[Il retroscena] Non solo i negozi chiusi la domenica, ma bloccare anche l’e-commerce vietando le consegne. Ecco il piano del governo
Lega e M5s calendarizzano una proposta di legge (leghista) che vieta agli esercizi commerciali di aprire la domenica. Sono esentate le località turistiche e categorie desuete come i “rivenditori di musicassette e videocassette”, ma non i colossi dell’ecommerce. I portali la domenica potranno ricevere gli ordini di acquisto, ma dovranno eseguirli soltanto il lunedì. Saranno danneggiate solo le aziende con sedi in Italia, mentre gli altri potranno continuare a lavorare. Protesta la grande distribuzione, ma i gialloverdi tirano dritto: vogliono recuperare il consenso di commercianti e piccoli imprenditori rimasti scontenti per il Dl Dignità

Luigi Di Maio ieri, domenica, ha pubblicato sei post su Facebook. Matteo Salvini lo ha superato con dieci. I vicepremier usano i social - che sono di proprietà di grandi aziende multinazionali - per fare il loro mestiere anche in un giorno festivo. In compenso stanno per approvare una legge che vuol costringere le aziende dell’e-commerce a “rimanere chiuse” la domenica. Mentre il “grigio” Mario Monti aveva liberalizzato il settore del commercio, ritenendolo una delle palle al piede della modernizzazione del Paese, il governo degli “smanettoni” rischia di chiudere anche internet per un giorno alla settimana.
Il “capo politico” dei Cinquestelle già lo scorso dicembre aveva annunciato di voler vietare le aperture domenicali dei negozi, - “perché questo modello sta distruggendo le famiglie”, diceva - e oggi la maggioranza si è messa in moto. I gialloverdi avevano a disposizione due testi base: scartato quello del deputato pentastellato e sottosegretario Davide Crippa, hanno scelto l’altro, più “moderato”, della leghista Barbara Saltamartini, presidente della Commissione Lavoro di Montecitorio, intitolato “Modifiche all’articolo 3 del decreto-legge 4 luglio 2006 in materia di disciplina degli orari di apertura degli esercizi commerciali”.
Il disegno di legge, composto di due articoli, di fatto abroga totalmente quelli del decreto scritto dal governo dei tecnici con cui venne decisa la liberalizzazione degli orari commerciali. D’ora in poi, se la proposta si tradurrà in una legge, la domenica le serrande di negozi, supermercati e centri commerciali rimarranno abbassate. Alla base dello stop alle aperture festive, secondo la relazione, ci sarebbero fenomeni economici e anche sociali che il governo intenderebbe contrastare. In realtà, nel mirino c’è la “distribuzione organizzata”.
“Con le aperture domenicali si rischia di perdere una parte rilevante della realtà di molti piccoli centri storici italiani, sacrificata alle logiche commerciali della grande distribuzione. Lo confermano i dati della Confcommercio, secondo i quali tra il 2008 e il 2017, solo nel settore della distribuzione commerciale, sono spariti circa 52.000 negozi”, è la prima delle motivazioni addotte dal governo. Ma non manca una preoccupazione di ordine “etico”: “Bisogna chiedersi se si ritiene corretto continuare a svendere le domeniche e le festività al consumismo visitando i centri commerciali”, è la domanda - retorica - posta dalla relazione.
E’ giusto che le famiglie passino la domenica in un centro commerciale? Pare di capire che la risposta sia negativa. Ci saranno però delle deroghe, con apposite finestre previste per il mese di dicembre, prima di Natale, “o nei periodi di maggiore afflusso turistico”. La proposta gialloverde prevede altre eccezioni, per “i piccoli esercizi commerciali ubicati nelle località turistiche e nei piccoli comuni montani”, nonché per le attività commerciali balneari “e le attività connesse”, per le quali l’orario di apertura e chiusura non è soggetto ad alcun obbligo. Le tipologie di esercizi esclusi dalle limitazioni sono circoscritte con molta chiarezza: “Le rivendite di generi di monopolio, gli esercizi di vendita interni ai campeggi, gli esercizi di vendita al dettaglio situati nelle aree di servizio lungo le autostrade” e così via per decine di tipologie diverse di esercizi. Non manca nemmeno la possibilità - del tutto teorica - di passare le domeniche girando per “gli esercizi specializzati nella vendita di nastri magnetici, musicassette, videocassette”, cioè cose che non esistono più da una vita e che, al massimo, sono oggetti del culto feticistico di nostalgici e degli amanti del genere vintage. Insomma, quasi tutti potranno rimanere aperti meno le strutture della grande distribuzione.
