Se il governo giallorosso M5S-Pd non decolla la colpa non sarà della temutissima manovra
Sul alcuni punti economici i partiti di Di Maio e Zingaretti sono in sintonia. In realtà, gli ostacoli ad un accordo sono soprattutto politici

Governo di legislatura? Di programma? Di emergenza? Le diverse stazioni del lessico di una uscita dalla crisi politica con un governo Pd-5s sono, in realtà, meno diverse da come appaiono a prima vista. Paradossalmente, la via più impervia sarebbe quella del sostegno comune ad un governo preelettorale che, però, per motivi di calendario, dovesse comunque varare una manovra economica (comunque cospicua, ci sono sempre da trovare 23 miliardi di euro per non far scattare l’aumento dell’Iva) per tamponare i conti entro fine anno: una sorta di nuovo governo Monti, chiamato solo a tagliare. Ma non siamo più all’emergenza del 2011, con l’Italia sull’orlo della bancarotta. Se, dunque, il governo giallorosso avesse, al di là dei tagli, anche qualche prospettiva di intervento positivo sull’economia, gli spazi di un accordo sarebbero più ampi. E, allora, l’aspettativa di vita dell’eventuale governo sarebbe molto meno importante. Perché il punto da tenere a mente è uno solo: la montagna da scalare è qui ed ora. Trovare un’alternativa all’aumento dell’Iva. Fatto questo, la strada successiva, pur costellata di buche e dossi, è più percorribile.
Gli ostacoli politici
In realtà, gli ostacoli ad un accordo sono, soprattutto, politici. Pd e Cinquestelle, infatti, si contendono in buona misura lo stesso elettorato. Ne risultano dichiarate incompatibilità anche psicologiche, quasi sempre acri e personali. Ruggini, forse, insormontabili. Ma proviamo a guardare al di là dei social. Al netto delle martellanti condanne retoriche del Pd da parte di Di Maio e dell’atteggiamento apertamente derisorio dei democratici verso i grillini, al fondo c’è – a differenza che con la Lega – una comune sensibilità sociale. E la contrapposizione culturale è, forse, meno insormontabile di quanto si creda: sia i grillini, con il mantra del “cambiamento”, sia i democratici, con quello della “responsabilità”, sanno, probabilmente, di avere entrambi da guadagnare con qualche dose della medicina dell’interlocutore. Pd e 5S, inoltre, zoppicano ambedue su quello che si è rivelato il terreno decisivo della politica italiana nell’epoca dei “porti chiusi”: l’immigrazione. Una politica semplice, riconoscibile (“Tutti fuori”), a torto o a ragione, Salvini ce l’ha. Né democratici, né grillini, invece, sono stati finora capaci di articolare, davanti all’elettorato, una strategia chiara, che non si limiti alla quotidianità dell’accoglienza, ma affronti i temi dell’immigrazione e dell’integrazione (“chi prendiamo e cosa ne facciamo”). Eppure, è qui che si combatterà lo scontro decisivo con Salvini.
Sorpresa: ci sono anche venti favorevoli
L’economia, per una volta, pesa meno. Grazie a due fattori che potrebbero fornire un contributo cruciale al successo di un eventuale governo giallorosso. Il primo è l’Europa. Impossibile sottovalutare il rumoroso sospiro di sollievo che susciterebbe a Bruxelles e nelle altre capitali l’emarginazione di Salvini e del suo populismo aggressivo e divisivo. La Commissione è, probabilmente, disposta a compiere molti e benevoli passi verso un governo che non le urli tutti i giorni in faccia il suo disprezzo. E Commissione benevola – lo abbiamo visto tante volte – vuol dire mercati benigni. Non si tratta di pacche sulle spalle, ma, come vedremo, di moneta sonante.
L’altro fattore è che, in realtà, molti dei dossier più spinosi nel contradditorio Cinquestelle – Pd sono già, più o meno quietamente, in via di soluzione. E’ così per la Tap (il gasdotto destinato ad approdare in Puglia) e per la Tav (l’alta velocità Torino-Lione), che i 5S hanno ormai accettato. Su altre opere pubbliche, come la Gronda di Genova, il dibattito è ancora aperto, ma non sembra materia di barricate. Così come sono improbabili barricate sul dopo-ponte Morandi. Le ha rese impossibili lo stesso Di Maio, quando ha chiamato in soccorso i Benetton per la partita Alitalia. Metteteci anche le incognite e le lungaggini di una battaglia giudiziaria e l’ipotesi di una cancellazione della concessione ad Autostrade si allontana. Più facile pensare ad un ampia revisione – per cui si spenderebbe il Pd – del contratto di concessione.
