Fondo Salva-Stati: ci costringe veramente a ristrutturare il debito?
Sembra trasparire dal “dibattito” che in qualche caso non si conosca nei dettagli l’argomento di cui si sta parlando. Ecco di cosa si tratta e come funziona
Negli ultimi giorni si è fatto un gran parlare del cosiddetto Fondo Salva-Stati. Si è detto un po’ di tutto e di tutto un po’, fino ad arrivare a fantomatiche firme nottetempo e roboanti accuse di alto tradimento. Quel che sembra trasparire dal “dibattito”, tuttavia, è che in qualche caso non si conosca nei dettagli, anche sommari, l’argomento di cui si sta parlando e sui cui ci si accapiglia. È vero che si tratta di una questione per addetti ai lavori, ma è anche vero che ha la sua rilevanza, soprattutto per un paese come l’Italia le cui finanze pubbliche sono sempre sull’orlo del precipizio.
Cos'è il fondo
Cos’è dunque questo fondo? Detto in soldoni (termine quanto mai appropriato) si tratta di una specie di banca europea creata per fare credito a tutti quei paesi dell’area euro ai quali, per un motivo o per l’altro, nessuno è più disposto a prestare un centesimo. Di qui la prosaica definizione di Fondo Salva-Stati, anche se il nome corretto è Meccanismo Europeo di Stabilità, ovvero MES (ESM in inglese). Il MES è nato in seguito alla crisi che ha investito l’Europa a partire dal 2010, sulla base della giusta convinzione che occorresse intervenire per garantire credito a chi nell’area euro non poteva ottenerlo attraverso i canali tradizionali. Il rischio, assai concreto, era che si innescasse una spirale distruttiva che avrebbe portato il paese al default del debito e in definitiva all’uscita dall’euro. Abbattuto il totem dell’irreversibilità dell’euro per un paese, abbattuto per tutti i paesi, e la speculazione avrebbe avuto gioco facile nel giocare al tiro al piccione. Era già successo nel 1992.
Il paese in questione, naturalmente, era la Grecia. Ed è per casi come quello greco che venne dapprima creata nel 2010 una linea di credito speciale (EFSF) e quindi, nell’ottobre 2012, pochi mesi dopo il “whatever it takes” di Draghi, il Meccanismo Europeo di Stabilità.
Come funziona
Come funziona? L’idea era grosso modo quella di replicare per l’area euro la funzione svolta a livello globale dal Fondo Monetario Internazionale: offrire ai paesi che ne fanno richiesta e che si trovano in difficoltà linee di credito miranti a stabilizzare la situazione e facilitare l’uscita della crisi, ove necessario anche attraverso importanti programmi di riforme strutturali. Il MES fa lo stesso, mettendo a disposizione dei paesi dell’euro linee di credito diverse a seconda delle esigenze. Per le situazioni più critiche ai paesi viene richiesto come condizione per accedere al prestito di varare riforme tali da evitare che la crisi perduri e che si ripeta nel prossimo futuro. Si parla in questo caso di “condizionalità”, appunto perché il prestito viene concesso “a condizione che…”.
Il programma di riforme, che attualmente viene preparato dalla Commissione Europea, può comprendere interventi sul settore pubblico, sulle pensioni, sul settore bancario sulla spesa sociale. A questo tipo di prestiti hanno avuto accesso Grecia, Irlanda, Portogallo e Cipro, che hanno tutti completato le riforme richieste. Anche la Spagna ha chiesto aiuto al MES accedendo a una linea di credito dedicata per ricapitalizzare il proprio sistema bancario.
È importante sottolineare come il MES non sia un’istituzione europea, ma sia frutto di un accordo tra i 19 governi dell’area euro, ognuno dei quali è per così dire “socio”, siede nei consigli che governano l’istituto e ha diritto di veto sulle decisioni fondamentali.
