Il tetto al contante sale, è il regalo di Natale del Governo agli evasori
Secondo una indagine della Banca d'Italia un aumento dell'uso del contante dell'1 per cento si traduce in un aumento fra lo 0,8 e l'1,8 per cento del sommerso. Cioè dai soldi al di fuori dal perimetro del fisco.
Per qualche giorno, è sembrato perfino che il nuovo governo volesse seppellire il rapporto su sommerso ed evasione fiscale che, tradizionalmente, ormai da dieci anni, accompagna, ogni autunno, la pubblicazione dei documenti sulla manovra economica in programma. Poi, la paura di passare per "il governo degli evasori" ha avuto il sopravvento e la "Relazione sull'economia non osservata e sull'evasione fiscale e contributiva" è emersa ed è andata pubblicamente ad affiancare la Nadef 2022, la prima dell'era Meloni.
"Governo degli evasori"
Confermando esattamente quello che il governo temeva. E, cioè, che l'etichetta di "governo degli evasori" è più che giustificata e, anzi, che la sodale vicinanza a chi sfugge ai doveri fiscali non è un vezzo della psicologia di Berlusconi, ma, ormai, un tratto storicamente distintivo del Dna della destra italiana. Di fatto, è diventata la grottesca versione nazionale del pilastro portante dell'ideologia della destra mondiale: da Reagan, Thatcher fino al fallimentare tentativo di Liz Truss in Gran Bretagna, i partiti conservatori tendono a imporre una riduzione delle tasse, finanziandola con una riduzione dei benefici del welfare. In Italia, dove la situazione di bilancio non consente grandi manovre fiscali, questa ideologia si traveste in modo del tutto peculiare: le tasse non si tagliano, ma diventa più facile non pagarle. Questo è storicamente il risultato (dicono le fonti ufficiali, dal Tesoro, alla Banca d'Italia, all'Istat) di misure come quelle a cui punta oggi il governo: condono, flat tax, aumento del contante. Anche qui, il conto lo pagano, almeno in parte, sussidi sociali come il Reddito di cittadinanza. E, anche qui, a beneficiare della tolleranza sono precise categorie sociali.
Evasione fiscale in Italia
In Italia, ci sono 5 milioni di lavoratori autonomi (professionisti, artigiani, commercianti), 18 milioni di dipendenti, 16 milioni di pensionati. Ma l'80 per cento dell'evasione su Iva e Irpef (che costa allo Stato, ogni anno, circa 100 miliardi di euro di mancati incassi, l'equivalente di 4 o 5 "manovre") si concentra in quei 5 milioni di autonomi. I quali tendono a nascondere allo Stato non qualche spicciolo, ma - dice la Relazione ex fantasma, allegata alla Nadef - quasi il 70 per cento di quanto, secondo le statistiche dell'attività economica, dovrebbero al fisco. Gli ultimi governi, precedenti all'attuale, sono riusciti, negli ultimi anni, a contenere l'evasione: fra il 2014 e il 2019, il fisco ha recuperato oltre 11 miliardi di euro di tasse potenziali non pagate. Ci sono riusciti con misure severe, occhiute ed inaggirabili - prima fra tutte, la fatturazione elettronica - che hanno inciso soprattutto sull'Iva, dove la differenza fra l'imposta evasa e quella statisticamente dovuta, si è drasticamente ridotta dal 27 al 19,3 per cento. Misure paragonabili sono mancate, invece, per l'Irpef, dove, anzi, la flat tax salviniana (con la franchigia a 65 mila euro alle partite Iva per fruire di una imposta sul reddito forfettaria), dice la scomoda Relazione allegata alla Nadef, ha spinto molti a sottofatturare per rientrare nel tetto. Il risultato di minori controlli è che il tax gap Irpef degli autonomi (la percentuale di reddito evaso rispetto a quello potenziale) è salita dal già massiccio 63,9 per cento del 2014 al 68,7 per cento del 2020: di fatto, due euro su tre incassati da professionisti, artigiani, commercianti per il fisco non esistono.
Il tax gap
Non è (più) solo un problema di giustizia sociale. Perché a quello che fa il nostro fisco sono, adesso, legati anche le decine di miliardi di euro che ci ha promesso l'Europa, la grande occasione di rilancio dell'economia italiana. In materia, infatti, il Pnrr firmato da Draghi contiene impegni precisi, quantitativamente definiti. Nel 2019, quello che i tecnici definiscono "tax gap relativo" (ovvero, il rapporto tra tasse evase e tasse potenzialmente dovute) è stato pari al 18,4 per cento. Il Pnrr ci obbliga a ridurre questo tax gap al 17,6 per cento entro il prossimo anno, pena il blocco dei sussidi Ue. E, ancora, al 15,8 per cento entro il 2024. Obiettivi irraggiungibili solo con maggiori controlli dell'Agenzia delle entrate, per quanto vasti possano essere. Per centrarli, bisogna modificare le regole del gioco, rendendo in generale più difficile l'evasione a tutti.
Conntante fino a 5.000 euro
L'idea di espandere l'uso del contante fino a transazioni per 5 mila euro, su cui il governo ha deciso di puntare, si muove esattamente in direzione opposta. Le motivazioni sono state definite dai critici "speciose". Difficile possa servire a favorire i poveri, non in grado di permettersi un conto corrente (5 euro al mese): la soglia di povertà, in Italia, si aggira sui 10 mila euro e avere bisogno, qui ed ora, di metà del reddito annuale in contanti non sembra un'occorrenza diffusa. Ancor meno la difesa della privacy, rivendicata da qualche parlamentare leghista. "Il sistema dei pagamenti elettronici - ha scritto un economista - non è un social": per conoscere un transazione via bancomat, carta di credito, bonifico "ci vuole una indagine giudiziaria". Quello che sembra, tuttavia, accertato è che, in un paese dove l'economia sommersa - secondo le valutazioni dell'Istat - vale già 157 miliardi di euro (criminali esclusi), più contante uguale più nero. Secondo una indagine della Banca d'Italia su quanto avvenuto nel nostro paese negli anni scorsi (il limite al contante balla senza sosta da dieci anni) un aumento dell'uso del contante dell'1 per cento si traduce in un aumento fra lo 0,8 e l'1,8 per cento del sommerso. Cioè dai soldi al di fuori dal perimetro del fisco.
I pagamenti digitali
Piuttosto, dicono gli stessi economisti, bisogna intervenire per favorire l'utilizzo delle transazioni via bancomat e carta di credito, eliminando le commissioni. "Una banconota da 100 euro che cambia mano cento volte - osservano - vale sempre 100 euro. Se ad ogni transazione, paga una commissione dell1 per cento, dopo cento ne vale solo 37". Se si vogliono incentivare, anche ai fini fiscali, i pagamenti digitali, del costo del sistema deve, dunque, farsi carico lo Stato. Lo pagherà con i maggiori incassi tributari, ma anche con i risparmi sul contante. Non è vero, infatti, che il contante è gratis: stamparlo, trasportarlo, distribuirlo costa 7,4 miliardi di euro l'anno. E' una riforma che piacerebbe a chi, da Bruxelles, vigila sul Pnrr.