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Lo scivolone della Lagarde e la corsa dello spread

In un solo giorno, le Borse, di qua e di là dell'Atlantico, hanno bruciato  un altro 10 per cento. Pesantissime le ripercussioni in Italia

Maurizio Riccidi Maurizio Ricci   
Lo scivolone della Lagarde e la corsa dello spread

In una giornata, ancora una volta, drammatica negli ospedali e negli ambulatori, in Italia e nel mondo, a farsi travolgere dal panico sono stati i mercati finanziari. L'ultimo devastante scossone lo aveva dato, mercoledì sera, a Washington, Trump, annunciando la chiusura degli aeroporti americani agli europei. E, ieri, una timida Christine Lagarde, da Francoforte, non è riuscita ad arrestare la slavina. In un solo giorno, le Borse, di qua e di là dell'Atlantico, hanno bruciato  un altro 10 per cento. Pesantissime le ripercussioni in Italia, dove Piazza Affari perde quasi il 12 per cento, trascinata dalla caduta dei titoli delle banche, mentre lo spread con il Bund tedesco schizza da meno di 200 a 261 in poche ore. E i grafici che raccontano gli andamenti delle quotazioni (delle azioni, dello spread, dei Btp) denunciano, unanimi, che il punto di frattura, ieri, arriva intorno alle 14, quando da Francoforte, giungono le prime anticipazioni sulle decisioni della Banca centrale europea.

Colpa della Lagarde? Probabilmente, non esiste una mossa che la neopresidente della Bce avrebbe potuto fare per rovesciare la spinta del panico. Questa, in prima battuta, al contrario di quanto avveniva con Mario Draghi e l'euro nel 2012, non è una crisi che possa essere arrestata, manovrando le armi di una banca centrale: credito e moneta. E, in realtà, ieri la Bce ha fatto, sostanzialmente, quanto ci si aspettava.

Cosa deve fare ora Lagarde

La mossa più incisiva, e dettagliata, è il soccorso alle banche. Il problema che ha di fronte Francoforte, infatti, è far arrivare soldi alle aziende investite dall'epidemia, senza disastrare le banche che erogano i prestiti. Se i lavoratori stanno a casa e le aziende non incassano, non pagano, infatti, neanche gli interessi sui crediti ricevuti. Il rischio è che le banche non abbiano altra scelta, per non esser loro ad andar sotto, che tagliare i fondi, scatenando una catena di fallimenti o azzoppando il futuro delle imprese. Ecco allora la Bce aprire il portafoglio, offrendo, da qui all'estate, di finanziare le banche a prezzi stracciati. Di fatto, le banche, a condizione che facciano poi circolare questa liquidità, potranno farsi prestare da Francoforte soldi al tasso negativo dello 0,75 per cento.

Vuol dire che la Bce, al momento di erogare alla banca un prestito di 100 euro, ci aggiunge di suo, invece di pretendere un interesse, 75 centesimi di bonus. Considerato che gli stessi istituti di credito, sempre in virtù degli interessi negativi, versano alla banca centrale un interesse dello 0,6 per cento quando depositano loro fondi a Francoforte, il meccanismo illustrato ieri è, sostanzialmente, un sussidio diretto alle banche. Contemporaneamente, nei prossimi giorni, le autorità monetarie europee dovrebbero rilassare le norme attuali, in materia di trattamento dei prestiti in sofferenza e di riserve da tenere nelle loro casse per non squilibrare i bilanci. In buona sostanza, allargando i margini di manovra delle banche nella gestione del credito. In due parole, le aziende dovrebbero avere più tempo per rientrare dei loro debiti.

L'altra misura di impatto immediato è un significativo ampliamento del Quantitative easing, ovvero degli acquisti di titoli – in particolare, ma non solo, pubblici – sul mercato. Dopo una pausa, la Bce era tornata ad impegnarsi ad acquistare titoli per 20 miliardi di euro al mese. Dovevano essere, dunque, 200 miliardi, da qui a fine anno. Ora, questo tetto viene portato a 320 miliardi di euro per il 2020. Non deve essere stato facile, per Christine Lagarde, far approvare questo rilancio a tedeschi e olandesi, da sempre insofferenti verso il Qe, che ha già ammassato finora, nei forzieri di Franforte, titoli per 2.600 miliardi di euro. Tanto più che sembra di capire che la Lagarde ha ottenuto di poter acquistare titoli, nell'ambito del Qe, con maggiore discrezionalità: al bisogno, cioè, più Btp italiani e meno Bund tedeschi.

