Redditi da 45mila euro al mese: Milano la città dove si guadagna di più
I Paperoni sono in genere imprenditori o professionisti. Un migliaio di persone diventa sempre più ricco e il resto della popolazione è inchiodata al reddito di sempre

Come si vive con uno stipendio da 45 mila euro al mese? Bene, probabilmente. Ognuno a suo modo, certo. Quasi sicuramente, però, tutti nello stesso posto. “Go West, kid” dicevano nell’Ottocento, in America, gli anziani ai giovanotti di belle speranze: soldi e successo si trovavano nel West. In Italia, oggi, bisognerebbe invece dire: “Vai a Milano, ragazzo”. Più di metà dei megastipendi del paese – oltre il mezzo milione di euro l’anno – si concentrano, infatti, sempre più nella metropoli lombarda. Non è una novità che nelle grandi città sia facile guadagnare di più. Ma, mentre a Roma o a Torino la percentuale di stipendi pesanti, nel settore privato, resta più o meno uguale, a prescindere dall’ammontare (hanno il 10 per cento degli stipendi italiani sui 40 mila euro e una quota quasi uguale di quelli quasi milionari), a Milano la curva si impenna, man mano che si appesantisce la busta paga: ci vive il 20 per cento degli italiani che lavorano per un’azienda privata e che hanno una busta paga intorno ai 40 mila euro, ma il 54 per cento di quelli sopra i 500 mila.
I ricchi
Stiamo parlando di poche centinaia di persone. I ricchi, in Italia, sono molti di più. Introiti da 50 mila euro al mese sono assai più comuni nelle fila dei circa 5 milioni di lavoratori autonomi, in particolare imprenditori e professionisti, le cui complesse dichiarazioni dei redditi, tuttavia, oscurano la reale entità dei flussi di soldi che entrano ed escono dalle loro tasche. Nel caso dei lavoratori dipendenti, invece, il fisco, grazie alla ritenuta alla fonte, non ha ombre. E consegna ad uno studio dell’Inps l’immagine di una fetta sottilissima di superricchi, in cima alla piramide degli stipendi: ci vogliono almeno 533 mila euro l’anno, per entrare nello 0,01 per cento più alto della classifica degli stipendi. Su 15 milioni di lavoratori dipendenti, significa 1.500 persone. Sono 150 mila quelli che guadagnano almeno 90 mila euro l’anno e un milione e mezzo quelli a cui l’azienda paga uno stipendio da quasi 40 mila euro in su, la fascia superiore della classe media.
La piramide
E’ la fotografia di una piramide piuttosto stretta. Ma, proprio perché basato su dati fiscali incontrovertibili, al contrario delle statistiche generali sui redditi, lo studio dell’Inps documenta un mutamento sociale profondo, anche all’interno di un mondo abbastanza stabile - gerarchie ben delineate e carriere prefissate - come quello del lavoro dipendente e delle sue buste paga. Stiamo assistendo ad una drammatica divaricazione, anche nel lavoro dipendente, fra redditi che restano fermi e redditi che crescono, fra ricchi e poveri. E la frattura - netta - è sempre più in alto nella classifica dei redditi, fra pochissimi fortunati e tutti gli altri. Qualche migliaio di persone che diventa, sempre più rapidamente, sempre più ricco e il resto della popolazione inchiodata al reddito di sempre. Nel 1978 (a parità di potere d’acquisto) bastavano 220 mila euro per far parte dei 1.500 superfortunati. Oggi, ce ne vogliono 533 mila. Al confronto, gli stipendi alti (quelli del 10 per cento di dipendenti più pagati) non si sono quasi mossi: da 31 a 39 mila euro l’anno. Lo strappo è avvenuto in cima.
Fenomeno mondiale
Il fenomeno non riguarda solo l’Italia. E’ mondiale. Le differenze di reddito – e di busta paga – sono anche più forti nel mondo anglosassone, dove le ineguaglianze sociali sono vistose. Ma emergono, ormai, con chiarezza anche in paesi, come la Francia e la Germania, che siamo abituati ad associare con modelli sociali più equilibrati. Negli Stati Uniti come in Gran Bretagna, in Francia come in Germania, tuttavia, questa divaricazione è avvenuta in un contesto di redditi crescenti. In altre parole, a diversificarsi è stata la velocità di crescita degli stipendi, che comunque aumentavano, riducendo, così, l’impatto delle disuguaglianze. Non così in Italia, dove, complice una economia che non si espande dagli anni ’90, la fuga verso l’alto di un pugno di superstipendi contrasta con il generale ristagno dei redditi. Attenzione, però: non è il divario fra stipendi normali e stipendi alti che si allarga. Ma quello fra pochi superstipendi e tutti gli altri. Il mondo, insomma, non è dei ricchi, ma degli straricchi. E lo è diventato – bruscamente – negli ultimi anni.
Fra il 1978 e il 1992, gli stipendi dei 1.500 (lo 0,01 per cento) meglio pagati fra i lavoratori dipendenti del settore privato sono aumentati del 60 per cento. Ma, se guardiamo subito sotto, il milione e mezzo (il 10 per cento) di stipendi in assoluto più alti sono comunque saliti del 20 per cento. Dopo il 1992, è tutta un’altra storia. Non solo gli stipendi bassi e quelli normali, ma anche gli stipendi alti restano fermi, nel quarto di secolo fra il 1992 e il 2017. Solo i 15 mila stipendi più pesanti si appesantiscono, negli stessi 25 anni, più o meno del 12 per cento, secondo l’Inps. Ma del 50 per cento i 1.500 al top.