Perché il virus può allargare il fossato fra l'economia tedesca e quella italiana, facendo saltare l'Europa
La buona notizia è che l'Ue alla fine, c'è. I ministri dell'Economia dell'eurozona potrebbero mettere in moto 5-600 miliardi di euro per tamponare l'emergenza coronavirus. Non era scontato. Ma, dopo il via libera di Berlino, un accordo sulla Fase 1 sembra possibile. La cattiva notizia è che non è detto che l'Europa ci sia domani.

La buona notizia è che, sia pur tra dubbi e strattoni, l'Europa, alla fine, c'è. I ministri dell'Economia dell'eurozona potrebbero mettere in moto 5-600 miliardi di euro per tamponare l'emergenza coronavirus. Non era scontato. Ma, dopo il via libera di Berlino, un accordo sulla Fase 1 sembra possibile. La cattiva notizia è che non è detto che l'Europa ci sia domani. Sulla Fase 2 – quello che occorre fare per far ripartire l'economia, a conclusione delle quarantene – il dibattito gira ancora a vuoto intorno ai coronabond o omologhi e il rischio è che ognuno riparta per proprio conto.
Il risultato sarebbe approfondire la frattura fra chi – come la Germania - è in grado di alimentare generosamente la ripresa e chi invece – come Italia e Spagna- non ha risorse paragonabili, fino al punto di rendere ingestibile il mercato unico e la moneta comune.bGli interventi per l'emergenza che dovrebbero partire questa sera (in attesa del definitivo placet dei capi di Stato e di governo) vanno in tre direzioni.
La prima è sostenere il reddito delle famiglie, con il fondo Sure, proposto dalla Commissione von der Leyen. Lo schema è quello ormai abituale: gli Stati impegnano complessivamente 25 miliardi di euro, che il fondo mette in cassaforte a garantire la futura restituzione di titoli per 100 miliardi, comprati dagli investitori sul mercato. I soldi così raccolti andranno a rimpolpare le spese che i singoli Stati stanno facendo per sostenere i redditi.
Il governo italiano ha destinato alle famiglie, finora, circa 11 miliardi. Per quasi 10 milioni di lavoratori dipendenti, 5 miliardi di euro per finanziare la cassa integrazione sino a fine estate. Per quasi 6 milioni di lavoratori autonomi, 3,4 miliardi a coprire l'erogazione di sussidi da 800 euro per tre mesi.
Per le famiglie più bisognose, reddito di emergenza di 500 euro, per aprile e maggio, per una spesa totale di 1 miliardo di euro. Il fondo Sure (se venisse ripartito secondo tradizione, cioè in base alla quota italiana del Pil europeo, all'Italia spetterebbero un po' meno di 20 miliardi) potrebbe consentire di irrobustire in modo significativo i sussidi o, in alternativa, di dirottare altrove i finanziamenti che, finora, lo Stato italiano aveva destinato a questa spesa.
La seconda direttrice è quella cruciale del sostegno alle imprese, per evitare che chiudano e licenzino i dipendenti. Il governo ha annunciato interventi per mobilitare oltre 500 miliardi di euro di prestiti, con garanzia statale, alle imprese. Ora, al suo fianco, dovrebbe intervenire la Bei, la Banca europea degli investimenti, che – sempre con lo stesso sistema del Fondo Sure – metterebbe a disposizione 200 miliardi di euro per finanziamenti-ponte alle imprese, in attesa della ripresa. In linea di principio, se la ripartizione avvenisse in base alla quota del Pil e non sulle effettive necessità, alle imprese italiane potrebbe contare su circa 35 di quei 200 miliardi di euro.
Altrettanto, per la “stabilizzazione dell'economia”, potrebbe arrivare all'Italia da una attivazione del Mes, il Fondo salva-Stati. Il tema è assai controverso, anche per la serrata campagna condotta, in Italia, da grillini e Lega contro i meccanismi del Mes e le loro implicite ricette di austerità. Ieri, però, il ministro delle Finanze tedesco, Olaf Scholz, ha chiarito che l'intervento del Fondo (che arriverebbe ad aiuti fino a 240 miliardi di euro, circa 35 miliardi per l'Italia) avverrebbe “senza condizioni, senza controlli, senza commissari”, la temuta Troika, con il solo vincolo di destinare i finanziamenti alla lotta contro la pandemia e, appunto, “per la stabilizzazione dell'economia”.
