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[L’analisi] Da amici del palazzo a nemici pronti alla rivolta in piazza. La sfida di Confindustria ai populisti 

Boccia, che quando era stato eletto aveva garantito che con la sua presidenza l’associazione sarebbe stata rigorosamente bipartisan («questo è un valore irrinunciabile»), sembra essersi piegato alle insistenze dell’ala più critica, che è - guarda caso - soprattutto nordista. L’alfiere della protesta, infatti, è Matteo Zoppas, presidente della Confindustria Veneto, che sul decreto dignità era stato durissmo, definendolo «un cappio al collo»

[L’analisi] Da amici del palazzo a nemici pronti alla rivolta in piazza. La sfida di Confindustria...
Il presidente di Confindustria Boccia

Non è che sia stata proprio una luna di miele. Questo sinceramente era difficile. Però, prima che tutto cominciase e che il governo iniziasse a lavorare, c’era un’attesa abbastanza piena di fiducia. La Confindustria contava molto sulla Lega, pezzo forte del centrodestra, da sempre buon alleato, pronto ad ascoltare la voce degli imprenditori.

E il presidente dell’associazione Vincenzo Boccia, salernitano di 54 anni, amministratore delegato dell’azienda di famiglia fondata dal padre Orszio, la Grafiche Boccia Spa, che conta 160 dipendenti in tutto il mondo e un fatturato di oltre 40 milioni, aveva speso parole di gradimento anche per i Cinque Stelle, che aveva definito un movimento democratico che aveva raccolto un grande successo elettorale. Ma l’attesa è finita. E anche la fiducia: «Questo governo ci ha deluso», ha confessato in un’intervista al Messaggero. «Ci siamo delusi nel merito ma pure nel metodo». Adesso minaccia addirittura di portare gli imprenditori in piazza, una sorta di marcia dei 40mila di romitiana memoria, se l’esecutivo non farà retromarcia sulla politica economica soprattutto in materia di lavoro: «Il nervosismo del nostro mondo è molto elevato e di questo passo dovremmo prevedere di orgarnizzare unamanifestazione dei cittadini imprenditori».

A leggere le critiche e le paure di Boccia è persino qualcosa in più di una semplice minaccia, perché i punti dirimenti della questione non sembrano davvero volgere a loro favore in questo momento. Innanzitutto, il decreto Dignità: «Aumenta il costo del lavoro e non crea occupazione». Poi c’è il nodo della Tav, per la quale l’opposizione della Lega a bloccare il progetto pare essersi un po’ annacquata, soprattutto dopo l’incidente di Genova: «La cosa più grave è che si mettono in discussione cantieri e progetti con il rischio di dover pagare penali miliardarie che peserebbero sui cittadini contribuenti e sulle imprese. Dobbiamo ricordare che il nostro è un Paese che non ha materie prime e che vive di export. Dei circa 540 miliardi di esportazione, 450 vengono grazie alle industrie».

Le priorità del mondo imprenditoriale riguardano la flessibilità del lavoro, la gestione ordinaria dei conti pubblici, per evitarwe bocciature dei mercati, e un sì incondizionato alle Grandi Opere, a partire dalla Tav. E’ chiaro che Boccia parla soprattutto alla Lega, che dei due azionisti di governo è quello da sempre più attento alle sue istanze: «Da mesi parliamo solo di migranti e di pensioni. Non basta, dobbiamo aggiungere altri punti importanti per affrontare la complessità del Paese». Il fatto è che queste dichiarazioni lasciano intendere una svolta rilevante nella politica della Confindustria. Boccia, che quando era stato eletto aveva garantito che con la sua presidenza l’associazione sarebbe stata rigorosamente bipartisan («questo è un valore irrinunciabile»), sembra essersi piegato alle insistenze dell’ala più critica, che è - guarda caso - soprattutto nordista. L’alfiere della protesta, infatti, è Matteo Zoppas, presidente della Confindustria Veneto, che sul decreto dignità era stato durissmo, definendolo «un cappio al collo», che soffocherà le aziende in difficoltà, creando ulteriore instabilità di mercato. Anche Carlo Bonomi, presidente di Assolombarda, non era andato tanto per il sottile: «Il governo sembra non conoscere le aziende. Qui si continua a pensare al mondo produttivo come alla fabbrica del Novecento».

Appena si era cominciato a parlare del decreto dignità, Maurizio Stirpe, vicepresidente per le relazioni industriale e il lavoro, aveva suggerito al numero uno di Confindustria di «promuovere una forte mobilitazione dell’intero mondo produttivo italiano, dall’industria al commercio, dall’artigianato alla cooperazione». Boccia aveva cercato di mediare, ma alla fine ha vinto la linea Stirpe. E la Confindustria non è l’unica voce che contesta il profilo a loro giudizio pauperista, protezionista e anti industriale del governo.

E’ vero che per adesso la luna di miele di questo esecutivo con i suoi lettori raggiunge vette mai toccate da nessuno, secondo i sondaggi. Ma alcuni segnali indicano una strana inversione di tendenza in certe categorie che dovrebbero far parte del bacino elettorale quantomeno della Lega. Così, la Confcommercio, dopo un’apertura di credito importante a questo governo, ha criticato Salvini e Di Maio per le loro scelte sui contratti a termine che hanno introdotto «forme di inutile e dannosa rigidità», e che portano il Paese ad andare «nella direzione opposta a una politica volta a creare nuova occupazione». Confartigianato ha ventilato uno sciopero degli autotrasportatori durante l’ultima setimana di settembre, denunciando un’ostilità pregiudiziale dell’esecutivo nei confronti della categoria. Dalla Lega Veneto per bocca del governatore Luca Zaia sono arrivate critiche inaspettate al decreto del lavoro, che «taglia le gambe alle imprese».

Nel mondo dell’agricoltura, Coldiretti a parte, hanno accusato il governo di essersi messo contro l’interesse nazionale non ratificando il trattato di libera circolazione delle merci con il Canada. Sono ancora minoranze che sperano tutte in un cambiamento di rotta. Per ora è solo dissenso. Ma a questo bisogna aggiungere la crescente diffidenza degli investitori registrata dalle agenzie di rating verso un paese dominato dall’incertezza, lady spread che continua a salire ed è arrivato a lambire quota 280, l’asta per i Bot annuali che è andata deserta, il progressivo aumento del differenziale di rendimento tra i titoli di Stato italiani e quelli tedeschi. gli sumenti repentini della volatilità sui mercati finanziari che secondo Bankitalia «potrebbero ripercuotersi sul costo del finanziamento di famiglie e imprese». 

In questo quadro generale la più preoccupata è Confindustria. E’ per questo che Boccia è uscito allo scoperto. Ma se è vero che il suo interlocutore principale è Salvini, resta da capire quanta volontà abbia il Capitano della Lega di stare ad ascoltarlo. Perché i sondaggi a modo loro non mentono. E allora conviene dar retta al popolo e alla sua stragrande maggioranza, o a una minoranza, che è anche, però, il motore del Paese?    

Pierangelo Sapegnodi Pierangelo Sapegno, editorialista      
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