[L’analisi] Non c’è bisogno di sfidare l’Europa, i miliardi per gli investimenti pubblici già ci sono. Basta saperli spendere
Sono pronti e subito disponibili 140 miliardi di euro di investimenti pubblici, previsti, ma fermi. Non c’è nessun bisogno di sfidare Bruxelles per spendere questi soldi, perché sono già previsti in bilancio: non possono aumentare né deficit, né debito, perché sono già lì dentro. Insomma, il massimo. Di che si tratta? Dei depuratori che mancano nel 20 per cento dei Comuni italiani, delle tragedie di frane e alluvioni per cui risultano stanziati 10 miliardi, ma nel 2017 ne sono stati spesi solo 527 milioni. O della spesa per gli edifici scolastici: stanziati, nel triennio 2015-18 6,2 miliardi di euro, ma nelle scuole ne sono stati spesi 604 milioni

Il tema è serissimo, ma l’incapacità del governo di staccare il piede dal pedale della propaganda rischia di trasformarlo in una scena classica delle comiche: la carica a testa bassa contro un portone aperto. “Di fronte all’emergenza sicurezza, non ci faremo incatenare dai vincoli europei” ripetono un giorno Matteo Salvini e l’altro Luigi Di Maio. Anche il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Giancarlo Giorgetti, l’anima più pensosa e riflessiva della Lega e del governo, sostiene che “sulla spesa per le infrastrutture, potremmo sfondare il vincolo del 3 per cento di disavanzo pubblico”. Nell’ansia di blitz, di cui questo governo ha una sete quasi quotidiana, sembra pronta, dunque, l’offensiva per strappare all’arcigna Europa i soldi necessari a rinnovare il Paese. E viene il sospetto che Di Maio, Salvini, Giorgetti resterebbero delusi e frustrati se sapessero che l’eroica battaglia è del tutto inutile. Perché l’Italia questa guerra l’ha già vinta. Ci sono fiumi di soldi già disponibili per le nostre infrastrutture, senza bisogno di frantumare alcun 3 per cento, anzi, senza toccare il disavanzo. Il problema – il vero miracolo che il governo gialloverde potrebbe regalare al paese – sarebbe spenderli. Da anni, non ci riusciamo. E il paradosso è che l’arcigna Europa, anziché negarci i soldi, ci multa perché non li spendiamo: da fine maggio, paghiamo 30 milioni ogni 6 mesi come sanzione perché lasciamo i fondi nel cassetto.
Dal bilancio Ue 2014-2020 (soldi da spendere entro il 2023, pena rimborso) l’Italia ha diritto a 44,6 miliardi di euro di fondi comunitari . Di questi, 2,5 miliardi sono specificamente destinati a strade e treni, 12 allo sviluppo del Mezzogiorno. Le autostrade? Ad aprile, Bruxelles ha sbloccato fondi per 8,5 miliardi da destinare alla rete autostradale. Tutti questi investimenti si raddoppiano, perché il governo è autorizzato a metterci di suo quasi altrettanto: i fondi spendibili sono, dunque, una ottantina di miliardi, di cui per le autostrade, circa 15. La parola chiave, qui, è “sbloccato”. Che vuol dire? Significa che la Ue è d’accordo nel non considerare la nostra parte di spesa (quella che aggiungiamo al contributo europeo) nel computo del disavanzo. Esattamente quello che ora reclama ad alta voce il governo (questo, come quelli precedenti, peraltro: il vittimismo è una malattia nazionale). Invece, li possiamo già serenamente spendere, e Bruxelles è d’accordo che questo non va a cozzare contro i tetti di bilancio. Quindi li abbiamo distribuiti a piene mani nel paese? Neanche per idea. Ad oggi, non siamo arrivati neanche al 5 per cento, 3-4 miliardi. L’altro 95 per cento è fermo in cassa.
Di cosa stiamo parlando? In tema di trasporti, dei nodi ferroviari di Napoli e di Palermo, del tratto ferroviario lungo la costa tirrenica Battipaglia-Reggio Calabria, del porto di Salerno. Tutti buchi neri storici ed emblematici delle infrastrutture italiane. Compresi dossier politicamente esplosivi, come mezzo miliardo di fondi per la Tav Torino-Lione e 600 milioni per il tunnel del Brennero. Volendo, i prossimi fondi saranno per la Gronda attorno a Genova. Naturalmente, non è che gli altri paesi europei spendano d’incanto, lì per lì, i fondi di Bruxelles per le infrastrutture. Normalmente, nel resto d’Europa, i fondi regionali (a questo punto del ciclo di bilancio Ue) sono stati spesi per non più del 10 per cento. Noi, però, siamo al 5. Per il fondo sociale abbiamo speso il 7 per cento dei fondi: la media europea è il 12.
