Così l’Italia può scaricare sul Mes i 25 miliardi per rilanciare la sanità: ecco da dove partire
I fondi europei sono disponibili dall'inizio di giugno e l'Italia sta per varare un piano di interventi per una una manutenzione in profondità del Servizio sanitario nazionale

La telenovela tutta italiana del Mes – il Fondo salva-Stati che, nella nuova versione, sarebbe più corretto chiamare Fondo salva-Sanità – sta arrivando ad una nuova puntata, che potrebbe anche rivelarsi il gran finale. I fondi europei sono disponibili dall'inizio di giugno e l'Italia sta per varare un piano di interventi che non sono più misure tampone per superare l'emergenza, ma una manutenzione in profondità del Servizio sanitario nazionale che lo attrezzi ad affrontare le emergenze future. Il piano costa alcune decine di miliardi di euro, che l'Italia potrà trovare solo indebitandosi.
Il punto è: meglio avere debiti con il Mes o con i mercati ? La straordinaria risposta di medici, infermieri, ospedali all'esplosione dell'epidemia ha permesso di mascherare in questi mesi vuoti, carenze, contraddizioni, vicoli ciechi del Servizio sanitario nazionale che, ancor più in un paese anziano come l'Italia, è – insieme alle pensioni – un pilastro del patto sociale che tiene insieme il paese.
Con gli sviluppi tecnologici di oggi, è un impegno pubblico a costo sistematicamente crescente, ma viene sistematicamente svuotato di finanziamenti. Dopo anni di tagli, l'ultima Finanziaria ha fatto risalire la spesa per la sanità dal 6,5 al 6,6 per cento del Pil. Ma in Francia e in Germania, la spesa analoga arriva al 9 per cento. I posti letto negli ospedali sono 3,2 per mille abitanti, contro una media europea di 5.
La spesa pubblica sanitaria pro capite non arriva a 2.500 euro l'anno, mentre in Francia e in Germania siamo vicini ai 4 mila euro. Il conto più facile è quello del personale: fra il 2009 e il 2017 sono usciti dagli organici oltre 6 mila medici e più di 27 mila infermieri. L'anno prossimo, grazie all'introduzione di quota 100 per le pensioni, usciranno di scena 23 mila medici. Di questi, 15 mila sono medici di base, che lasceranno 14 milioni di italiani senza la prima tutela della salute. Finora i buchi della sanità pubblica sono stati coperti dal boom della sanità privata che ha assorbito spesa per 37 miliardi di euro l'anno, 35 dei quali tirati fuori direttamente dalle tasche dei cittadini. Più esattamente, di quelli che se lo possono permettere con una esplosione delle disuguaglianze sociali.
Il Piano Speranza, come nessuno si azzarda a chiamarlo, anche se è il nome del ministro della Salute che lo sta promuovendo, punta ad invertire la tendenza, rilanciando la sanità pubblica e attrezzandola ad affrontare situazioni limite come quella del coronavirus. Il punto di partenza è l'ammodernamento degli ospedali e la creazione di una rete di posti letto per le emergenze, il vero incubo del periodo più buio di questa primavera di epidemia. Ma la novità è il rilancio della sanità diffusa sul territorio, che è l'insegnamento, probabilmente, più importante che i mesi di gestione del coronavirus hanno lasciato. L'idea è ridare vita alla fitta rete dei piccoli ospedali che, negli ultimi vent'anni, sono stati chiusi, uno dopo l'altro, eliminando i loro posti letto.
Anzichè tornare a funzionare a pieno regime, queste strutture, sul modello degli ospedali di comunità che già esistono in regioni come la Toscana, diventerebbero dei presidi di prima difesa. Minireparti, ma, soprattutto, ripristino degli ambulatori per le visite, gli esami, le prestazioni meno urgenti, ma anche per organizzare le cure domiciliari e l'assistenza agli anziani. Vi potrebbero anche essere concentrati gli studi dei medici di famiglia. E' un rovesciamento della situazione attuale, dove il vero presidio di prima difesa generale della salute dei cittadini è, in realtà, il pronto soccorso dei grandi ospedali, ingolfati già prima dell'epidemia.
