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Il caso Alitalia: la compagnia di bandiera non c'è più, perché pagarla ancora?

Il mito della compagnia di bandiera italiana ha già inghiottito 9 miliardi di euro dei contribuenti, perpetuarlo significa sacrificargliene altri ancora

Maurizio Riccidi Maurizio Ricci   
Aerei Alitalia Foto Ansa
Aerei Alitalia (Foto Ansa)

Il Covid ha azzerato il traffico aereo e devastato i bilanci delle compagnie di tutta Europa, spingendo i governi a sussidiare con generosità i vettori nazionali. E allora, perché a Bruxelles fanno tanto gli schizzinosi per un aiuto ad Alitalia di 3 miliardi di euro, cioè la metà o anche meno di quanto Parigi e Berlino hanno destinato, rispettivamente, a Air France e Lufthansa? A Bruxelles non hanno difficoltà a rispondere; la differenza è che Air France e Lufthansa, prima della pandemia, erano sane e, senza pandemia, lo sarebbero anche ora. Alitalia, invece, era in stato di avanzato dissesto anche prima della pandemia. A Bruxelles aggiungono anche, più a bassa voce per non urtare sensibilità nazionali, che la differenza anche più importante è che Alitalia, aiuti pubblici o no, è destinata al fallimento comunque: non c'è un modello di business che la possa tenere in piedi.

Il piano di salvataggio 

A Bruxelles hanno ragione. Il mito della compagnia di bandiera italiana ha già inghiottito 9 miliardi di euro dei contribuenti, perpetuarlo significa sacrificargliene anche questi ultimi tre e altri ancora, inevitabilmente, a venire. Perché su cosa sia una compagnia di bandiera bisogna intendersi. Se serve a soddisfare l'orgoglio nazionale, salvaguardando una rotta aerea fra la capitale e New York, come fanno alcuni stati africani, 3 miliardi di euro sono troppi. Se deve rendere un servizio al paese, soddisfacendo un bisogno di collegamenti, altrimenti precari o, anche, molto concretamente, evitando che gli italiani, per andare all'estero, debbano fare tappa in aeroporti stranieri, è evidente che non ce la fa, anche con i tre miliardi: già oggi, il 50 per cento dei passeggeri italiani sul lungo raggio è costretto ad un transito in un aeroporto straniero. In più, ora, il piano di salvataggio prevede che l'Alitalia incassi i tre miliardi, ma dimezzi gli aerei a disposizione: gli italiani in transito all'estero non potranno, dunque, che aumentare. In due parole, quella del salvataggio è una formula impossibile: con meno aerei Alitalia perderebbe meno, ma sarebbe anche meno in grado di reggere la concorrenza.

Le compagnie low cost

Anche senza rivangare pesanti responsabilità di gestione (l'ultimo bilancio attivo di Alitalia è del secolo scorso), il punto è semplice: il traffico aereo di oggi è cambiato e ha tolto ogni spazio ad una compagnia aerea di media dimensione. All'epoca dell'ultimo bilancio attivo di Alitalia, un passeggero partiva da un aeroporto di provincia, arrivava al grande aeroporto nazionale, atterrava nel grande aeroporto nazionale del paese di destinazione e da qui alla meta finale di un aeroporto locale: Bologna-Roma-Parigi-Brest. Oggi, la low cost lo porta direttamente da Bologna a Brest: ha la struttura aziendale e sindacale per farlo. Non vale per il lungo raggio. Ma, invece di fare Bologna-Roma-New York-Chicago, il passeggero di oggi fa direttamente Bologna-Francoforte-Chicago: nessuno, oggi, tanto meno la clientela economicamente più importante, quella business, è disposta a buttare due ore di tempo in un aeroporto per un transito in più.

Il numero degli aerei

Ma, per fare un Roma-Chicago o Roma-Washington, parallelamente al Roma-New York, servono gli aerei. Air France ha 214 aerei, di cui 84 per il lungo raggio. Lufthansa 265, 83 sul lungo raggio. British Airways 254, 113 per il lungo raggio. Alitalia ne aveva 100 ( 23 per il lungo raggio) e ora scende a 55. Non ci sarà mai il Roma-Chicago. E, dunque, non esistono le premesse per fare concorrenza alle grandi compagnie: Alitalia ha gli stessi costi, senza averne il fatturato. E neanche il mercato: molti pensano che dopo la pandemia e il boom dei meeting via Internet, la clientela business non sarà più la stessa, anche numericamente. In ogni caso, l'Italia non ha materialmente abbastanza candidati ai voli business. Quanto ai turisti, vale la stessa riluttanza a farsi raggruppare negli hub nazionali.

La ricerca del partner straniero

Ecco perché i discorsi sulla compagnia di bandiera sono, semplicemente, antistorici. La conferma viene dal fatto che tutti indicano come passaggio fondamentale per il salvataggio della compagnia di bandiera Alitalia quello che appare come l'esatto contrario della compagnia di bandiera: affidarsi ad un partner-padrone straniero. La conferma è doppia. Nel senso che non solo la ricerca del partner straniero svela l'inconsistenza del mito della compagnia di bandiera. Ma questa ricerca è pure infruttuosa, a dimostrare l'inconsistenza anche dei piani di salvataggio. Probabilmente, è meglio così. L'unica strada possibile, forse, per Alitalia era scovare un vettore regionale, marginale, ma con i mezzi e l'ambizione di espandersi, con cui unirsi senza farsi annullare: l'impresa è fallita insieme al fallimento dell'accordo con Etihad. Oggi, affidarsi a Air France o Lufthansa significa solo rassegnarsi a convogliare l'intero mercato italiano del lungo raggio sugli hub stranieri, ovvero raggiungere lo stesso risultato che si otterrebbe rinunciando a tenere in piedi Alitalia. Non un gran che, per una spesa di tre miliardi di euro.

 

 

 

Maurizio Riccidi Maurizio Ricci   
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