Il coronavirus lancia lo smart working, De Masi: “Da noi fatica eppure ci guadagnano sia i lavoratori che le aziende”
Per il noto sociologo è il modo migliore di lavorare ma esistono forti resistenze. Eppure almeno il 60% della popolazione potrebbe lavorare da casa. C’è la paura di non poter controllare il lavoratore ma non conta il processo, conta l’obiettivo.
Il coronavirus terrorizza il mondo ma – rileva Bloomberg - consente anche il più grande esperimento di telelevoro mai realizzato prima. Ha di fatto aperto nuovi scenari sulle modalità adottabili per il lavoro in futuro. Ed anche in Italia la novità non passa inosservata. Il noto sociologo e docente della Sapienza di Roma, Domenico De Masi, ha rilasciato una intervista a Laura Betti di HuffPost spiegando perché lo smart working, il modo migliore di lavorare a suo avviso, fatichi ad affermarsi nel nostro Paese. Ci sarebbe infatti una resistenza patologica al cambiamento, anche se “i vantaggi sono inquantificabili”.
Da quando il virus ha cominciato a imperversare, in Cina tantissime aziende hanno adottato quella soluzione, e l’esperienza di milioni di persone, che in quel Paese hanno continuato a lavorare dalle loro case, ne dimostra la convenienza. Anche se non mancano le voci dissonanti sull'argomento.
"Italia indietro"
Da tempo De Masi leva la voce a favore dello smart working, tanto da aver creato addirittura una società (40 anni fa) per promuoverlo: la SIT, Società Italiana Telelavoro. “Mi illudevo che si sarebbe affermato subito, e invece così non è stato”, afferma.
Non sono mancate le iniziative, ma siamo indietro. Nel 2019, secondo uno studio dell’Osservatorio smart working del Politecnico di Milano, i lavoratori italiani coinvolti erano 570mila. Ancora pochi, com’è facile intuire. Del resto, stando a Eurostat, l’Italia resta sotto la media europea quanto a utilizzo dei vantaggi offerti dalla tecnologia. In parole povere "non riusciamo a staccarci dall’idea che per lavorare occorre spostarci da casa – sottolinea il professore - Una convinzione cresciuta dopo la rivoluzione industriale. Prima dell’avvento dell’industria era normale lavorare dalla propria abitazione. Lo faceva il medico e l’avvocato, l’artigiano e il commerciante". Poi il concetto è cambiato, e nella mentalità dominante si è radicata l’idea che sia quasi disdicevole lavorare in quel modo. Anche se ovviamente non sempre, e per tutti i lavori, ciò è possibile. “Il pompiere deve correre dov’è l’incendio e il chirurgo deve stare in sala operatoria - fa notare lo studioso sull’Huffington - ma viviamo in un’epoca in cui la maggior parte dei lavori potrebbe facilmente essere svolta da remoto”.
Se focalizziamo l’attenzione sui vari tipi di impiego, “almeno il 60% della popolazione potrebbe lavorare senza bisogno di recarsi ogni giorno in un luogo fisico diverso dall'abitazione. Per esempio, molti dipendenti dei Ministeri potrebbero benissimo farlo da casa, dal bar o dalla spiaggia”.
La mentalità
Ma la mentalità avversa accomuna anche i datori di lavoro e i capi, preoccupati dal fatto che “lo smart working impedisca il controllo del lavoratore momento per momento, consentendo solo di esaminare il risultato finale. Nel telelavoro però – osserva il docente - non conta il processo, conta l’obiettivo”. Ovvero che il lavoratore porti a termine il suo compito nel migliore dei modi.
E i vantaggi sono innumerevoli. “In primo luogo – spiega De Masi – lavorando da casa non si spreca tempo, né soldi per la benzina, e diminuisce la possibilità di incorrere in incidenti. La città è più libera, meno inquinata e si riduce il traffico”.
Anche le aziende ci guadagnano
Ma non ci sono benefici solo per i lavoratori o l'ambiente. Anche le aziende ci guadagnano. Se i loro dipendenti lavorano da remoto, “non hanno bisogno di affittare grossi spazi, di sprecare aria condizionata e di allestire mense”.
Ed anche alcune obiezioni sollevate sulle conseguenze psicologiche risultano alla fine inconsistenti. “Si può lavorare in tutta tranquillità senza perdersi in chiacchiere inutili – sottolinea il sociologo – si può scendere al bar sotto casa per un caffè e parlare con gli altri, senza essere costretti a passare del tempo con gente che non si è scelto”.
"Lasciarsi andare al cambiamento"
Se è vero, dunque, che l'enorme successo del telelavoro in Cina passa per il problema del coronavirus, in altri Paesi si sta comunque affermando velocemente. In Italia invece siamo in retroguardia. “Fermi al 3 per cento – spiega Domenico De Masi su HP – mentre un Paese come l’Olanda si attesta sul 40 per cento”. La tendenza allo smart working comunque sembra destinata a svilupparsi anche nel nostro mondo del lavoro. E sarà un bene. Per il sociologo “è necessario lasciarsi andare al cambiamento, credere in una società in cui lavorare da remoto non venga più visto come un lusso e chi lavora da casa non venga più giudicato un fannullone o un tagliato fuori”.