L'Italia sul filo: i giudici tedeschi decidono sulla legittimità degli acquisti di titoli pubblici. Cosa rischiamo se dicono no
Fra oggi e venerdì, l'Italia si gioca, sulla scena internazionale – da Karlsruhe a Bruxelles a New York – una fetta importante del suo futuro post epidemia.

Fra oggi e venerdì, l'Italia si gioca, sulla scena internazionale – da Karlsruhe a Bruxelles a New York – una fetta importante del suo futuro post epidemia. Oggi i giudici costituzionali tedeschi decidono sulla legittimità degli interventi Bce nei mercati finanziari. In settimana, Martha Verstager, la commissaria per la concorrenza, aggiornerà le regole sugli aiuti di Stato alle aziende in crisi per la quarantena. Venerdì, i ministri economici definiranno, nel dettaglio, le norme che devono presiedere alla concessione dei prestiti del contestatissimo (in Italia) Mes. E, sempre venerdì, due agenzie di rating – Drbs e, soprattutto, Moody's – diranno la loro sulla sostenibilità del debito pubblico italiano, dopo la doccia freda inflitta, la scorsa settimana, da un'altra grande agenzia, Fitch. Ci sono buone probabilità che queste decisioni si allineino tutte nella direzione favorevole all'Italia, che ne uscirebbe rinfrancata e rafforzata. Ma, se gira male, il paese oggi più debole dell'eurozona si troverebbe azzoppato e compromesso nella crisi più grave degli ultimi decenni, costretto, in sostanza, a fare affidamento solo sulle sue forze. Due di questi sviluppi (le direttive sugli aiuti di Stato, le condizioni del Mes) incidono direttamente sulle risorse per la ripresa. Due (la decisione dei giudici tedeschi e quella delle agenzie di rating) sulla credibilità del nostro debito pubblico. I due piani sono strettamente intrecciati, ma, mentre fondi e risorse riguardano il futuro, il dossier del debito può deflagrare subito, oscurando tutto lo scenario della ripresa italiana. Cominciamo da qui.
I giudici tedeschi
E' dal 2015 che la Corte costituzionale tedesca (che ha sede a Karlsruhe) si interroga, sollecitata dagli ambienti più conservatori, sulla legittimità degli acquisti di titoli di Stato da parte della Bce. Il Quantitative easing, il programma lanciato da Mario Draghi per impedire lo sfarinamento dell'euro, viene accusato di essere in realtà un modo in cui la Bce, stampando moneta, finanzia i debiti pubblici di singoli paesi, cosa esplicitamente vietata dai trattati e dallo statuto della Banca centrale europea. La Corte europea di Giustizia ha già dato ragione alla Bce e la stessa Corte tedesca ha stabilito un precedente, dando il via libera agli Omt, gli acquisti a ruota libera di titoli di un singolo paese, che abbia accettato di sottoporsi ad un programma di austerità e riforme (è il vecchio Mes). Ma il Qe di Draghi, al contrario degli Omt legati al Mes, non prevede nessuna condizione, i titoli vengono tenuti fino alla scadenza e rinnovati (non sono quindi una rapida operazione temporanea di mercato). Su questo piano, un ulteriore scivolamento è avvenuto con la recentissima decisione dell'istituto di Francoforte di lanciare un nuovo programma di acquisto di titoli per 750 miliardi di euro (si chiama Pepp e ad esso l'Italia affida gran parte della sue possibilità di navigare sui mercati finanziari) che ha ancora meno vincoli del Qe e assomiglia ancora di più ad un finanziamento dei debiti pubblici di singoli paesi, via la stampa di moneta, anche se Christine Lagarde e il resto del board della Bce si guardano bene dal dirlo.
Cosa può succedere? La Corte di Karlsruhe non ha nessuna giurisdizione sulla Bce, ma sulla Bundesbank sì. Nel caso i giudici tedeschi sancissero che il Qe è illegale, la banca centrale tedesca non potrebbe più partecipare agli acquisti di titoli. Ma, contemporaneamente, siccome è sottoposta alla Banca centrale europea, sarebbe obbligata a farlo.
Una situazione insostenibile e destinata scoppiare. I giudici di Karlsruhe non vivono nel vuoto pneumatico e sono sicuramente consapevoli che l'establishment tedesco, da Angela Merkel in giù, non vuole che tocchino le operazioni della Bce, perché, facendolo, affonderebbero l'euro. Ma le ragioni giuridiche hanno una loro dinamica e non è colpa dei giudici, come è stato notato, se i trattati europei dicono cose sbagliate.