Di cosa si discute
Di che si discute in questi giorni? O meglio, di che si dovrebbe discutere (visto che non tutti sembrano avere avessero le idee chiare)? Nell’ambito di un processo più ampio, volto a completare l’unione economica e monetaria, che chissà quando mai sarà effettivamente completata, si è deciso di avviare un processo di riforma del Meccanismo Europeo di Stabilità. I termini essenziali di tale riforma sono stati delineati lo scorso 21 giugno al vertice dei paesi dell’area dell’euro, con tanto di conferenze stampa e relativi comunicati. La riforma dovrebbe essere approvata definitivamente a dicembre per poi essere ratificata dai singoli parlamenti nazionali nel corso del 2020. Nessun segreto quindi e nessuna cospirazione. Per di più, trattandosi di un accordo intergovernativo, perché la riforma entri in vigore è necessaria l’approvazione di tutti e 19 i parlamenti.
Le proposte
Le proposte di riforma vertono su due aree. La prima riguarda la possibilità di intervenire in supporto al settore bancario. Le banche di rilevanza europea versano contributi a un fondo (Single Resolution Fund o SRF) al quale possono poi rivolgersi nel caso si trovino in grave difficoltà. Secondo il progetto di riforma, qualora tale fondo esaurisse le risorse, ad esempio a causa di una crisi di portata europea, il MES potrebbe intervenire facendo credito al fondo.
La seconda, oggetto delle polemiche, è l’introduzione di nuove regole e condizioni per accedere ai finanziamenti messi a disposizione dei paesi in difficoltà dell’area euro. Nel dibattito nostrano è stato ipotizzato che il progetto di riforma che verrà proposto per l’approvazione a dicembre includa un automatismo per cui a chi chiede aiuto verrà imposto di ristrutturare il debito così da renderlo più sostenibile. Un falso. Forse derivato dal fatto che una versione precedente della riforma contemplava tale automatismo, ma è stata bloccata a suo tempo, tra gli altri proprio dall’Italia.
Per capire: la ristrutturazione del debito vuol dire negoziare (o imporre) ai creditori un allungamento delle scadenze, una riduzione degli interessi e nei casi più gravi (ricordate i Tango Bonds argentini?) anche una riduzione della somma che verrà rimborsata. Va a danno dei creditori, ma rende ovviamente più difficile e lungo per il paese interessato il percorso per ritornare a finanziarsi sui mercati internazionali.
Decisione del singolo Paese
Il Meccanismo Europeo di Stabilità non avrà alcun potere di imporre una ristrutturazione del debito che sarà invece una decisione del singolo paese. Volontaria, non obbligatoria, così come il coinvolgimento dello stesso MES. “Quando opportuno e se richiesto dallo stato membro, il MES può facilitare il dialogo tra il paese i gli investitori privati. … L’interessamento del MES avverrà solo su base volontaria, informale, non obbligatoria, temporanea e confidenziale”. Piuttosto chiaro.
Ma modifiche importanti ci sono. Ai paesi dell’area euro verrà richiesto di emettere titoli di stato con l’introduzione di clausole che consentano la ristrutturazione del debito. Il MES avrà voce in capitolo, insieme alla Commissione Europea, nel definire i programmi di riforme strutturali proposti ai paesi che richiedono aiuto.
Non tutto però si muove verso un rafforzamento dei poteri del Meccanismo Europeo di Stabilità. È bello avere tecnostrutture efficienti, ma è meglio che non siano completamente indipendenti e avulse dalla realtà. Così, poiché uno dei discrimini importanti nel decidere a quale linea di credito possano accedere i paesi in difficoltà, e quindi se e quali riforme debbano implementare, è il giudizio sulla sostenibilità del debito, nel progetto di riforma si stabilisce che in caso di disaccordo tra MES e Commissione a decidere sarà quest’ultima. Ed è noto che la Commissione Europea non sia del tutto insensibile alla ragion di stato, soprattutto se espressa dai governi europei più importanti, Italia compresa.
Insomma, tanto rumore per nulla? Forse no. Certo, accuse e contraccuse, pur buone per infiammare gli animi e raccogliere like sui social, non hanno di certo aiutato a comprendere i termini della questione. L’esplodere del caso della presunta firma notturna ha però avuto il merito di riaccendere i riflettori su di una questione rilevante per un paese ad elevato debito come il nostro e rianimato un dibattito che era sopito e che invece è necessario. Almeno per evitare che nel malaugurato caso di ricorso al MES non si gridi poi al complotto internazionale.