenti per 500 miliardi di euro, disperatamente necessari per contrastare il rischio che l'epidemia inneschi una gravissima recessione. Metterli in campo, a fianco dei vari programmi nazionali, significa automaticamente avvicinare l'impegno europeo anticoronavirus alle dimensioni dell'intervento a cui stanno pensando a Washington.

Il problema è che, a rigor di commi e articoli, il Mes è stato creato per intervenire nelle crisi dei debiti sovrani (come poteva essere nell'Italia dell'autunno 2018) e il suo intervento deve essere subordinato ad un accordo preliminare, in cui il governo interessato, ad esempio quello di Roma, si impegna ad una serie di riforme e, magari, anche a cercare un accordo con i creditori per tagliare il debito. E' il motivo per cui, in nome della sovranità nazionale, i 5Stelle hanno fatto una campagna senza quartiere contro il varo del Mes.

Ma questa è un'altra partita, tutta diversa. Qui non c'è un problema di politiche nazionali, da sottoporre alla scure di Bruxelles o di diktat di Troike su pensioni e salari, come avvenne in Grecia. Il debito italiano – epidemia a parte – è assolutamente sostenibile, dicono studiosi autorevoli come l'ex capo economista del Fmi, Olivier Blanchard. Il nodo dell'accordo preliminare si può aggirare, come suggerito già da più parti, limitandosi a prevedere che i finanziamenti vengano utilizzati per l'emergenza sanitaria e per mantenere a galla l'economia.

E'  proprio questa mano libera, però, che spaventa governi diffidenti come quello olandese e quello austriaco e spiega le resistenze a dare via libera al Mes. Anche se l'intervento del fondo di emergenza europeo spazzerebbe d'un sol colpo tutte le nubi sui mercati finanziari. Perchè è lo strumento del “costi quel che costi” con cui Draghi, nel 2012, salvò l'euro. L'intervento del Mes, infatti, apre la strada a quelle operazioni monetarie straordinarie che l'allora presidente della Bce non ebbe, di fatto, mai bisogno di mettere in azione, ma che – allora come oggi – significano una cosa assai semplice: la Bce può intervenire a comprare sui mercati titoli del debito pubblico come e quando vuole, per tutti i soldi che ritiene necessari.

La discussione sull'attivazione del Mes è aperta. I leader europei torneranno a parlarne la prossima settimana. La mossa di questa notte della Bce non ha l'impatto che avrebbe la caduta di ogni vincolo agli acquisti di titoli, ma regala ai leader politici più tempo per una iniziativa che vada direttamente a sostenere imprese e lavoratori in tutta Europa. Di fatto, comunque, se attuato con coraggio e decisione, il piano deciso ieri notte a Francoforte apre molti più margini di manovra di quanto appaia a prima vista.

Sono nascosti nelle pieghe del piano già varato a Francoforte la scorsa settimana, quando il board della banca centrale aveva deciso di alzare il tetto di questi acquisti, per il 2020, da 200 a 320 miliardi di euro. Ma sono  le modalità di questi acquisti – e ora di quelli appena decisi - che fanno la differenza più importante. Tre, infatti, potrebbero essere gli ostacoli ad un intervento massiccio di Francoforte specificamente a favore dell'Italia. Uno non esiste, gli altri due possono essere superati.

Il primo è il vincolo a non acquistare più di un terzo di tutti i titoli di un singolo paese. Un limite, per l'Italia, assai lontano. La Bce ha in pancia 365 miliardi di euro in Bot e Btp. Potrebbe arrivare oltre 700 miliardi, visto che il debito italiano supera i 2000. Il secondo è che, fino alla scorsa settimana, gli acquisti non potevano superare i 20 miliardi al mese. I nuovi 120 miliardi, e i 750 appena arrivati, invece, in teoria possono essere investiti tutti in una botta sola. Una cifra difficile da eguagliare: se fossimo in un casinò, sarebbe come dire “banco”, con la certezza di vincere. Il terzo è che la proporzione di investimenti nei titoli di un singolo paese non deve superare la quota del Pil di quel paese rispetto al Pil totale europeo (17 per cento per l'Italia). Ma questo vincolo deve essere rispettato non in corso d'opera, ma solo alla fine, quando si faranno i conti conclusivi del Quantitative easing. E quando si faranno? Quando lo deciderà la stessa Bce. Oggi, il programma ha una durata indefinita.

E' probabile che, già ieri pomeriggio, servendosi di questi margini più ampi, la Bce sia intervenuta  sul mercati dei titoli italiani. L'interesse sui Btp, che era arrivato in mattinata a quota 3 per cento prima di mezzogiorno, nel pomeriggio era crollato, quasi d'un colpo, fino al 2,18 per cento alla chiusura delle contrattazioni ufficiali. Ma, nel dopomercato, era risalito fino al 2,48 per cento. Segno che non solo le rassicurazioni generiche di de Guindos e della Schnabel, ma neanche operazioni spicciole sul mercato erano sufficienti.

La differenza doveva farla il bazooka. L'ha fatta. Dall'apertura ufficiale delle contrattazioni, lo spread – ovvero la differenza fra il rendimento dei Btp e quello dei Bund tedeschi – sta cadendo a candela sotto quota 200, ai livelli precedenti alla gaffe di madame Lagarde. Il costo degli interessi sul debito è tornato all'1,60 per cento, dimezzandosi anche solo rispetto a 24 ore fa. L'Italia respira.

Maurizio Riccidi Maurizio Ricci   
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