L'allarme sul futuro previdenziale: i 35enni di oggi potranno andare in pensione a 74 anni con soli 1000 euro
L’Italia è un paese di vecchi: dalla previdenza complementare l’unica ciambella di salvataggio per un sistema altrimenti destinato a collassare.

C’è una scienza che più di ogni altra racconta il futuro, ciò che ci attende, permettendo spesso di prevenire prima che curare. Una scienza purtroppo poco ascoltata dalle istituzioni, dai legislatori, dai programmatori che – semplicemente studiandola – potrebbero risolvere o quantomeno creare strumenti per provare a risolvere i problemi prima che si pongano. Insomma, sto parlando della demografia, dello studio dell’andamento di natalità, mortalità, aspettative di vita e tutto ciò che ruota attorno a questi concetti, che è stato al centro di uno degli incontri del “Silver Economy Forum” di Genova, giunto alla quinta edizione, praticamente la capitale italiana dell’analisi dell’invecchiamento e anche delle sue potenziali ricadute economiche.
Liguria regione più anziana
Partendo da un assunto: a volte dipende tutto dal punto di vista. Se io dico di una città e di una regione, come sono Genova e la Liguria, che sono le più anziane d’Italia e anche d’Europa, certamente do un giudizio di valore negativo, che fa pensare a dentiere, difficoltà deambulatorie e magari deficit cognitivi dovuti all’età. Se io invece dico della stessa città e regione, sempre Genova e la Liguria, sono quelle dove si vive più a lungo, allora la percezione cambia completamente e l’idea è quella di invecchiamento attivo, di un posto dove si vive bene e di magnifiche sorti e progressive per gli abitanti. Ecco, da quest’idea, cinque anni fa, Daniela Boccadoro Ameri e Giancarlo Vinacci, allora assessore allo Sviluppo Economico della giunta di Marco Bucci, ebbero l’intuizione di trasformare tutto questo in una miniera d’oro, che analizzasse l’invecchiamento dal punto di vista sanitario, economico, previdenziale, turistico, del benessere, in tutte le sue sfaccettature.
Nel 2050 testimone passaalla Sardegna
E proprio da qui partiamo per analizzare i dati demografici che raccontano che quel primato a due facce che oggi è alla Liguria e cioè della regione più anziana d’Italia e d’Europa, nel 2050 passerà alla Sardegna, dove già oggi ci imbattiamo in moltissimi ultracentenari che raccontano orgogliosi di bere ogni giorno cannonau e filu ‘e ferru, non di rado accompagnato anche da una sigaretta. E sono sempre pimpanti e positivi, segno davvero di una straordinaria qualità della vita sull’isola. L’altra faccia demografica della medaglia è lo squilibrio del sistema previdenziale, che ancora paga alcune scelte degli anni Settanta: le pensioni per gli statali a 20 anni e a 14 anni sei mesi e un giorno di lavoro per le donne sposate che permisero a un esercito di bidelle trentenni di andare in pensione con pensioni ricevute per una cifra di 32 volte superiore a quelle versate.
L'aumento dell'aspettativa di vita
Uno squilibrio che oggi, grazie alla (benvenuta, ci mancherebbe) tendenza all’aumento continuo dell’aspettativa di vita è ancora più forte, visto che i conti degli enti previdenziali sono basati sostanzialmente su un principio di contributi che entrano dai lavoratori in servizio e che escono per pagare pensioni. E. ovviamente, se i secondi sono maggiori dei primi, è un problema. Tanto che alcune categorie, a partire da bancari e assicurativi, hanno già introdotto nei contratti collettivi il principio della necessità della previdenza complementare. E proprio la previdenza complementare può diventare l’unica ciambella di salvataggio per un sistema altrimenti destinato inevitabilmente a collassare. Perché, purtroppo, il peggio deve ancora venire.
“Itinerari previdenziali”
C’è un ente indipendente che studia alla perfezione tutto questo e che si chiama “Itinerari previdenziali” ed è guidato da Alberto Brambilla, probabilmente il maggior esperto di welfare e di sistema previdenziale in Italia che è stato anche sottosegretario al Lavoro e alle Politiche Sociali, con delega proprio alla previdenza, nel secondo e nel terzo governo Berlusconi, con Bobo Maroni ministro del Welfare. E proprio da “Itinerari previdenziali” e dal suo ricercatore Lorenzo Vaiani, arrivano le slide e i dati che raccontano di come l’impatto devastante sul sistema previdenziale sarà quello in arrivo fra dieci anni, più o meno quando arriveranno i figli del boom demografico di fine anni Sessanta e inizio anni Settanta, il baby boom che i più maturi di noi ricordano perché, ad esempio, si andava a scuola con i doppi turni perché i plessi non bastavano per tutti.
113 anni di aspettativa di vita
Insomma, siamo solo ai pre-preliminari di ciò che sta per succedere. E ci sono anche altri numeri che fanno pensare: un neonato che oggi è in un reparto di ostetricia e ginecologia vivrà fino a 113 anni. E questo rende drammatiche sul fronte pensionistico – se non verranno posti correttivi al sistema – le prospettive per quel neonato che riteniamo fortunatissimo dal punto di vista dell’aspettativa di vita. Il Consiglio nazionale dei giovani, insieme a Eures, ha pubblicato una ricerca dal titolo: “Situazione contributiva e futuro pensionistico dei giovani” da cui emerge che i 35enni di oggi andranno in pensione a quasi 74 anni se non si interviene immediatamente sul sistema.
I 35enne di oggi in pensione con 1000 euro
E le proiezioni raccontano che, proprio per i lavoratori dipendenti che oggi hanno meno di 35 anni che decidessero di rimanere al lavoro fino per l’appunto al 2057, pari a 73 anni e mezzo, l’importo della pensione non sarebbe certo particolarmente ricco, visto che prenderebbero 1577 euro lordi al mese, che oggi sono pari a 1099 euro netti, cioè soltanto 3,1 volte in più rispetto alla pensione sociale. Dati confermati agli operatori del settore, dal presidente di Assoprevidenza Sergio Corbello, da Andrea Donato di Reale Mutua, di Luigi Morselli di BPER e Luigi Polesel di UMANA, ma anche da Valerio Intraligi, dottore di ricerca all’IRCSS INCRA, l’istituto nazionale di recupero e cura per gli anziani, nella rete delle neuroscienze e della neuroriabilitazione, che si occupa di ricerche economico-sociali per l’invecchiamento a Roma III che ha analizzato anche i confronti con gli altri Paesi europei e mondiali, a partire dagli Stati Uniti, dove c’è una tendenza a lavorare anche dopo la pensione e addirittura a cambiare lavoro dopo il pensionamento, circostanza quasi del tutto inedita in Italia.
Demografia e democrazia
Questo accade anche perché in Italia il ruolo degli anziani è spesso complementare, quando non completamente sostitutivo, a quello del pubblico, sia dal punto di vista dell’accumulo di risparmio, con quello privato che riesce ad arginare il deficit statale, sia dal punto di vista del welfare con, ad esempio, l’accudimento dei nipoti. Ed è in crescita anche il fenomeno delle case di grande metratura vendute da anziani per crearsi un tesoretto e sostituire il vecchio appartamento con uno di dimensioni molto inferiori. Insomma, mai demografia e democrazia sono stati così tanto sinonimo.