L’aspetto più singolare della nuova normativa è però l’estensione dei divieti ai colossi dell’ecommerce. Ma è possibile convincere aziende come Amazon, che raccolgono ordini h 24 e garantiscono spedizioni in 24 ore, a chiudere per un giorno a settimana? I tecnici del Mise sono convinti di sì. La legge colpisce non l’acquisto, che potrà continuare ad essere fatto anche di domenica, ma la composizione dell’ordine, l’impacchettamento e la spedizione, che non potrebbero più avvenire se non a partire dal lunedì mattina. L’obbligo di abbassare la saracinesca riguarda soltanto il lavoro dell’uomo e non le procedure gestite dalle macchine. Il problema è che l’obbligo di non eseguire gli ordini la domenica, pensato per colpire i colossi dell’ecommerce che hanno sede in Italia, rischia di favorire gli altri, quelli che hanno la possibilità di gestire le varie operazioni dall’estero. Obiezioni che sembrano però non impensierire la maggioranza: “Approveremo sicuramente questa legge entro l’anno perché sta distruggendo le famiglie italiane”, ha garantito il vicepremier pentastellato ieri alla Fiera del Levante. Ma intanto, prima ancora che dell’inizio della discussione in Aula e che si pensi agli eventuali correttivi, il governo ha ricucito con Confesercenti e Cei, coi quali era entrato in conflitto rispettivamente con il decreto Dignità e con la mancata autorizzazione all’attracco della nave Diciotti.
“L’annuncio di una revisione della liberalizzazione entro l’anno è di grande importanza; i 150mila firmatari della proposta di legge ‘Liberaladomenica’ presentata da Confesercenti e Cei attendevano da cinque anni un segnale di attenzione”, ha commentato infatti il segretario generale di Confesercenti, Mauro Bussoni. Plaudono i sindacati, ma i rappresentanti delle aziende della “distribuzione organizzata” denunciano i rischi che incombono sul settore: “La grande distribuzione occupa 450 mila dipendenti, le domeniche incidono per il 10% e quindi sicuramente avremo circa 40-50mila tagli”. I gialloverdi però non arretreranno. L’accelerazione è il frutto di una preoccupazione e di una volontà - condivisa - di recuperare il consenso di una parte di quelle che un tempo sarebbero state chiamati “ i ceti produttivi”, che non avevano apprezzato in particolare le mosse sul mercato del lavoro. Fa parte della stessa strategia la decisione di mettere nella legge di Bilancio la flat tax per i professionisti e per le micro imprese che fatturano fino a centomila euro.
La domanda che la relazione non pone, però, è se il complesso di queste misure farà fare passi in avanti alla modernizzazione del Paese o non rappresenti, invece, un arretramento rispetto alle conquiste del recente passato. Ovvero se vadano nella direzione di migliorare la produttività del sistema o se, al contrario, per tutelare alcune delle categorie più disposte a votare per i partiti di governo, non finiscano per aggravare il peso di corporativismi e particolarismi che hanno provocato la regressione dell’economia italiana degli ultimi decenni.
Non sembrano però queste le preoccupazioni della maggioranza, impegnata a testa bassa a lanciare segnali al proprio elettorato di riferimento e a “invadere il campo” degli altri partiti. Da una settimana, ad esempio, i leghisti si sono scatenati e ritirando fuori decine di proposte di legge che in passato avevano condiviso con i forzisti e con i Fratelli d’Italia, e che si erano arenate strada facendo, allo scopo di inestarsele. L’ultima riguarda l’obbligo delle telecamere negli asili.