Su altri tre temi molto discussi, un accordo Pd-5S sembra a portata di mano. Ambedue i partiti spingono per l’introduzione del salario minimo, una delle misure sociali che dovrebbero ammortizzare l’impatto di una Finanziaria severa, in chiave anti-Iva. Una volta chiarito che la questione verrebbe gestita insieme ai sindacati, i problemi aperti sono soprattutto tecnici, oltre che, naturalmente, di costo. Discorso analogo per la risposta, convergente, che democratici e grillini danno all’offensiva della Lega sulla flat tax: intervenire, piuttosto, sul cuneo fiscale, ovvero sulla distanza fra la retribuzione netta, che arriva nelle tasche del lavoratore, e quella lorda che, con il peso di Irpef e contributi, grava sui conti delle imprese. Mentre la flat tax aiuta tutte le famiglie di medio reddito, alleggerire il cuneo fiscale sgrava solo i lavoratori dipendenti, ma, alleviando i costi delle imprese può contribuire alla ripresa dell’economia. Terzo dossier in cui è facile vedere convergenze è quello delle autonomie regionali, che la tambureggiante offensiva della Lega ha reso esplosivo: Cinquestelle e Pd condividono la preoccupazione di salvaguardare le prerogative statali e gli interessi delle regioni più povere.
Le incognite della manovra
E la temutissima manovra 2019? Il lavoro di base di una strategia che non porti ad uno scontro con la Ue, lo ha già fatto il Tesoro, sotto la regia del ministro Tria. Ma vediamo i conti.
Secondo l’Ufficio parlamentare del Bilancio, il deficit già incorporato per il 2020, per colpa anche di una congiuntura sfavorevole, è, a legislazione vigente, dell’1,7 per cento. A legislazione vigente significa aumentando di 23 miliardi di euro l’Iva: se finanziassimo anche la rinuncia all’Iva in disavanzo sfonderemmo il tetto del 3 per cento. Quali margini abbiamo? Una Commissione benevola è, probabilmente, disponibile ad accettare un disavanzo, vista la recessione, in linea con quello di quest’anno. Quindi, intorno al 2 per cento. Questo 0,3 per cento in più di margine vale 4-5 miliardi di euro. Ma una situazione distesa con Bruxelles si rifletterebbe sui mercati: se lo spread attuale scendesse di 100 punti, restando superiore, ma avvicinandosi a quello che Spagna e Portogallo (noi siamo sopra 200, loro sotto 80) il risparmio sugli interessi 2020 sarebbe di 4 miliardi. Insomma, un tesoretto di una decina di miliardi, che qualche ritocco a reddito di cittadinanza e quota 100, visto che il flusso di domande è risultato inferiore alle previsioni, potrebbe far arrivare a 13. Per assorbire l’Iva, ne servono almeno altri 10. Al Tesoro hanno ipotizzato l’abolizione di alcune delle deduzioni Irpef meno vistose (quelle sugli abbonamenti dei bus e delle piscine valgono circa 1,5 miliardi di euro l’anno) e un aumento selettivo dell’Iva sui prodotti meno popolari.
Difficile che da questa raschiatura del barile escano i 10-12 miliardi ancora necessari per azzerare l’aumento generale dell’Iva. E, comunque, non resterebbe nulla per finanziare gli interventi sociali e gli investimenti pubblici vitali per assicurare la sostenibilità di un governo Pd-5S. Ridurre di un punto il cuneo fiscale sulle buste paga, ad esempio, costa 2,5 miliardi di euro. Ma, anche qui, da Bruxelles potrebbero arrivare buone notizie. Molti pensano che sia maturo il momento in cui gli investimenti pubblici possano essere sottratti al calcolo di deficit e bilanci. Salario minimo e cuneo fiscale, poi, al contrario della flat tax, sono priorità di intervento anche per la nuova Commissione di Ursula von der Leyen. E, anche se è difficile pensare ad annunci pubblici a piena voce, Bruxelles apprezzerebbe molto che il nuovo governo confermasse che quota 100 è puramente transitoria e che effettivamente sarà pienamente ripristinata, nel 2022, la riforma Fornero sulle pensioni che le istituzioni europee considerano vitale per la sostenibilità del sistema previdenziale.
Molte ombre, insomma, e molte incognite. Ma, se il governo giallorosso non decollerà, non sarà, probabilmente, per l’impossibilità di trovare un accordo sull’economia e sulla manovra 2020.