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Perché il vaccino anti-Covid è la faccia migliore di Big Pharma

Anche sul piano degli affari il vaccino anti-Covid è un successo straordinario. Benché i profitti record, nei bilanci delle grandi case farmaceutiche, siano, comunque, tutt'altro che rari

Maurizio Riccidi Maurizio Ricci   
Vaccinazione (Foto Ansa)
Vaccinazione (Foto Ansa)

Ormai lo sappiamo già. L'anno prossimo dovremo tornare, quasi certamente, a vaccinarci contro il Covid. Almeno qui in Europa, lo faremo esclusivamente con i rivoluzionari vaccini di nuova generazione, quelli che utilizzano i processi della genetica. E le aziende che li producono sono passate all'incasso: sia Pfizer che Moderna hanno aumentato in misura sostanziale i prezzi delle dosi, nei contratti appena firmati con la Ue per le forniture 2022. La logica, tuttavia, non è la stessa.

L'aumento di prezzo

Moderna, che è poco più di una start-up e che ha puntato tutto sul vaccino, unico suo prodotto sul mercato, ha aumentato il prezzo di circa il 10 per cento, da 22,60 doillari a 25,50. Si è fatta assai meno scrupoli Pfizer, uno dei giganti di Big Pharma, che, al contrario di Moderna, incassa ogni anno decine di miliardi di dollari dal ventaglio delle sue medicine: il prezzo di una dose del vaccino Pfizer sale da 15,50 dollari a 19,50, oltre il 25 per cento in più. Lo straordinario successo nella corsa al vaccino, ottenuto nel giro di pochi mesi - un record assoluto nella storia dei vaccini - dimostrandosi capace di bloccare una minaccia epocale è, insomma, anche una perfetta illustrazione delle strategie operative delle grandi case farmaceutiche. Il vaccino Pfizer non è, in realtà, un vaccino Pfizer: lo ha ideato e realizzato un'azienda tedesca, la Biontech.

Il coraggio di Pfizer

Il merito della Pfizer è di averlo individuato, di aver creduto nella rivoluzionaria tecnica a vettore genetico, di essersi assunta i costi cospicui della sperimentazione su campioni sempre più vasti di persone, della produzione e della distribuzione. Questo coraggio viene ampiamente ripagato in questi mesi. Nel secondo trimestre di quest'anno, la Pfizer ha realizzato profitti per 5,5 miliardi di dollari su un fatturato appena inferiore a 19 miliardi, per il 40 per cento riconducibile proprio al vaccino. Vuol dire che ogni 100 dollari di incassi delle vendite, gli azionisti Pfizer possono contare su oltre 25 dollari a titoli di profitti, di cui almeno 10 proprio grazie al vaccino. E, l'anno prossimo, il fatturato dovrebbe raddoppiare. In altre parole, la società di New York, la più grande al mondo nel settore farmaceutico, l'esempio più vivido di Big Pharma, non ha aumentato i prezzi nel contratto con la Ue perché aveva l'acqua alla gola: al contrario.

I profitti record

Anche sul piano degli affari, dunque, il vaccino anti-Covid è un successo straordinario. Benché i profitti record, nei bilanci delle grandi case farmaceutiche, siano, comunque, tutt'altro che rari. In effetti, l'immagine che il Covid ci consegna di Big Pharma è tutta a tinte rosa: miliardi di dollari di profitti, a fronte di milioni di vite salvate. Non è sempre così: l'immagine è assai più contrastata. E' una industria che si basa sulla ricerca, sull'innovazione, sui brevetti. Ma per un brevetto veramente innovativo – come quello del vaccino a Rna messaggero – ci sono, dicono gli esperti, molti brevetti con innovazioni solo di facciata, pensati solo per prolungare il potere di mercato. Che è il tratto più distintivo di Big Pharma e ne ha fatto il settore più concentrato e semimonopolista di tutta l'industria globale. In una recente ricerca, il Fondo monetario internazionale registra che, dal 1980, i processi di concentrazione nell'industria mondiale stanno costantemente aumentando. Dal 2000 ad oggi, le aziende più grandi di ogni settore incamerano il 50 per cento di profitto in più, rispetto alle altre, mostrano più produttività e sfornano più brevetti. Questa immagine di vibrante attività è però ingannevole: quei brevetti sono spesso difensivi e rimangono nel cassetto. Le grandi aziende tendono a vivere di rendita: nonostante i profitti alti, gli investimenti sono inferiori a quelli che ci si potrebbe aspettare, dice il Fmi, in un regime di maggior concorrenza.

La ricchezza di Big Tech e Big Pharma


E' un quadro che fa pensare subito a Big Tech e al dominio di mercato che esercitano i quattro grandi (Apple, Google, Microsoft e Facebook). In effetti, questi quattro giganti controllano i due terzi del fatturato attribuito alle 20 aziende più importanti del settore e sono diventate macchine che distribuiscono soldi. Vent'anni fa, su 100 dollari di incassi dalle vendite, i loro azionisti si mettevano in tasca, come dividendi, 70 centesimi. Oggi, sempre su 100 dollari di incassi alla vendita, agli azionisti arrivano 3 dollari e mezzo. Big Pharma ha un profilo simile. Se la ricchezza di Big Tech sono gli algoritmi e il software, per le aziende farmaceutiche sono i brevetti. Ma, sulla strada della concentrazione, Big Pharma è molto più avanti di Apple o Google. Nel 1990, le quattro case farmaceutiche più grandi (Pfizer, Johnson&Johnson, Roche e Novartis) coprivano il 50 per cento delle vendite delle venti aziende più importanti. Oggi, siamo al 90 per cento. E, quanto a remunerare gli azionisti, nessuno batte Big Pharma: per 100 dollari di fatturato, ci sono 7,7 dollari di dividendo. Per Big Pharma come per Big Tech, la tecnica per difendere il proprio potere di mercato è, quasi sempre, la stessa: comprare i nuovi concorrenti che si affacciano sul mercato e che appaiono pericolosi. Negli anni scorsi, Big Pharma ha fatto incetta di start-up con promesse di innovazione nel campo della genetica. I cinici ne traggono una conclusione: senza il dramma dell'emergenza Covid e della disperata corsa al vaccino, difficilmente Moderna sarebbe arrivata, in proprio, sul mercato.

 

Maurizio Riccidi Maurizio Ricci   
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