[L'analisi] Reddito di cittadinanza, si può dire no a proposte sotto gli 858 euro: a rischio molti lavori attuali. Ecco quali
Esistono sul mercato lavori retribuiti meno di quella cifra. Perché allora uno dovrebbe preferire il lavoro all’assegno? Le associazioni dei datori lanciano l’allarme. Ma forse basterà pagare meglio i lavoratori
C’è una disposizione fondamentale legata al reddito di cittadinanza: quella per cui, sotto gli 858 euro, si può rifiutare l’eventuale offerta di lavoro e continuare a percepire l’assegno. Ovviamente la previsione comporta conseguenze importanti: ci sono attualmente sul mercato posizioni lavorative che sono sotto tale retribuzione o comunque la rasentano, è presumibile allora che una persona preferisca prendere la stessa cifra restando a casa piuttosto che accettare un lavoro che viene retribuito, nel migliore dei casi, allo stesso modo.
Ma quali sono le attività a rischio?
Come osserva oggi il Sole 24 Ore basta volgere lo sguardo al settore agricolo, con gli addetti stagionali, oppure a quello dell’industria alimentare, con alcuni impiegati, o ancora ai contratti del commercio, vedi i commessi di negozio, alla ristorazione, con gli aiuto cuoco, o al Ccnl degli acconciatori estetisti e barbieri che contempla la figura dell’apprendista parrucchiere, per rendersene conto.
Si tratta in tutti i casi di posizioni di lavoro rispetto alle quali, se chiamati, i fruitori di reddito di cittadinanza potrebbero dire di no in quanto le retribuzioni sono sotto la previsione minima o “non congrue”. Da qui le preoccupazioni di molte associazioni di categoria che intravedono la difficoltà, d’ora in poi, di reclutare personale con gli “stipendi” di prima.
Apprendisti
Un esempio lampante è quello dell’apprendistato dove le retribuzioni possono divenire “incongrue” nonostante l’assunzione a tempo indeterminato. Un apprendista parrucchiere al primo anno in base ai trattamenti attuali percepisce infatti circa 825 euro per 40 ore settimanali. Difficile a questo punto rinunciare all’assegno in questione per scendere nell’agone lavorativa. E lo stesso può dirsi a maggior ragione in caso di lavori stagionali, part-time, a chiamata, di lavori in agricoltura o nell’artigianato, nel commercio o nella ristorazione.
E’ chiaro quanto sia facile, in tutte queste fattispecie, prevedere quanto possano essere numerosi i NO in ragione del limite minimo di retribuzione di 858 euro (voluto dal Senato in sede di discussione del Dl 4/2019), ma anche della “congruità” dell’offerta in relazione al tempo d’impiego.
Infatti stando ai requisiti introdotti dalla normativa sul reddito i Centri per l’impiego devono fare offerte “congrue”, altrimenti si può rifiutare. Solo alla terza proposta cui si risponde negativamente decade il beneficio. Da tener presente che l’offerta viene ritenuta congrua quando ci siano insieme i tre requisiti del tempo indeterminato (o a termine o di somministrazione di almeno 3 mesi), tempo pieno o con orario non inferiore all’80 per cento dell’ultimo contratto di lavoro e retribuzione non inferiore ai trattamenti minimi di cui ai Ccnl.
Posizioni a rischio rifiuto
Stando a quanto riporta il giornale economico sul mercato sono molte le posizioni lavorative per le quali si offrono retribuzioni sotto queste cifre (e condizioni). Posizioni esposte dunque al rischio “rifiuto”. Approfondiamo un po’. In primo luogo nel mondo della stagionalità in agricoltura, per 180 giornate anno, si arriverebbe col minimo contrattuale a 505,05 euro al mese. Poi vanno considerati i part-time: un part-time al 50 per cento, col Ccnl alimentari-industria, di 5 livello, percepirebbe circa 807,41 euro per 20 ore a settimana e un commesso di negozio di 4 livello, nella stessa situazione, non più di 808,34 euro.
Molte, come si accennava prima, le figure nell’apprendistato. Un apprendista parrucchiere nel primo anno di lavoro prenderebbe infatti all’incirca 828 euro mensili per 40 ore.
Nelle imprese di pulizie e dei servizi integrati si stima un 70 per cento di lavoratori part-time su una platea di 500mila addetti. Dai pulitori ai portinai, dagli addetti mensa ai manutentori. Tutto questo novero di posizioni – che non andrebbero oltre retribuzioni di 860 euro - potrebbero essere tentato, col reddito di cittadinanza, di dire no ai lavori in questione in caso di trattamento inferiore o equivalente a quello attuale. La stessa situazione potrebbe condizionare i Call center e portare conseguenze (come spinte al lavoro nero) in attività come quelle delle colf o delle badanti.
L'allarme dei datori
Per questo il grido d’allarme si alza forte dalle organizzazioni di categoria dei datori di settore. La Confcommercio denuncia “la difficoltà di trovare risorse in futuro, soprattutto nel settore part-time”. L’Anip sottolinea che nelle imprese di pulizia “ci potrebbe essere una spinta ad uscire dal mercato del lavoro anziché entrare”. Anche se occorre tener conto dei “diritti alla previdenza e assistenza a cui molti potrebbero voler non rinunciare”. Confartigianato spiega che “la soglia prevista può disincentivare l’ingresso al lavoro di persone a bassa occupabilità”. Mentre per i call centre l’Assocontact parla di necessità di “assunzioni legate alla volatilità delle commesse”, e Assindatcolf agita appunto il pericolo di ingigantimento del ricorso al lavoro nero da parte di badanti, colf e babysitter.
E se si alzassero le retribuzioni?
Le voci dei datori di lavoro sono insomma particolarmente preoccupate, ed è vero che le situazioni considerate sono effettivamente in grado di sollevare i problemi in questione. Dall’altra parte però non manca chi si chiede se tutto ciò non sia per certi versi positivo. I limiti introdotti potrebbero infatti servire a calmierare verso l'alto i livelli di retribuzione, che notoriamente in Italia sono particolarmente bassi, e incentivare forme di lavoro più garantite. In un certo senso – si sussurra - basterà aumentare le retribuzioni oltre certi limiti infimi e i problemi verranno sicuramente superati.