In Italia è boom del coworking: ecco come cambia il mondo del lavoro
Tiscali.it ha parlato del nuovo fenomeno con Alice Soru, fondatrice di Open Campus, uno dei primi spazi di coworking italiani
"I lavoratori del futuro avranno sempre più bisogno di far parte di reti”. Non ha dubbi a riguardo Alice Soru, fondatrice di Open Campus, una delle prime iniziative di coworking italiane, lanciata a Cagliari nel 2013, dove lavoratori e aziende condividono gli stessi spazi e le stesse infrastrutture pur restando indipendenti tra loro.
“In un mondo dove l’innovazione tecnologica e digitale sono sempre più importanti – ha proseguito l'imprenditrice – è impensabile che una persona possa lavorare in un ufficio o in un ambiente chiuso o isolato perché tutto cambia velocemente ed è fondamentale confrontarsi e stare in contatto con altri per restare aggiornati. I coworking rispondono perfettamente a questa esigenza”.
Fenomeno nato negli Stati Uniti
Il coworking nasce nella Silicon Valley tra il 2005 e il 2006 e inizialmente è favorito dalla crisi economica scoppiata a partire dal 2007. “Professionisti e aziende – ha spiegato Alice Soru – avevano l’esigenza di ridurre i costi e questo ha contributo alla diffusione del fenomeno e più in generale di tutte le piattaforme di sharing economy. Da allora anche l’ufficio è diventato un servizio e non più un bene da possedere”.
Il coworking piace anche in Italia
All'inizio del decennio in corso l’esperienza arriva in Italia grazie ad operatori stranieri come Impact Hub ma anche a protagonisti italiani come Talent Garden creato a Brescia da Davide Dattoli. “Fondamentalmente – ha spiegato la fondatrice di Open Campus – possiamo raggruppare i vari coworking in due categorie: le grandi reti di franchising e quelli indipendenti. I primi tendono ad essere dei veri e propri business center di grandi dimensioni dietro cui c’è spesso anche una operazione immobiliare, i secondi invece tendono a curare maggiormente le community e quindi il network tra le persone”.
A Milano voucher per favorire la diffusione
Anche le istituzioni stanno incominciando ad accorgersi della importanza sociale di queste nuove forme di organizzazione del lavoro. Il Comune di Milano già da qualche anno ha deciso di assegnare voucher fino a 1500 euro ai lavoratori che decidono di lavorare negli spazi di coworking accreditati dal Comune e dalla Camera di Commercio, con l’obiettivo di favorirne la diffusione.
Anche le grandi aziende sperimentano il coworking
“I lavoratori tipici – ha raccontato Alice Soru – sono free lance con partita Iva e team di startupper che operano nell’ambito dei servizi innovativi ma l’esperienza sta incominciando ad attrarre anche le aziende di grandi dimensioni che mandano nei coworking alcuni dipendenti con l’obiettivo di farli contaminare in ambienti più aperti alla modernità e dunque all’innovazione”.
Non solo spazi generalisti
Altro aspetto interessante del fenomeno è che non tutti gli spazi sono generalisti. Alcuni, come per esempio Open Campus, ospitano lavoratori che operano prevalentemente nel settore digitale, altri invece sono dedicati ai creativi o alle iniziative che hanno un impatto sociale. La specializzazione favorisce dunque ulteriormente la creazione di community e reti relazionali che, come abbiamo già visto, sono l’aspetto fondamentale degli spazi di coworking ed in particolare di quelli indipendenti.
Risposta a cambiamento culturale
“I coworking – ha aggiunto l'imprenditrice – rispondono inoltre ad un profondo cambiamento culturale che sta avvenendo in molti dei lavoratori più giovani e da cui difficilmente si tornerà indietro: l’avversione verso il tipico lavoro d’ufficio con luoghi e orari rigidi. L’attività free lance è sempre più spesso una scelta di vita che tuttavia non è priva di difficoltà. Per questo motivo sarebbe necessario favorire un cambiamento culturale anche delle istituzioni che metta al primo posto la creazione di un nuovo modello di welfare, come sta già avvenendo nei paesi nord europei”.