Una decisione sfavorevole alla Bce scatenerebbe una corsa affannosa, fra governi e Parlamento europeo, per mettere una pezza normativa che giustifichi le operazioni di Francoforte. Ma, anche senza arrivare ad una revisione dei trattati, qualsiasi modifica legislativa comporterebbe un lavorio di mesi. I mercati esploderebbero molto prima. Per analogia con la Qe vietata, del resto, anche il nuovo programma appena lanciato verrebbe messo in discussione. Il bazooka di Francoforte risulterebbe scarico e anche l'ombrello della Bce si chiuderebbe. Paesi come l'Italia si troverebbero soli ad affrontare ondate di panico degli investitori, con esiti imprevedibili.
Le agenzie di rating
Nella stessa direzione, anche se con effetti drasticamente inferiori, andrebbe un nuovo pollice verso delle agenzie di rating verso il debito italiano. Moody's – la terza grande agenzia, accanto a Standard&Poor's e Fitch – darà venerdì il suo giudizio sulla sostenibilità del debito italiano, che già ha valutato, nei mesi scorsi, appena un passo sopra la soglia dei titoli inaffidabili. Esperti del settore hanno sottolineato che si sta riproponendo un meccanismo già visto in azione dieci anni fa: la tentazione delle agenzie di farsi concorrenza, in una gara in cui vince il più severo. La gara ha poche giustificazioni: le analisi delle agenzie di rating non sono migliori – anzi, spesso peggiori – di qualsiasi previsione di grandi banche o centri di ricerca. L'unica differenza è che i rating sono un modo estremamente efficace di condensare le previsioni in una semplice scala numerica: un po' la differenza fra leggere il resoconto della partita di calcio sul giornale e guardare la classifica. Ma questa semplicità dà loro un grande potere. La Bce, nelle scorse settimane, ha iniziato a svincolarsi dall'ombra delle grandi agenzie, annunciando che continuerà a operare sui titoli greci, italiani o portoghesi a prescindere dai loro rating, al contrario di quanto aveva fatto, invece, finora. Ma buona parte dei grandi fondi di investimento è legata per contratto con i propri sottoscrittori a seguire i rating. Probabilmente, Moody's non compirà il passo fatale di degradare di un'altra tacca i Btp italiani, dichiarandoli “spazzatura”. Ma, se lo facesse, ci sarebbe, dunque, automaticamente un'ondata di vendite sul mercato. Con il rischio che, dopo Karlsruhe, la Bce non possa più fare diga.
Il Mes
In attesa del Fondo per la ripresa, cui sta lavorando la Commissione, un piano di interventi la Ue lo ha già varato ed è quello dei 240 miliardi del Mes. Il problema è che il Meccanismo europeo di solidarietà è stato pensato, otto anni fa, per affrontare crisi specifiche di singoli paesi, da rimettere a galla – a torto o a ragione – con programmi di austerità. Il nuovo sportello del Mes ha, invece, il solo scopo di finanziare le spese – dirette e indirette – per la sanità, legate al coronavirus. Sul fatto che questo – il legame con l'epidemia – sia l'unica condizione per il prestito, l'accordo politico dei governi è chiarissimo ed è stato ulteriormente ribadito in questi giorni. Ma, giuridicamente, si tratta di far rientrare questa assenza di vincoli nel testo e nel linguaggio del trattato esistente e c'è chi teme che il diavolo sia scritto in piccolo. La bozza del nuovo testo sarà discussa venerdì dai ministri delle Finanze dell'Eurogruppo.
Gli aiuti di stato
Mentre l'attenzione era catturata dal dibattito sul Fondo per la ripresa e dalle discussioni sul Mes, uno scontro silenzioso, ma cruciale, si apriva fra i governi europei. Al centro gli aiuti di Stato, ovvero la possibilità per i governi di aiutare direttamente, con iniezioni di soldi, le aziende nazionali in crisi per il coronavirus. Vietati fino a ieri, sono diventati possibili da quando Bruxelles ha allentato i vincoli per contrastare gli effetti della pandemia. Questa settimana, la Commissione dovrebbe fornire nuovi dati su quanti di questi aiuti sono stati finora autorizzati. Il problema è che i paesi più ricchi stanno foraggiando a piene mani le proprie aziende, mentre i paesi più poveri non hanno i soldi per farlo. Su quasi 2 mila miliardi di aiuti autorizzati in 95 distinte operazioni, la Germania – che vale un quarto di tutta l'economia europea – ne ha totalizzati più della metà. Olanda, Austria e Danimarca sono gli altri paesi in testa alla corsa. La Spagna, che, come l'Italia, di soldi ne ha pochi, ha protestato. Con i soldi pubblici, la concorrenza viene falsata: le aziende dei paesi ricchi si salvano, quelle dei paesi poveri affondano, a prescindere dal fatto che le singole aziende siano o no vitali. Così il mercato unico diventa solo un canale per favorire le aziende tedesche o olandesi. Martha Verstager, la commissaria alla Concorrenza, dovrebbe chiarire in settimana quali sono i limiti di questi aiuti: le dimensioni delle aziende che li ricevono, il tempo entro cui devono essere restituiti, le risorse che possono essere impiegate.