Tiscali.it
SEGUICI

[L’analisi] Laureati pagati 250 euro al mese. Ecco chi sono gli sfruttati digitali del lavoro

I riders, come sono chiamati i fattorini che portano da mangiare a casa, sono, censisce Bankitalia, meno di 8 mila. Gli stranieri sono il 23 per cento, il grosso ha meno di 25 anni, i laureati sono il 18 per cento. In base ai dati degli addetti di Foodora, circa metà dei riders sono studenti. Degli altri, il 10 per cento ha un altro lavoro dipendente, il 13 per cento un secondo lavoro autonomo, il 14 per cento è disoccupato. C’è anche un 1,5 per cento di pensionati

Maurizio Riccidi Maurizio Ricci, editorialista   
[L’analisi] Laureati pagati 250 euro al mese. Ecco chi sono gli sfruttati digitali del lavoro

Più che una scheggia di futuro, per ora è poco più di un rito di passaggio all’età adulta, però casuale, episodico, sporadico. La gigeconomy ha la stessa precarietà del mondo da cui viene il termine: nel gergo dei jazzisti americani, gig è l’esibizione di una sera. A differenza di una tournée, finisce lì, senza repliche. E così, nel mondo del lavoro del XXI secolo, la gig economy è l’occupazione a chiamata, dove offerta, domanda e gestione della prestazione passano, giorno per giorno, attraverso Internet e le piattaforme digitali, come quelle di Uber o di Deliveroo. Forse, lavoreremo sempre di più così. Ma, oggi in Italia, la gig economy riguarda solo poche migliaia di giovani. In totale, su 10 mila lavoratori, meno di quattro interagiscono con le piattaforme digitali. E non è vero che siano tutti stranieri: neanche un quarto. Invece, sono quasi sempre studenti. E questo rende difficile, per un lavoro di pochi mesi, un loro inquadramento in e un contratto di lavoro vero e proprio.

GIOVANI, MASCHI, ISTRUITI. Anche se limitato nei numeri, il fenomeno è comunque abbastanza vistoso – nelle strade e sui giornali – da aver convinto la Banca d’Italia a studiarlo da vicino, anche se i dati in materia sono labili e sparsi. Bastano, però, per dire che la gig economy, oggi, è roba da giovani, maschi, istruiti. Negli Usa, più di un terzo degli autisti di Uber ha la laurea in tasca e l’11 per cento anche il dottorato di ricerca. Ma guidare per Ubernon è un lavoro a tempo pieno. In media, in America, questi tassisti digitali ricavano solo un terzo del loro reddito totale dal guidare per altri. In Gran Bretagna, Uber è un reddito aggiuntivo per due autisti su tre. La situazione, però, è in movimento, assai variegata. In Francia, infatti, al contrario che nei paesi anglosassoni, il 50 per cento degli autisti di Uber lavora con la piattaforma più di 30 ore a settimana e il 70 per cento del totale dichiara che quello è il suo lavoro principale.

In ogni caso, un po’ in tutti i paesi si è posto il problema di una regolamentazione. In quelli anglosassoni ci si sta arrivando per via giudiziaria, attraverso i tribunali. In Danimarca e in Belgio, con accordi sindacali. In Francia, con una legge. Gli obiettivi, però, sono ovunque gli stessi: fornire ai lavoratori garanzie in tema di paga minima, ferie, malattia, contributi previdenziali.

IN ITALIA E’ TUTTO PER ARIA. E in Italia? Nonostante le promesse di un Luigi Di Maio appena insediato al ministero del Lavoro, in Italia siamo ancora lontani dall’inquadrare il problema. Lo studio della Banca d’Italia disegna, però, uno scenario in cui non c’è solo l’inerzia politica e legislativa. La differenza fra l’Italia e gli altri paesi è, infatti, l’assenza di Uber, bloccato dalle resistenze dei tassisti tradizionali e dal principio che, per guidare per altri, bisogna avere una vera e propria licenza. Il punto è che guidare per Uber può significare anche immaginare un percorso lavorativo a lungo termine, pur se non necessariamente permanente, e fare affidamento su un reddito di qualche consistenza, anche se complementare ad altri redditi. 

