[L'intervista] "La vera frontiera per bloccare i flussi dei migranti è nel sud del Sahara. Ora lo hanno capito tutti. Così il piano italiano è diventato agenda europea"
Parla il sottosegretario all'Interno Domenico Manzione. Ecco perché il summit di domani a Parigi è una vittoria italiana
"Se la Libia è il pontile, la vera frontiera è l'Africa sub sahariana. Il vero obiettivo, dopo aver ridotto i transiti, è lavorare sulle partenze. E non è vero che è impossibile come svuotare il mare con un cucchiaio... Per questo il doppio vertice di domani, al Viminale con i ministri dell'Interno di Ciad e Niger e poi a Parigi anche con Spagna e Germania è politicamente e tecnicamente una piccola grande vittoria italiana".
Domenico Manzione è il sottosegretario all'Interno con delega all'immigrazione. Delega scomoda che gestisce dall'inizio della legislatura tra momenti di grande tensione come le tragedie nel Mediterraneo, l'estate del 2015 con le file dei profughi siriani lungo i Balcani e le impennate degli sbarchi in Italia. Manzione è un magistrato prestato alla politica. Un tipo che Matteo Renzi ha voluto fin dall'inizio come punto di riferimento nell'avventura a Roma e a palazzo Chigi.
Sottosegretario, che peso politico ha il doppio vertice di domani?
"Erano i primi mesi del 2014 quando andai per la prima volta in Niger. Ricordo che, poiché non avevamo l'ambasciata, ci dovemmo appoggiare alla sede della Costa d'Avorio. Non fu facile in quelle condizioni cercare ed ottenere udienza con il ministro dell'Interno e della giustizia del Niger".
Cosa andaste a dirgli?
"Eravamo una piccola delegazione, solo italiana. Fu chiaro, fin dai primi mesi della mia delega all'immigrazione, che dovevamo intervenire con strutture e personale nella valle di Agadez, in Niger appunto, che era il transito obbligato e tuttora unico di tutti i flussi in arrivo dall'Africa sub sahariana, sia est che ovest. Le rotte e le informazioni distribuite dal racket dei trafficanti portavano i flussi in quell'oasi verde prima della traversata del deserto libico. Andammo a chiedere supporto e assistenza logistica per aprire e rafforzare quel presidio. È motivo di orgoglio, per questo ministero e per il governo, vedere che oggi quello è l'obiettivo condiviso dai principali paesi europei".
Cosa successe dopo quel primo viaggio?
"Ottenuto un primo, sommario via libera da parte del governo del Niger, sono andato a parlare con UNHCR, OIM, Croce rossa internazionale, tutti coloro che già avevano una presenza nella valle di Agadez. Potete immaginare come non sia facile creare dal nulla una struttura in un luogo simile. E invece alla fine del 2014 era già attivo il primo centro di accoglienza che intercettava sia i flussi in arrivo da sud che quelli di ritorno dal deserto libico. Ho ancora una foto di quel primo centro che custodisco gelosamente in cui si vede la bandiera del Niger, dell'OIM e del ministero dell'Interno".
Cosa succede nel centro di accoglienza italiano-nigerino a Agadez?
"Abbiamo creato le condizioni per fare rimpatri assistiti nei paesi di origine per oltre ventimila persone. Ventimila persone sottratte al racket, o che dopo averci provato una volta non lo hanno fatto più, e sono tornate a casa con attestati per aver frequentato, ad Agadez, corsi per vari mestieri, dal meccanico al fornaio al sarto. Ricordo ancora due ragazzi della Guinea e della Costa d'Avorio che avevano tentato, senza successo, una prima traversata. Volevano andare in Gran Bretagna a fare i calciatori. Nel migliori dei casi, sarebbero arrivati in Italia e li sarebbero rimasti. Ricordo quei giovani ogni volta che ascolto persone parlare frettolosamente, per non dire di peggio, di flussi migratori e ricette varie per bloccarli. Abbiamo, diciamo così, bloccato quei ragazzi solo convincendoli a fare un corso e pagando loro una sorta di avviamento nel loro paese".
Dunque la soluzione più che in Libia sta a sud del Sahara?
"La soluzione sta nello stabilire contatti politici e commerciali con i G5 dell'Africa subsahariana. Intendo Guinea, Senegal, Costa d'Avorio, Niger e Nigeria. Dopo quei miei primi viaggi oserei dire pionieristici, siamo stati molte volte in missione con l'allora ministro degli Esteri Paolo Gentiloni. E nel 2016, era ancora in carica il governo Renzi, il governo del Niger ci ha chiesto di creare 3/4 strutture nel paese, nella capitale Niamey e a Arlitt, ancora più a nord di Agadez. Le hanno chiesto loro a noi. È stata questa quella che credo di poter definire una svolta".
Arriviamo ad oggi. Cosa significa nel "piano Africa" italiano il doppio summit di domani?
"Che l'intuizione italiana e per cui il nostro paese si è mosso per almeno due anni, con pochi soldi e in perfetta solitudine, diventa un piano europeo. A tutti gli effetti, per le spese ma soprattutto per l'accoglienza".
Cioè? Può spiegarsi meglio?
"Finché l'Italia gestisce da sola i centri di accoglienza in Niger, dal nostro punto di vista cambia molto poco. Infatti possiamo solo fare formazione, informazione o rimpatri volontari. Se creiamo da lì un corridoio umanitario, queste persone arrivano e restano tutte in Italia per via di Dublino. Se invece, e questo è ciò di cui si parla domani, i Centri sono gestiti dell'Europa, chi ha diritto all'asilo può essere redistribuito in Europa direttamente da questi Centri".
Cosa la fa essere ottimista?
"La cancelliera Angela Merkel ha detto che è tempo di superare Dublino e quindi l'obbligo del rilascio delle autorizzazioni da parte del primo paese di sbarco. La Francia ha convocato il summit di domani e ha scritto l'agenda. Possiamo dire con legittima soddisfazione che l'Italia è stata apripista di un piano ora condiviso dai paesi più importanti dell'Unione europea".
In un'ipotetica dichiarazione finale domani a Parigi, cosa immagina debba esserci?
"Due concetti fondamentali. Il primo: i flussi migratori sono destinati a cambiare continuamente la rotta. Quindi è necessario avere rapporti diplomatici costanti con i G5 del subsahara. Il secondo: serve più Europa nel sostegno ai paesi africani anche per i diritti fondamentali. Tra questi diritti c'è l'asilo politico. Da qui la presa di coscienza che la distribuzione dei migranti non può più essere un'opzione".