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[Il punto] La grande fuga dei medici: in 16.700 pronti ad andar via entro il 2025. E c’è chi richiama i pensionati

Se non si corre velocemente ai ripari, nei prossimi anni ci saranno pericolosi vuoti negli organici della sanità italiana. L’allarme del sindacato

Ignazio Dessìdi I. Dessì   
Medici
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L’entrata in scena di Quota 100 rischia di dare il colpo decisivo alla struttura del Servizio sanitario nazionale e creare problemi seri per quanto riguarda la presenza adeguata di personale medico. A lanciare l’allarme è da ultimo Anaao Assomed, principale sindacato di categoria, per il quale, nell’arco di meno di 8 anni ci sarà la grande fuga di oltre 16.700 specialisti. Per stare ai casi più evidenti, entro il 2025, in regioni come il Piemonte e la Lombardia ne mancheranno rispettivamente 2.004 e 1.921, mentre in Toscana appenderanno i camici al chiodo in 1.793. Lo stesso faranno 1.686 specialisti in Puglia, 1.410 in Calabria e 2.251 in Sicilia.  

Pericolo vuoti negli organici

Se non si corre velocemente ai ripari insomma ci ritroveremo con pericolosi vuoti negli organici della sanità. Un rischio causato – stando ai risvolti dell’indagine – a una programmazione “a dir poco distratta”, come spiega il Sole 24 Ore. Mancherebbero infatti, per scendere nello specifico, medici di pronto soccorso, anestesisti rianimatori, chirurghi generali, cardiologi e pediatri. E con l’entrata in vigore degli effetti della riforma pensionistica (Quota 100) le nostre Regioni saranno poste in grande difficoltà. Bisogna considerare infatti che molti medici del Servizio sanitario nazionale (oltre il 68% al 2015) sono attualmente ultra cinquantenni.

Il caso Molise

Per questo non manca chi cerca di anticipare il problema, come il Molise che ha deciso però di “richiamare in servizio i pensionati". Una decisione oltremodo singolare: invece di attingere dal novero dei giovani medici specializzandi si richiama in campo chi il lavoro lo ha già lasciato.

Si punta evidentemente a rimettere in corsia del personale esperto, ma la decisione fa in ogni caso discutere. Comunque la decisione del Commissario alla Sanità regionale Angelo Giustini conseguente all’allarme lanciato dalla Unità di Ostetricia e Ginecologia dell’Ospedale Cardarelli di Campobasso riguardo alle “gravissime difficoltà di personale medico in dotazione”, unite alle “difficoltà a garantire una corretta turnazione”, ha portato a una determinazione precisa: “Cercansi medici specialisti in quiescenza”.

Molti i medici pronti ad appendere il camice al chiodo

I prossimi 10 anni

Ma cosa si prevede nel prossimo delicato decennio per essere tanto preoccupati? La mancanza di medici calcolata al 2018 assommava a 10mila unità. Entro il 2025 si giungerà tuttavia a 16.700. Attualmente i medici – a seguito di varie manovre di efficientamento e tagli della spesa condotte negli anni – lamentano ritmi lavorativi massacranti, blocco di turn-over, contratto congelato da tempo, ed adesso influisce anche la sirena della flat tax che – spiega il quotidiano economico - “promette una tassazione al 15% a fronte del 45% in regime pubblico”.

Cosa fare

Cosa si può fare? Alcune proposte si sono spinte a parlare di recupero delle borse di specializzazione perdute (finanziate ma non godute) che supererebbero le 500 ogni anno. Poi ci sarebbe la possibilità di consentire agli specializzandi di cominciare a lavorare subito. In ogni caso serve soprattutto una “seria programmazione per eliminare l’imbuto formativo che strozza il passaggio dalla laurea alla specializzazione”. Inoltre sarebbero indispensabili una campagna di assunzioni e almeno 10mila contratti di specializzazione all’anno”. Una sfida in cui si gioca in definitiva il futuro del nostro Servizio sanitario. Sembra che in questo quadro solo il Lazio faccia eccezione. Nel 2025 infatti avrà - a leggere il Sole - un surplus di 905 specialisti. Anche se ci sarebbero a questo proposito degli aspetti da approfondire meglio.

C’è poi da affrontare un discorso legato al nesso tra sistema universitario e inserimento al lavoro. Le nostre Università – si osserva - formano professionisti a livello di eccellenza ma questi rischiano spesso di finire fuori dal SSN o all’estero. La UE per altro non vede l’ora di accogliere i nostri medici, considerati molto preparati, visto che nel complesso dell’Europa si stima una carenza di 260mila unità. Tenere dunque i nuovi laureati ai margini, dopo aver investito su ognuno di loro “circa 150mila euro”, significa mortificare i giovani e perdere come Paese una potenzialità enorme.

 

Ignazio Dessìdi I. Dessì   
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