[Il retroscena] Tria, il ministro accerchiato dai sogni di Di Maio e Salvini
Di Maio promette “subito” reddito di cittadinanza, riforma delle pensioni e flat tax, ma la frenata dell’economia (-0,3%) rende difficoltoso anche solo fermare l’aumento dell’Iva. Il ministro delle Finanze già al lavoro sul Def, ma non ha margini per realizzare le promesse fatte in campagna elettorale. Finora i gialloverdi hanno risparmiato 60 milioni di euro, ma la flat tax costa 50 miliardi, l’abolizione della Fornero 20 e il reddito di cittadinanza 17. Per non aumentare l’Iva servono 12 mld

Da una parte la tenuta delle finanze pubbliche, la “cassa” diciamo, di un Paese che ha un debito da far paura. Dall’altra un sacco di promesse - bellissime? - che hanno favorito il boom elettorale di Lega e M5S: flat tax, reddito di cittadinanza, abolizione della riforma delle pensioni di Elsa Fornero e dunque ritiro subito per centinaia di migliaia di lavoratori anziani. In mezzo c’è un uomo rimasto da solo sulla graticola a tentare la quadratura del cerchio: Giovanni Tria. Gli uffici dell’economista che ha scritto diversi libri con Renato Brunetta sono già al lavoro per il Def. Prima, Tria ha mostrato i muscoli sfidando i due vicepremier sulle nomine in Cassa depositi e prestiti, ma si è dovuto arrendere sulla nomina del “suo” candidato per il consiglio di amministrazione della Rai.
Crescita italiana rallentata
Lo scoglio resta comunque quello dei conti. Raccontano di un sms denso di sconforto inviato ad un collega dopo avere letto, ieri mattina, l’intimazione contenuta nell’intervista del vicepremier Luigi Di Maio al Corriere della Sera: “Deve essere chiaro che reddito di cittadinanza e flat tax, insieme alla abolizione della legge Fornero, sono emergenze sociali. Si devono realizzare, il prima possibile. Anzi, subito”. A Tria devono essere suonate le orecchie: “Chiaro” a chi? La strategia degli annunci da parte del leader pentastellato prosegue come se Di Maio non sapesse che domani, martedì, l’Istat certificherà che la crescita italiana sta rallentando e che i principali organismi internazionali avevano già tagliato le stime per l’intero anno all’1,3 per cento. Il motore dell’economia è in fase di stallo e, addirittura, ha ingranato la retromarcia. Anche Banca d’Italia, secondo le ultime stime del Bollettino economico, vede il Pil all’1,3 per cento quest’anno, ma prevede un calo all’uno per l’anno prossimo e all’1,2 nel 2020.
Le risorse non ci sono
A via XX Settembre già hanno chiaro da settimane che le risorse per mantenere le promesse dei Cinquestelle, specie se sommate a quelle della Lega, semplicemente non ci sono. Non c’erano già prima; non se ne parla oggi, con tutti gli indicatori economici tornati negativi. Lo sanno bene quei parlamentari un po’ più esperti di economia che sono stati capaci di leggere come si deve l’intervento che il ministro dell’Economia ha fatto in audizione, anticipando le “linee guida” del Def che dovrà scrivere e presentare al Parlamento entro il 20 settembre. I dati forniti erano devastanti: la prossima manovra costa già 20 miliardi prima ancora di cominciare. Ad aprile, nel momento in cui vennero fatte le previsioni per l’anno in corso e fu definito il cosiddetto Def “tendenziale”, lo spread era poco sopra i 120 punti mentre oggi è salito a 233. Questi numerini sembrano astratti, ma per i cittadini non lo sono affatto, se si considera che il prezzo pagato dagli italiani per ogni 100 punti di rendimento è di oltre tre miliardi di euro. “Sono costati miliardi di euro”, ha attaccato Paolo Gentiloni pochi giorni fa, riferendosi proprio a questo dato e accusando le forze di governo dei danni provocati ai cittadini. Il secondo motivo di aggravio per le casse dello Stato deriva proprio dalla frenata dell’economia. Se il governo guidato dall’esponente Pd aveva scommesso su un pil all’1,4%, oggi siamo tre decimali sotto. Meno crescita significa meno entrate fiscali, dunque più deficit. Giuseppe Conte, quindi, ha meno soldi da spendere del suo predecessore e non di più, come avrebbe voluto.