In Italia, invece, la gig economy si è concentrata quasi esclusivamente sulla consegna di cibi e pasti a domicilio. Negli ultimi sei anni, le piattaforme che se ne occupano – documenta lo studio di Bankitalia – sono passate da 1 a 26, fra start up e grossi nomi come Foodora e Deliveroo. Fra il 2015 e il 2018 il loro fatturato è schizzato da 7 a 40 milioni di euro. Di fatto, i quattro quinti del fatturato dell’intera gig economy italiana è concentrato nella food delivery, lasciando gli spiccioli alle piattaforme di trasporto o di servizi domestici.

CHI PORTA LA PIZZA. I riders, come sono chiamati i fattorini che portano da mangiare a casa, sono, censisce Bankitalia, meno di 8 mila. Gli stranieri sono il 23 per cento, il grosso ha meno di 25 anni, i laureati sono il 18 per cento. In base ai dati degli addetti di Foodora, circa metà dei riders sono studenti. Degli altri, il 10 per cento ha un altro lavoro dipendente, il 13 per cento un secondo lavoro autonomo, il 14 per cento è disoccupato. C’è anche un 1,5 per cento di pensionati. 

E’ il trionfo del precariato. Meno di un quarto degli addetti è inquadrato come co.co.co, ha cioè un contratto di collaborazione coordinata e continuativa. Tutti gli altri sono solo partite Iva. Nel tentativo di creare qualche garanzia, Deliveroo ha stipulato una apposita polizza per coprire i riders dagli incidenti sul lavoro. Una regolamentazione generale e più stringente, sul modello di quanto avviene all’estero, è, dunque, necessaria al più presto, ma richiede un po’ di immaginazione, perché i riders raramente lavorano per più di sei mesi di seguito, escono sistematicamente dal settore (come è normale, trattandosi di studenti) e hanno orari assai volatili.

Secondo Foodora, infatti, mediamente i riders lavorano 19 ore a settimana, ma, come sempre con le medie, il dato dice poco. Infatti, il 5 per cento lavora anche fino a 100 ore a settimana (uno sproposito: 14 ore al giorno). Il 15 per cento intorno alle 15 ore. Il grosso, il 60 per cento, dieci ore o anche meno.

QUANTO GUADAGNANO. Diversi, dunque, ovviamente, anche i guadagni. In media, a consegnare pizze e rigatoni, si guadagnano 500 euro al mese. Ma, ancora una volta, la media inganna. Lo stesso 5 per cento che lavora 100 ore a settimana riesce a mettere insieme oltre 2 mila euro mensili. Ma quel 60 per cento che non arriva a 10 ore a settimana, arriva fino a 250 euro.

Maurizio Riccidi Maurizio Ricci, editorialista   
I più recenti
Lo schianto di un aereo su una strada: immagini impressionanti
Lo schianto di un aereo su una strada: immagini impressionanti
Truffa con nome di Crosetto: chi sono gli altri nomi di primo piano finiti nel mirino
Truffa con nome di Crosetto: chi sono gli altri nomi di primo piano finiti nel mirino
Ritrovato l'aereo scomparso in Alaska: tutti morti i passeggeri a bordo
Ritrovato l'aereo scomparso in Alaska: tutti morti i passeggeri a bordo
Teleborsa
Le Rubriche

Alberto Flores d'Arcais

Giornalista. Nato a Roma l’11 Febbraio 1951, laureato in filosofia, ha iniziato...

Alessandro Spaventa

Accanto alla carriera da consulente e dirigente d’azienda ha sempre coltivato l...

Claudia Fusani

Vivo a Roma ma il cuore resta a Firenze dove sono nata, cresciuta e mi sono...

Claudio Cordova

31 anni, è fondatore e direttore del quotidiano online di Reggio Calabria Il...

Massimiliano Lussana

Nato a Bergamo 49 anni fa, studia e si laurea in diritto parlamentare a Milano...

Stefano Loffredo

Cagliaritano, laureato in Economia e commercio con Dottorato di ricerca in...

Antonella A. G. Loi

Giornalista per passione e professione. Comincio presto con tante collaborazioni...

Lidia Ginestra Giuffrida

Lidia Ginestra Giuffrida giornalista freelance, sono laureata in cooperazione...

Alice Bellante

Laureata in Scienze Politiche e Relazioni Internazionali alla LUISS Guido Carli...

Giuseppe Alberto Falci

Caltanissetta 1983, scrivo di politica per il Corriere della Sera e per il...

Michael Pontrelli

Giornalista professionista ha iniziato a lavorare nei nuovi media digitali nel...