Nell'immediato, tuttavia, il piano del ministero punta a rendere nuovamente agibile il servizio sanitario al di là del virus. Si tratta di smaltire l'enorme arretrato che si è creato in questi mesi in cui tutte le risorse di mezzi e di personale sono stati destinati all'epidemia. Si calcola che ci sia almeno un milione di esami, visite, interventi in arretrato dopo 3 mesi di quarantena. Probabile che si punti ad accordi con la sanità privata e ad allargare l'attività privata dei medici del Servizio sanitario nazionale, all'interno delle strutture pubbliche.
Quanto costa tutto questo? Un primo calcolo porta ad almeno 24-25 miliardi di euro, una cifra che, da sola, equivale ad un terzo di tutti gli interventi straordinari che il governo ha varato per l'economia da febbraio a oggi. Ma che rientra pienamente nelle disponibilità del Mes che, all'Italia, destina – se li vogliamo – 36 miliardi.
Nel gioco di ombre cinesi che è diventato il dibattito politico sul ricorso al Fondo salva-Stati all'interno della maggioranza, sulla base di posizioni di principio che, probabilmente, non erano valide neanche sei mesi fa, l'occasione del Mes rischia di svanire. Eppure, lo sportello del Mes a cui chiedere i 36 miliardi non prevede altre condizioni che l'utilizzo dei fondi per spese “direttamente e indirettamente” legate alle esigenze sanitarie anti-pandemia, ovvero esattamente le misure a cui sta pensando il ministero della Salute.
E sono soldi che conviene prendere. Chiedere quei 25 miliardi ai mercati, indebitandosi al tasso attuale del Btp decennali, più o meno l'1,5 per cento, significa spendere circa 4 miliardi di euro in interessi nei prossimi dieci anni. I soldi del Mes – l'annuncio ufficiale è di pochi giorni fa - costano lo 0,08 per cento, se il debito è a 10 anni. Ovvero, sempre per i 25 miliardi di euro di questo primo piano per la sanità, circa 20 milioni di euro l'anno, 200 milioni in 10 anni, un ventesimo di quanto costerebbe indebitarci sui mercati.
Questo perché gli investitori chiedono alle istituzioni europee tassi di interesse più bassi di quelli che chiedono all'Italia. Ma questi sono tempi eccezionali. Tempi in cui gli investitori, per assicurarsi titoli privi di rischio, come vengono considerati quelli delle istituzioni europee, sono pronti a sborsare soldi di tasca propria, accettando tassi negativi. Se quei 25 miliardi venissero chiesti non per dieci, ma per sette anni, il tasso di interesse sarebbe negativo: meno 0,07 per cento. Anche questa è una comunicazione ufficiale dello stesso Mes: tanto verrebbe a costare, scontando i costi di gestione e raccolta dello stesso Mes, un debito contratto oggi con il Fondo. Anzi, a non costare. Meno 0,07 per cento significa che, ogni anno, per un debito di 25 miliardi con il Mes, l'Italia incasserebbe 17 milioni e mezzo, 175 milioni in dieci anni: meglio che gratis.
Scaricare sul Mes, anziché sui mercati, i 25 miliardi per rilanciare la sanità ha un altro beneficio aggiunto: la possibilità di rilanciare le assunzioni, rimpolpando gli organici e colmando i vuoti di medici e infermieri. Difficile pensare che il Tesoro possa far fronte contemporaneamente alle richieste di riforma delle strutture sanitarie e di aumento degli organici. Qui, invece, potrebbero essere impiegati i soldi risparmiati chiedendo i soldi all'Europa anziché ai mercati. Il Mes, infatti, copre solo spese straordinarie, mentre le assunzioni sono un onere permanente.