Berlino conta così di poter abbandonare la spinosa diatriba sugli Eurobond, ovvero sulla condivisione di debiti di altri paesi, sia pure nella versione ridotta dei Coronabond, emessi una volta sola e soltanto per la pandemia. In realtà, anche se si superassero le resistenze politiche (in Italia, la Lega è pronta a sfiduciare il governo se accetta l'intervento del Mes) il problema è l'impatto effettivo. Quella che sembra una pioggia di soldi appare insufficiente per risollevarsi da una crisi che, in Italia, ad esempio, ha chiuso da un mese e fino a data da destinarsi metà delle imprese e che, secondo una grande banca (tedesca) costringerà l'economia italiana a viaggiare, ancora fra un anno, ad un ritmo del 3-4 per cento sotto lo zero.
Gli economisti che hanno studiato la situazione ritengono che per un grande piano di investimenti (il piano Marshall di cui ha parlato anche Ursula von der Leyen) che rilanci alla grande l'economia europea occorrano fra i 500 e i mille miliardi di euro. Il punto di partenza è, infatti, in prospettiva drammatico. Con l'economia mezza chiusa, il gettito fiscale del 2020 sarà, per il complesso dell'eurozona, di almeno 500 miliardi di euro inferiore al normale. Come riempire il buco e, contemporaneamente, avere i mezzi per avviare la ripresa? Anche con il sostegno della Bce, aumentare il debito dei singoli governi, ad esempio per un paese già pesantemente indebitato come l'Italia, ha dei limiti.
Per un intervento europeo, i coronabond (ovvero titoli lanciati sul mercato congiuntamente dai governi dell'eurozona) non sono, però, l'unica strada. Ursula von der Leyen preferirebbe un equivalente rafforzamento del bilancio comunitario. I francesi hanno proposto l'istituzione di un apposito fondo. Alcuni centri studi suggeriscono di far lanciare gli eurobond non dall'eurozona, ma da tutta la Ue (che ha già la personalità giuridica per emettere titoli). In ogni caso, dicono un po' tutti, occorre fare in fretta: soldi e interventi devono essere pronti, non appena si arriva in fondo alla quarantena.
Qual è il rischio di una mancata decisione? In realtà sono due. E ne dà la rappresentazione più vivida il confronto – ancora una volta – fra Italia e Germania. Le strutture economiche dei due paesi sono diverse. In Germania, primeggia l'industria manifatturiera. Quando l'epidemia sarà passata, le fabbriche riapriranno e riprenderanno a lavorare a pieno regime, in buona misura anche smaltendo ordinativi rimasti bloccati.
La Germania, dunque, tornerà abbastanza rapidamente ai ritmi abituali di sviluppo. Anche l'Italia ha un importante settore manifatturiero. Ma una quota decisiva dell'economia è fatta di servizi. Quasi un euro di prodotto interno lordo su sei viene dal turismo. Torneranno i turisti? E quando? E dovranno essere contingentati, sempre in chiave epidemia? In ogni caso, chi non è venuto a Venezia quest'anno non ci verrà due volte. La ripartenza italiana rischia dunque di essere più lenta, faticosa e bisognosa di stimoli aggiuntivi.
Ma, nonostante questo, le risorse che il governo tedesco è in grado di mettere in campo per una ripresa più facile sono significativamente superiori a quelle di cui dispone il governo italiano per una ripresa, invece, più difficile. Considerato che anche le posizioni pre-virus erano diverse – una economia vigorosa e vivace nel caso tedesco, asfittica e stagnante in quello italiano – il risultato di queste due dinamiche è che, con l'epidemia alle spalle, il fossato fra Germania e Italia sarà in termini economici, sempre più largo e profondo. Difficile, forse impossibile, tenere nel mercato unico e nella moneta comune due traiettorie così diverse.