Insomma, come dice Antonio Tajani, presidente del Parlamento europeo, “la flessibilità di bilancio europea per il reddito di cittadinanza non c’è, ma per le infrastrutture sì”. Quella dei fondi europei, tuttavia, è solo una parte della storia. Il governo (come i precedenti) vorrebbe molto di più: scomputare dai calcoli per il disavanzo tutta la spesa per gli investimenti pubblici, anche quella senza contributo europeo. Dietro, c’è una emergenza vera. Dai tempi degli ultimi governi Berlusconi e di Tremonti al Tesoro, per fermare il deficit si è agito pesantemente sulla spesa per investimenti, salvaguardando quella corrente per stipendi, pensioni, sussidi. Il risultato è che gli interventi pubblici si sono ridotti, rispetto a dieci anni fa, di un terzo: da 45 a 30 miliardi di euro l’anno. Specificamente sulle infrastrutture, gli ultimi governi Pd, fra il 2015 e il 2018, hanno quasi raddoppiato a 21 miliardi di euro le risorse disponibili, ma la spesa effettiva è rimasta modesta.
Su questo divario fra necessità e risultati degli investimenti pubblici, si appoggia quella che, ad oggi, è la piattaforma più compiuta dell’attuale governo in materia di politica economica. Noto come piano Savona, dal nome del ministro per gli Affari europei, che lo propone, questo progetto prevede il lancio, a ritmi serrati, di investimenti pubblici per 50 miliardi. La super iniezione di capitali, secondo Savona, come nei motori turbo, farebbe crescere di colpo l’economia italiana di circa 150 miliardi di euro in quattro anni (entro la fine della legislatura, dunque), quanto basta per ripagare gli investimenti, più la flat tax e il reddito di cittadinanza. Sull’effettiva dimensione di questo stimolo all’economia (gli addetti ai lavori lo chiamano moltiplicatore) e sulla possibilità che le spese si ripaghino davvero il dibattito è aperto. Qui, tuttavia, importa sottolineare che è una discussione inutile. Un megapiano di investimenti per 50 miliardi di euro è un’ottima operazione di p.r., ma i ministri del governo gialloverde possono fare molto di più senza inventare nulla e semplicemente andando in ufficio. Perché, se vogliono, possono spendere non 50, ma 140 miliardi di euro, nei prossimi dieci anni, senza un fiato da Bruxelles.
Secondo i calcoli dell’Ance, l’associazione dei costruttori , infatti, ci sono 140 miliardi di euro di investimenti pubblici, previsti, ma fermi. Non c’è nessun bisogno di sfidare Bruxelles per spendere questi soldi, perché sono già previsti in bilancio: non possono aumentare né deficit, né debito, perché sono già lì dentro. Insomma, il massimo. Di che si tratta? Dei depuratori che mancano nel 20 per cento dei Comuni italiani, delle tragedie di frane e alluvioni per cui risultano stanziati 10 miliardi, ma nel 2017 ne sono stati spesi solo 527 milioni. O della spesa per gli edifici scolastici: stanziati, nel triennio 2015-18 6,2 miliardi di euro, ma nelle scuole ne sono stati spesi 604 milioni.
A strozzare questi soldi nell’imbuto c’è, secondo gli esperti, una eccessiva frammentazione delle responsabilità fra Stato, Regioni, Comuni: di fatto, non sappiamo neanche bene dove siano i fondi e i progetti, perché la banca dati nazionale è appena partita. E, soprattutto, una drammatica emorragia di capacità di progettazione, figlia dei forsennati tagli al personale degli enti locali degli anni passati. Lo pensa lo stesso ministro del Tesoro, Tria, quando evoca la possibilità di rimettere in piedi un nuovo Genio Civile. Mettere mano, giorno per giorno, mese per mese, a queste strozzature della burocrazia è, probabilmente, nell’ottica dei nuovi inquilini del Palazzo, meno vistoso e meno glorioso di uno scontro con Bruxelles e di un megapiano, tutto nuovo, da 50 miliardi di euro. Ma consentirebbe, almeno, di spenderli e non solo di annunciarli, quei 50 miliardi. Questo sì che sarebbe un Cambiamento.