Lo schieramento dei “falchi” del Nord ha, peraltro, ottenuto che non ci fosse, nelle decisioni di ieri, un nuovo taglio dei tassi di interesse applicati, nella generalità delle operazioni, dalla stessa Bce. Oggi, questo tasso è negativo: meno 0,5 per cento. Si è a lungo discusso se portarlo un decimo più basso: meno 0,6 per cento. Operazione molto contestata. Sia perché l'importo sarebbe stato minimo: un solo decimale. Sia perché contradditoria: quel decimale è molto piccolo, ma per le banche europee significa pagare 11 miliardi di euro in più sui loro depositi a Francoforte, vanificando l'opposto tentativo di renderle più liquide e più pronte a prestare soldi.

L'eventuale taglio dei tassi, tuttavia, non va visto solo sotto il profilo contabile. Nella situazione attuale, in cui l'americana Fed ha appena tagliato i suoi tassi di mezzo punto e si prepara ad intervenire nuovamente, una mossa della Bce avrebbe potuto arrestare la deriva che sta spingendo capitali verso l'euro, con conseguente, inevitabile, apprezzamento della valuta. Da fine febbraio, l'euro è passato da 1,08 sul dollaro a 1,11: una valuta più forte alza i prezzi delle esportazioni. Ma, soprattutto, un taglio, anche minimo, dei tassi europei avrebbe avuto una forte carica simbolica. E, nell'armamentario delle banche centrali, oggi, la capacità di mobilitare simboli e messaggi è diventata decisiva.

Gli eventi in corso sono più grandi di qualsiasi mossa di politica monetaria e la Bce non dispone concretamente di strumenti che possano arrestare questa deriva delle borse. Questo non vuol dire che le misure decise, ieri, a Francoforte, non saranno criticate, nello specifico, da più parti nei prossimi giorni. Le critiche più puntute, tuttavia, riguarderanno proprio la strategia di comunicazione, adottata ieri da Christine Lagarde. Il taglio dei tassi sarebbe stato un segnale. Ma è mancato anche quello che, forse un po' infantilmente, i mercati si aspettavano da lei: un'assunzione di responsabilità diretta da parte sua. Si è passati dal roboante “whatever it takes”, salveremo l'euro, costi quel che costi, di Mario Draghi 2012 al pigolante “lo spread non è affar nostro, ci sono altri strumenti e altri protagonisti per affrontarlo” di Christine Lagarde ieri. Tecnicamente, la Lagarde ha ragione a dire che le quotazioni dei titoli di Stato riguardano anche altri attori. Ma il “costi quel che costi” di Draghi sottintendeva proprio che lo spread era, in prima persona, una responsabilità della Bce.

Sulla stessa scia, Lagarde è uscita in modo poco elegante, sostanzialmente non rispondendo, da una domanda assai insidiosa che, tuttavia, rischia di tornare nei prossimi giorni. Il problema è ancora lo spread dei titoli italiani e il rischio che, aumentando il costo del debito (esattamente il contrario di quanto è avvenuto nell'ultimo anno) cresca il deficit pubblico, in una spirale perversa che conosciamo bene, ormai da quasi dieci anni. In questi giorni, si sta diffondendo, fra analisti e operatori, l'idea di chiamare in causa il famoso – e famigerato – Mes, il Meccanismo europeo di stabilità, al centro di violente polemiche, in Italia, nello scorso autunno.

In breve, se l'Italia chiedesse ufficialmente l'aiuto europeo contro l'emergenza coronavirus, attivando il Mes, la Bce sarebbe libera di intervenire sui mercati, acquistando qualsiasi quantità di titoli italiani ritenga opportuno e bloccando, dunque, la deriva dello spread. Si tratta di una ipotesi estrema, finora confinata alle chiacchiere fra esperti, che va assai al di là della discrezionalità, evocata dalla Lagarde, degli acquisti nell'ambito Qe. Di fatto, tuttavia, se l'ipotesi estrema venisse adottata, basterebbe l'annuncio – come avvenne con il “costi quel che costi” di Draghi – per placare i mercati, senza che Francoforte debba comprare concretamente un solo Btp. Ieri, in un solo pomeriggio, l'interesse richiesto su un Btp decennale italiano è passato da 1,2 a 1,9 per cento. Se la caduta continuasse, il dibattito su un intervento del Meccanismo di stabilità diventerebbe incandescente.

Maurizio Riccidi Maurizio Ricci   
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