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Pensioni, spunta l’ipotesi Quota 102 ma il sindacato dice no: “Serve più flessibilità”

L’ex ministra Fornero: “Esercizio di irresponsabilità”. Le proposte di riforma e la posizione della ministra Catalfo. L’idea di rafforzare l’Ape social. Slavini intanto interviene a gamba tesa.

Ignazio Dessìdi I. Dessì   
Manifestazione per le pensioni (Ansa)
Manifestazione per le pensioni (Ansa)

Mentre in Francia continuano le manifestazioni, quello delle pensioni rischia di diventare un tema caldo nell’immediato futuro anche in Italia. In attesa del tavolo tra governo e sindacati previsto per il 27 gennaio, la ministra del Lavoro Nunzia Catalfo parla di un nuovo sistema, capace di superare la legge Fornero e basato su equità e flessibilità.

Il problema ovviamente è sempre quello delle risorse disponibili, e proprio la ex ministra del governo Monti (quello di austerità, lacrime e sangue) parla di “esercizio di irresponsabilità”, riferendosi alla proposta paventata dai sindacati, di consentire l’uscita dal lavoro a partire dai 62 anni con almeno 20 di contributi. A suo avviso la modifica proposta minerebbe i conti pubblici e “sarebbe insostenibile”.

Cgil, Cisl e Uil intanto si riuniscono e proprio il tema pensioni è prioritario, insieme a quello del fisco.

Quota 102

Le soluzioni di cui si parla in questi giorni sono varie. Secondo alcuni si potrebbe pensare a una Quota 102, con 64 anni di età e 38 di contributi. Da considerare che, una volta arrivata a scadenza nel 2021 Quota 100, si tornerebbe ai requisiti dei 67 anni per le pensioni di vecchiaia e 42 anni e 10 mesi di contributi per le anticipate, e serve un'alternativa praticabile.

Pensionati (Ansa)

Il no dei sindacati

Quella di Quota 102 è però una ipotesi che i sindacati rigettano. Il segretario confederale della Cgil Roberto Ghiselli auspica su Repubblica un ritorno allo spirito della riforma Dini che prevedeva (allora) un'uscita flessibile da 57 a 65 anni di età, ma solo per i contributivi puri che lavorano dal 1996". Per il leader sindacale si può applicare l’idea “anche ai misti”, fissando i requisiti a 62 anni e 20 di contributi. “Le persone devono poter scegliere quando lasciare il lavoro dai 62 anni in poi o, a prescindere dall'età, con 41 anni di contributi", sostiene l'esponente della Cgil che avverte: "Siamo pronti alla mobilitazione permanente".

Anche per il segretario confederale della UIL Domenico Proietti “l'ipotesi di Quota 102 non risponde all'esigenza di flessibilità diffusa e aggrava i problemi non risolti da Quota 100. La Uil ritiene che si debba garantire una flessibilità tra i 62/63 anni per uscire dal lavoro, considerando le differenti gravosità dei lavori”. In ogni caso il  sindacato “è nettamente contrario ad ogni ipotesi di penalizzazione e di ricalcolo contributivo”.

La proposta di Damiano

Vicina all’idea del sindacato è quella dell’ex ministro del Lavoro Cesare Damiano che, in una recente intervista a TiscaliNews, ha proposto di recuperare la sua proposta di legge del 2013, la n. 857, che prevedeva la possibilità di uscire dal lavoro 4 anni prima. In pratica “l’anticipo a 63 anni con una penalizzazione del 2% per ogni anno di anticipo, in modo da contribuire al riequilibrio di un costo che indubbiamente esiste”. Ovviamente con un occhio particolare per chi svolge lavori usuranti e pesanti, ai quali “va concesso di andare in pensione prima degli altri - spiega Damiano - Penso all’edilizia, ma anche a tutta la lunga classifica, che avevo finanziato al tempo del governo Prodi, di coloro che ricadono sotto la dizione dei lavori usuranti: cave, miniere, torbiere, lavoro notturno, catena di montaggio e così via. Inoltre l’Ape sociale ha allargato la platea dei lavori gravosi e va resa strutturale".

A proposito di Ape social 

In effetti, per quanto riguarda l'Ape sociale, c'è chi pensa di rafforzarla. Come si ricorderà si parla della possibilità di lasciare il lavoro a 63 anni, in talune condizioni come la disoccupazione o il lavoro gravoso.

Altri propongono di affiancare a ciò qualcosa di simile ad Opzione Donna anche per gli uomini. Questo per consentire ai lavoratori di andare in pensione prima, rispetto ai 67 anni di età o ai 42 e dieci mesi di contributi, ma accettando un ricalcolo esclusivamente contributivo dell’importo.

Maggior flessibilità

In ogni caso si parla con convinzione della necessità di una maggiore flessibilità in uscita, compensata da una penalizzazione per gli anni di anticipo. Diverso ovviamente il trattamento per i lavori gravosi e usuranti, in ragione della minore aspettativa di vita di chi è sottoposto a tali tipi di occupazione. Un concetto ribadito dal sottosegretario all'Economia Pier Paolo Baretta che, in un’intervista al Corriere della Sera, auspica "massima flessibilità di scelta del lavoratore”. Secondo l'esponente del Pd, “fissato un minimo di età e di contributi, si deve essere liberi di andare in pensione. Questa flessibilità oggi si può introdurre perché ormai stiamo andando rapidamente verso un sistema dove le pensioni vengono liquidate prevalentemente col metodo contributivo, nel senso che tanto hai versato e tanto prendi”.

Il tema è dunque caldo e il governo dovrebbe nominare per questo, a breve, un'apposita commissione di esperti per elaborare proposte concrete.

Sull’argomento intanto interviene a gamba tesa il leader della Lega Matteo Salvini che promette, soprattutto in caso di vittoria in Emilia,  di bloccare il "tentativo folle" di alzare l’età pensionabile. Sarebbe “un vero delitto”, sostiene.

 

 

 



 

Ignazio Dessìdi I. Dessì   
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