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Per salvare l'Italia servono 100 miliardi: ecco chi ce li può dare e a quale prezzo

Secondo uno dei migliori centri studi italiani Prometeia, se si potrà ripartire a maggio, il Pil italiano subirà comunque un contraccolpo pesantissimo: nel 2020, rispetto all'anno scorso, perderemo il 6,5 per cento

Maurizio Riccidi Maurizio Ricci   
Per salvare l'Italia servono 100 miliardi: ecco chi ce li può dare e a quale prezzo

Non ci resta che la Bce. La buona notizia è che, per uscire dall'incubo economico del coronavirus e suoi seguiti, secondo più di un economista, potrebbe anche bastare. Quella cattiva: è un sentiero stretto, con insidie sui mercati e dalla politica (tedesca). D'altra parte, la deludente conclusione del summit europeo di giovedì, dove i capi dei governi – come se l'orologio dell'epidemia non corresse senza pause – hanno prolungato di due settimane la ricerca di un compromesso che sblocchi i 410 miliardi di euro congelati nel Mes (tedeschi e olandesi vorrebbero incartarli con impegni di futura austerità) o lanci, anche solo per una volta, dei titoli di debito a garanzia comune europea (tedeschi e olandesi rifiutano i coronabond, come gli eurobond) non lascia alternative al puntellarsi sull'unica istituzione europea autenticamente federale.

L'Italia si trova di fronte, infatti, a necessità assolutamente eccezionali. Secondo l'Istat, in questo momento di quarantena potenziata, sono ferme imprese e attività che generano un terzo dell'economia del paese e metà delle sue esportazioni. Quanto durerà la paralisi non sappiamo. Secondo uno dei migliori centri studi italiani, Prometeia, se si potrà ripartire a maggio, il Pil italiano subirà comunque un contraccolpo pesantissimo: nel 2020, rispetto all'anno scorso, perderemo il 6,5 per cento del Pil. Una grande banca d'investimenti americana, Goldman Sachs, è più pessimista: nel 2020 registreremo un crollo di oltre l'11 per cento. Sono numeri da Grande Depressione: noi siamo abituati, anche negli anni brutti, a parlare di meno 1 per cento.

Per tamponare un crollo di queste dimensioni, secondo un'altra banca americana, la Citigroup, economie europee come Italia, Spagna, Francia hanno bisogno di una  manovra di sostegno e rilancio -. fra sussidi e incentivi - che valga il 5 per cento del Pil. In soldoni, per l'Italia, 85 miliardi di euro, da spendere il più in fretta possibile. In cassa, non ci sono e non ci saranno a lungo, fino a che economie e tasse non ripartono. Dal Mes, se ci fosse stato un accordo, ne avremmo avuti 35, ma è inutile farci conto in questo momento.

Intanto, noi ne abbiamo già impegnati, 25 (più ben 350 miliardi di garanzie statali sui crediti alle imprese, che il Tesoro, tuttavia, confida di non dover sborsare che in misura minima), con le prime mosse del governo Conte, che ne ha già promessi altri 25. Sul tavolo, con la manovra annunciata e quella già promessa, ci sono, dunque, 50 miliardi. Serve un'altra manovra, magari a maggio, da 35 miliardi per arrivare agli 85 miliardi giudicati indispensabili. Tutti da finanziare in disavanzo.

Il famoso rapporto fra deficit pubblico e Pil, cioè l'economia totale del paese, che tanto ci siamo sforzati di tenere al 2 per cento, schizzerebbe al 6-7 per cento. Il debito pubblico salirebbe dall'attuale 135 per cento del Pil oltre il 140 per cento. Come ha detto Mario Draghi in questi giorni, è l'unica strada possibile: il costo della crisi, dice l'ex presidente della Bce, dovrà essere assorbito dal bilancio pubblico.

Ma noi ce lo possiamo permettere? Chiederselo è probabilmente inutile, vista la mancanza di alternative. E, però,cosa può succedere? In linea di principio, niente di tragico. Almeno ai tassi di interesse attuali. Il rendimento dei Btp, i buoni del Tesoro, da rimborsare nel 2030, ieri pomeriggio era all'1,35 per cento. L'Italia potrebbe, dunque, emettere nuovo debito per quei 100 miliardi, pagando 1 miliardo 350 milioni di euro l'anno. Per il rapporto deficit/Pil quel miliardo e rotti di interessi corrisponde ad un peggioramento inferiore allo 0,1 per cento.

