I cinesi alla conquista del Porto Canale di Cagliari, la salvezza potrebbe arrivare dalla Via della Seta
Qualcosa è andato storto ed ora il sogno di sviluppo potrebbe diventare un incubo per gli oltre 700 lavoratori del settore: il traffico merci è in caduta libera dal 2017

Le grandi gru del Porto Canale di Cagliari somigliano a tanti scheletri azzurri, abbandonati fra la città ed il mare. Le loro braccia metalliche si protendono immobili verso moli vuoti del terminal container. E’ l’ennesima emergenza sarda, la più grave perchè insieme al sogno industriale rischia di affondare la competitività dell’ isola e di tutto il suo sistema produttivo. Negli anni 80 la scommessa del transchipement era diventata realtà con un investimento milionario che come ai tempi dei fenici avrebbe dovuto restituire a Cagliari il suo ruolo di scalo commerciale, inserendola nel più vasto circuito dei traffici mediterranei. Un progetto che prevedeva la specializzazione del porto come terminal container per lo smistamento del traffico destinato ai principali approdi del Mediterraneo occidentale, come Marsiglia, Genova, Napoli, Barcellona.
Cosa è andato storto?
Qualcosa però è andato storto negli ultimi anni ed ora quel sogno di sviluppo potrebbe diventare un incubo per gli oltre 700 lavoratori del settore: il traffico merci è in caduta libera dal 2017, anno in cui si registra la prima pesante flessione di oltre il 36% nella movimentazione dei container. Il 2018 ha chiuso con un pesante dimezzamento rispetto al 2017, con appena 215 mila Teu movimentati (Il Teu è l’unità di misura standard di volume nel trasporto dei container Iso, e corrisponde a circa 40 metri cubi totali), ed una proiezione per il 2019 che prevede un ulteriore meno 42% rispetto all’anno precedente. In pratica, dal 2016 ad oggi il porto industriale di Cagliari ha perso l’82% dei suoi traffici. Ma il peggio deve ancora venire, dato che pochi giorni fa anche l’ultimo grande operatore dello scalo, il tedesco Hapag Lloyd, ha annunciato il suo addio alla Sardegna, che non rientrerà più fra le sue rotte. I sindacati puntano il dito sulla Cict, la società che gestisce lo scalo commerciale, e sulla Contship, la casa madre a cui fa riferimento il gestore dell’area portuale industriale a sua volta facente parte di Eurokai, il più grande operatore terminalistico in Europa. “Se non cambia qualcosa”, denunciano, “fra 30 giorni il Porto Canale chiuderà i battenti nel silenzio assordante della politica e delle istituzioni. La Sardegna sarà tagliata fuori dai mercati, con ripercussioni devastanti nell’import/export delle imprese regionali”.

L’atteggiamento del Management
“Contestiamo con forza l’ atteggiamento del Management Contship, colpevolmente assente da ormai troppo tempo”: ci va giù duro William Zonca della Uil trasporti, che parla di vera e propria “fuga” dall’isola, dopo gli anni d’oro delle vacche grasse e degli utili di bilancio, mai ripagati da “alcun investimento importante” sull’area portuale. Il risultato è lo stato di abbandono un Terminal “che oggi rischia di essere invendibile a causa delle imperdonabili carenze infrastrutturali e di promozione commerciale di cui è colpevole l’azionista di maggioranza”. L’accusa è precisa e circostanziata: il contratto di localizzazione da 60 milioni di euro sottoscritto con le istituzioni nel 2006 e che avrebbe dovuto consentire di adeguare le infrastrutture portuali all’accoglienza delle navi merci di ultima generazione è rimasto in gran parte inattuato, tagliando fuori Cagliari dalla modernità e dal futuro. “Dobbiamo dedurre che una tra le più importanti realtà economico-commerciali del Sud Italia è rimasta in balia per troppo tempo di un soggetto pubblico/privato tedesco, volutamente tenuta in ostaggio e messa fuori mercato lentamente, a beneficio di altre realtà estere controllate dallo stesso soggetto”. Dello stesso tenore il giudizio di Massimiliana Tocco, della Filt Cigl: “Sappiamo che Contship si è impegnata a fornire dati e risposte certe all’Autorità di sistema Portuale di Cagliari entro il prossimo venerdì: banalmente, se il terminalista dirà che sono in arrivo nuovi operatori in grado di garantire i volumi di traffico standard o se Hapag Lloyd recederà almeno in parte dall’intenzione di abbandonare il Porto Canale allora si bloccherà il procedimento di decadenza della concessione. Ma dall’ultimo incontro con la presidente del gruppo, Cecilia Battistello, non erano emerse prospettive rosee e pensiamo che difficilmente in pochi giorni ci saranno modifiche sostanziali di scenario”.
Vertenza Contship
Uno scenario che risente delle mutate condizioni geopolitiche e del mercato dei traffici internazionali: a sole 100 miglia dalla Sardegna si aprono le anse dei porti della sponda Sud che ora, placate almeno in parte le turbolenze delle primavere arabe e delle guerre striscianti tornano ad essere competitivi e a buon mercato. A marzo Maersk, la più importante compagnia mondiale di trasporto container, ha deciso di trasferire 563 mila contenitori da Malta a Port Said, in Egitto, dove Al Sisi dall’oggi al domani ha fatto costruire 5 km di banchine con 170 gru ed un entroterra sconfinato, garanzia sicura di sbocco dei futuri traffici. Ed è solo un esempio. “In pochi anni, dal punto di vista dei traffici commerciali è cambiato il mondo”, ci spiegano gli addetti ai lavori dagli uffici dell’Autorità portuale cagliaritana, stando ben attenti a restare abbottonatissimi sulla vertenza Contship. “Fino al 2015, infatti c’erano una dozzina di grandi operatori che portavano traffico scegliendo i migliori terminalisti in base alle loro esigenze. Poi questo numero si è ristretto per via della fusione in 3 grandi alleanze planetarie: 2 M , Ocean Alliance e The Alliance che insieme fanno il 98% del tonnellaggio mondiale di container e decidono con la loro forza in che direzione devono spostarsi le linee ed i traffici”. In questo sistema vince chi offre tariffe inferiori ed ha un mercato retrostante raggiungibile direttamente connesso al porto. Perché nel frattempo anche le navi porta-container sono cambiate: oggi sono mostri da 22 mila contenitori che devono avere la garanzia di essere riempiti in fase di carico, e svuotati all’approdo, attraverso i canali dell’entroterra.
E c'è anche la burocrazia
Non soltanto. A complicare le cose c’è anche la burocrazia. A rendere meno appetibile Cagliari sono,ad esempio quei 100 milioni di euro di investimenti sugli avamporti est ed ovest del porto bloccati a causa del parere negativo della Soprintendenza ai beni paesaggistici che ha sollevato un parere di impatto dell’area industriale con lo skyline della città, uno dei più belli del Mediterraneo. Stesso problema per l’stituzione della Zona Franca doganale, la cui istituzione è rallentata dalla mancanza del nulla osta paesaggistico alla costruzione della recinzione che dovrebbe delimitarla. Ma i sindacati non si arrendono: oggi a Cagliari in occasione della visita del Ministro dell’Interno Salvini saranno presenti al Palacongressi della Fiera le delegazioni delle tre sigle, per chiedere con forza che a prescindere dalla permanenza della Contship in Sardegna il governo si faccia carico dell’apertura di nuove prospettive per il Porto Canale, magari aprendolo alla grande Via della Seta cinese. “Vogliamo continuare ad esistere, il mercato c’è e va soltanto indirizzato”, ribadisce la Tocco.