La grana dell’Iva
Col deficit che già così, prima ancora di prendere qualunque decisione politica, aumenta da solo, sarà complicatissimo già scongiurare nuovi aumenti. Solo per sterilizzare l’aumento dell’Iva, che sia il M5s che la Lega considerano “indispensabile”, serviranno 12,4 miliardi di euro. Per finanziare il Milleproroghe, che garantisce la continuità di una serie di servizi in Italia e di interventi all’estero, come le missioni internazionali, ne occorrono altri 3,5 e per evitare di allargare il buco di bilancio Tria dovrà far spuntare 22,4 miliardi. Sul reddito di cittadinanza c’è una stima fatta dall’Inps. Se, come è stato ventilato, dovesse consistere in un assegno da 780 euro al mese, realizzarlo costerebbe almeno 35 miliardi di euro. Sulle pensioni, la cancellazione della Fornero richiederebbe solo il primo anno una spesa di 14 miliardi. Se, più prudentemente, leghisti e pentastellati scegliessero invece la cosiddetta “quota 100”, l’operazione avrebbe comunque un costo variabile tra i 4,6 e gli 11,6 miliardi.
No dell’Ue alla spesa improduttiva
Si dice: serve una trattativa con l’Europa per ottenere “margini di flessibilità”, ma tutti nel governo sanno bene che l’Ue può concedere uno sfondamento di qualche decimale del tetto del 3 per cento ma non consentirà che le risorse aggiuntive finiscano in spesa pubblica improduttiva come il reddito di cittadinanza o in quello che potrebbe essere un aiuto ai “ricchi” come la flat tax. “L’obiettivo è quello di non peggiorare l’indebitamento netto”, ha garantito Tria in commissione. Niente soldi, niente deficit. Ma Di Maio “pretende” comunque di portare a casa i risultati. Ecco perché gira sempre più insistentemente la voce che il ministro dell’Economia, a meno di due mesi dal giuramento, abbia segnalato al Quirinale la sua posizione scomoda e abbia minacciato in più di un’occasione di dimettersi. “Mai pensato”, ha chiarito con una nota pochi giorni fa. Ma pochi sono disposti a scommettere che il professore riesca a mangiare il panettone occupando la scrivania di via XX settembre, che non decida volontariamente di andarsene.
I conti non tornano
“Utilizzeremo i risparmi”, lo incalza il vicepremier. Originale. Ma su quel fronte sono stati fatti passi avanti assolutamente insufficienti. I vitalizi, secondo il bilancio della Camera, produrranno al massimo 40 milioni di risparmi e la rinuncia all’aereo preso in leasing da Matteo Renzi 108 spalmati da qui al 2024: meno di 60 milioni all’anno. In compenso la flat tax costa 50 miliardi, l’abolizione della riforma di Elsa Fornero 20, il reddito di cittadinanza almeno 17 nella sua forma più soft. A questa cifra andrebbero aggiunti 5 miliardi per rinnovare i contratti degli statali che scadono il 31 dicembre e pure la spesa sanitaria che, dopo anni, ha ricominciato ad aumentare e che, secondo il “Contratto di governo”, dovrebbe continuare a farlo. Mentre la Lega parla prevalentemente di immigrazione e sicurezza, il ministro dello Sviluppo Economico e del Lavoro è invischiato in problemi di carattere economico. Oggi a Montecitorio comincerà il dibattito in Aula sul “Decreto dignità”. Dopo le modifiche fatte in commissione, i leghisti contano di apportarne altre, anche se il voto è diventato una specie di corsa contro il tempo per evitare che il “generale agosto” blocchi tutto. Tutti i partiti dell’opposizione hanno limitato al minimo le proposte di modifica per togliere alibi ai Cinquestelle che preferirebbero trovarsi “costretti” a chiedere il voto di fiducia per fare prima ed evitare che il testo venga nuovamente stravolto.
Le patate bollenti Ilva e Tav
Un’altra grana per il governo è il caso dell’Ilva. Dopo la marcia indietro sulla Tav, oggi al Mise si riunisce il tavolo per trovare una soluzione e - se possibile - salvare la più grande acciaieria d’Europa. La scelta del vicepremier di convocare 61 sigle ha però finito per far saltare il tavolo. A sfilarsi è stato per primo il sindaco di Taranto, Rinaldo Melucci, che contesta al ministro di avere coinvolto e invitato “una serie di sigle pseudo associative e comitati, tra cui quelle delle aggressioni in Prefettura nel giorno dell’ultimo tragico incidente nello stabilimento”. Chiedere un parere ai violenti è troppo, dice. Ma così facendo la soluzione si allontana.