[Il punto] Gli aiuti europei sono un'occasione irripetibile: ecco quattro idee per spendere bene quei soldi
Non si può fare tutto con i 209 miliardi di euro provenienti da Bruxelles, ma non bisogna per forza accontentarsi. Le cose da fare con urgenza

A Montelupone, un paesino delle Marche di fronte a Recanati, in questi giorni è arrivata la banda larga. Non proprio quella di Milano o Roma. Viaggia al massimo a mezza velocità, rispetto ai grandi centri urbani, dalla centralina a casa è affidata al vecchio doppino di rame, va ancora un po’ a singhiozzo e il raggio è limitato: copre solo metà paese, fino in cima al colle. Di là, niente. Ma sia chiaro: rispetto al passato è, comunque, un grande balzo in avanti. E, allora, il problema è: bisogna accontentarsi, oppure no? La novità contenuta negli oltre 200 miliardi di euro che l’Europa, con l’accordo appena raggiunto a Bruxelles, si dichiara pronta a riversare in Italia nei prossimi tre anni è che non si può fare tutto, ma non bisogna sempre e per forza accontentarsi. Come ha detto, qualche settimana fa, il ministro Dario Franceschini, per l’Italia è un’occasione unica, inedita e difficilmente ripetibile: “Per la prima volta da trent’anni, invece di tagliare possiamo spendere”.
Risparmiamo più di tutti: perché quel debito non se ne va
Il problema che, dagli anni ’90, azzoppa l’Italia è abbastanza facile da diagnosticare. Siamo schiacciati dalla montagna di debito accumulata nei lontani anni ’80, quelli di Craxi e del Caf, puntualmente riflessa nel rapporto fra il debito pubblico e l’economia. Per smaltire quella montagna, dovremmo far crescere l’economia più velocemente di quanto aumenti il debito. In questi trent’anni, ce l’abbiamo messa tutta: se non calcolate gli interessi sul debito, nessun altro paese europeo ha così sistematicamente incassato più di quanto spendesse. Eppure, mentre gli altri paesi sistemavano i loro conti, noi vedevamo il rapporto debito/Pil crescere inesorabilmente, al 130 e ora verso il 160 per cento. La differenza con gli altri paesi europei non è, infatti, nei tagli al debito, ma nello sviluppo dell’economia. La nostra va troppo piano. Come dicono gli economisti, la produttività è troppo bassa. In Italia, si lavora poco? Niente affatto. Il ritardo della produttività è nelle imprese, negli strumenti di cui dispongono, nei servizi a cui possono fare ricorso, nel funzionamento della macchina pubblica. Ancora per rubare la parola agli economisti, è un ritardo “di sistema”.
Centotrenta pagine per cambiare
E’ una consapevolezza che percorre il Piano nazionale di Riforma che il governo ha appena presentato, giusto alla vigilia del vertice europeo. Le 130 pagine approdate, in questi giorni, in Parlamento non sono, in realtà, un appuntamento nuovo. Il documento viene, infatti, prodotto ogni anno dal ministero del Tesoro. Grazie ai soldi europei, però, quest’anno possono non essere, come dice Franceschini, solo parole. Anzi, il ministro Gualtieri garantisce che, a settembre si tradurranno in un programma dettagliato, che prevede “il rilancio degli investimenti, l’incremento della spesa per la ricerca e l’istruzione, riforme che assicurino competitività, equità, sostenibilità sociale e ambientale”. L’obiettivo, guardando oltre l’epidemia, è “rilanciare la sanità, il turismo, i trasporti, le costruzioni, la siderurgia, l’industria dell’auto e delle sue componenti”. Direttrici fondamentali, l’ammodernamento della pubblica amministrazione, l’ecologia, la riduzione delle emissioni di anidride carbonica, l’universalizzazione della banda larga, la lotta per la parità di genere e contro la povertà.
Come si possono usare i soldi
Fin troppa roba, probabilmente. Più scarne le indicazioni concrete. L’idea è di aumentare gli investimenti pubblici – quelli che si riflettono nel miglioramento delle infrastrutture – di 10-12 miliardi di euro l’anno, facendoli arrivare al 3 per cento del Pil, contro il 2,3 per cento attuale. E di assegnare alla ricerca 7-8 miliardi di euro in più, ogni anno, riportandoci più in linea con le medie europee. L’ambizione è giusta, ma non aiuta ancora a capire come verranno utilizzati i soldi.. O, almeno, visto che i fondi disponibili non possono bastare per tutto, a capire quali sono, secondo il governo, le priorità. L’auto e la componentistica, ad esempio, sono settori cruciali nell’attuale panorama industriale italiano, ma, forse, non sono quelli su cui puntare per il futuro. E, sempre in materia di trasporti, lo sforzo per fare dell’Italia un paese tutto Tav, in cui si arriva da dovunque a Roma in non più di 4 ore e mezza non sembra il naturale complemento dell’impegno di 3 miliardi di euro per tenere in piedi l’Alitalia.
O riforme efficaci o il burrone
Il punto cruciale, comunque, è un altro. Le deficienze di “sistema” del paese non si sanano nel giro di pochi mesi. E la bonanza dei fondi europei consente la cosa più difficile: riforme che danno risultati duraturi, anche se non immediati, senza richiedere sacrifici ai cittadini. Le grandi riforme hanno un ritorno - in termini di benefici, economici e non – lento, spesso non immediatamente monetizzabile in termini elettorali. Per questo sono difficili da fare, soprattutto in un paese abituato ad una girandola convulsa di governi. Gli aiuti europei sono un’occasione, probabilmente irripetibile, di impostare interventi che saremo in grado di misurare solo fra qualche anno. Nell’ampio ventaglio del Piano nazionale di Riforma appena presentato, queste riforme di passo lento ci sono. Bisogna capire se c’è la volontà politica di puntarci davvero.
Un clic per avere a disposizione tutta l'amministrazione pubblica
Quali sono? Per individuare i buchi del sistema Italia non occorre un grande sforzo. Basta scorrere l’elenco delle lamentele delle imprese straniere che si trovano – o si vorrebbero trovare – ad operare in Italia e che quasi mai, nonostante le polemiche, girano intorno all’art.18 e alla libertà di licenziare.
E allora
1-Una digitalizzazione, completa e a 360 gradi, (formazione del personale compresa) della pubblica amministrazione. Il Decreto Semplificazione è fin troppo timido, ma la vera rivoluzione copernicana è avere tutta la pubblica amministrazione a portata di clic.
2-Un drastico snellimento delle procedure giudiziarie. L’impossibilità di ricorrere, in via normale e ordinaria, ai tribunali, contando su un riscontro in tempi operativi è uno dei grandi disservizi pubblici italiani.
3-L’impegno per la ricerca è solo un pezzo del problema. Il paese ha bisogno di un grande sforzo – in strutture, mezzi e personale – per la formazione di base nella scuola, che è il primo mattone di un rilancio della produttività.
4-Salvare l’Ilva. Il paese ha bisogno di un grande centro siderurgico. Riconvertire gli impianti di Taranto nel rispetto dell’ambiente e dell’ecologia è una sfida straordinaria e, per questo, vincerla è doppiamente importante.