Il conto, tuttavia, presuppone che le bocce rimangano ferme. Se sui mercati finanziari si diffonde la sensazione che l'Italia non ce la faccia a far fronte al costo dei suoi debiti,  si avvia una spirale che può stritolare il paese. Meno di un mese fa, solo perché Christine Lagarde aveva indicato che la Bce non sarebbe intervenuta sempre e comunque, i rendimenti su quegli stessi Btp decennali erano arrivati al 3 per cento.

Se si sparge il profumo di bancarotta o di uscita italiana dall'euro possono salire anche più in su: ci siamo già passati due volte, nel vortice dei mercati, negli ultimi dieci anni. Salirebbe la bolletta da pagare non solo su quei 100 miliardi, ma sugli altri 400 miliardi di euro che, ogni anno, l'Italia chiede agli investitori per finanziare il suo disavanzo. La pietra al collo ci porterebbe, presto, a fondo.

E' la prima insidia letale che ci presentano i prossimi mesi. Per sventarla, deve entrare in campo, con tutta la sua potenza di fuoco, la Banca centrale europea. Il vantaggio di un accordo che facesse scendere in campo il Mes, il Meccanismo europeo di solidarietà, è che, insieme ai 35 miliardi di euro di aiuti diretti, ci sarebbe stato il via libera ufficiale alla Bce a intervenire sui mercati, a sostegno dei titoli italiani, nella misura e nel tempo ritenuti necessari, senza alcun limite. Una solida garanzia che la spirale non si sarebbe avviata e i rendimenti sui Btp sarebbero rimasti, quanto meno, negli accettabili limiti attuali. E, tuttavia, anche senza il Mes, gli strateghi della Bce hanno raggiunto, senza dirlo troppo ad alta voce, un risultato non troppo diverso.

Francoforte ha reso note solo questo giovedì  le modalità degli interventi che ha annunciato di essere pronta a fare, nell'ambito del Quantitative easing, comprando oltre mille miliardi di euro di titoli sui mercati finanziari, nel corso di quest'anno. Christine Lagarde aveva promesso flessibilità e una flessibilità inedita, rispetto alle rigidità degli anni scorsi, c'è. Gli acquisti sui mercati potranno essere gestiti secondo la tempistica che apparirà più opportuna: in linea di principio, anche mille miliardi in una botta sola.

Cade il limite di non detenere più di un terzo del debito di un paese. Nel caso italiano, la Bce aveva ancora un margine di almeno 150 (secondo alcuni anche il doppio) miliardi di euro in titoli italiani da rastrellare prima di sbattere contro questo tetto. In ogni caso, l'abolizione del tetto è un altro deterrente contro i timori dei mercati. Infine, l'obbligo di rispettare la ripartizione, per cui la Bce non può detenere più di una certa quota (per l'Italia il 17 per cento) del debito di un paese resta in vigore, ma verrà verificata solo in un futuro indeterminato.

Insomma, se ci sarà la volontà politica, la Bce sarà in grado di puntellare i titoli italiani, o di qualsiasi paese, acquistandoli in massa, per sostenerne i prezzi, senza vincoli e limitazioni. Del resto, lo sfondamento del debito italiano, dal 135 al 140 per cento del Pil, che, in circostanze normali, farebbe gridare allo scandalo, nella situazione attuale appare come un evento isolato e irripetibile, ma anche inevitabile: lo dice proprio l'uomo che ha guidato la Bce fino a pochi mesi fa.

Ma le polemiche sono già iniziate e rischiano di essere infuocate. In Germania, gli economisti tradizionali sono già partiti all'attacco contro questa libertà di manovra della banca centrale che, ai loro occhi, costituisce un finanzamento monetario dei bilanci dei singoli paesi: in altre parole, la Bce stampa moneta per finanziare i debiti nazionali. Cosa esplicitamente e dichiaratamente vietata negli statuti della banca centrale europea. Ci saranno attacchi violenti sulla stampa, ricorsi alla Corte costituzionale tedesca. E' la seconda insidia letale del prossimo futuro.

 

Maurizio Riccidi Maurizio Ricci   
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