[Il retroscena] “Pensione di cittadinanza” e flat tax solo per i professionisti. Ecco la manovra. E la Castelli irrompe durante il vertice
Quasi dieci miliardi dovrebbe costare la “pensione di cittadinanza”, mentre la flat tax per i professionisti - fino a una soglia che non sarà di 100 mila euro come annunciato ma leggermente inferiore - peserà sulle casse dello Stato per quindici. Al vertice di Palazzo Chigi tra Conte, Tria, Savona e Giorgetti arriva la viceministra Laura Castelli. Trentaduenne, unica donna, prova ad aumentare gli stanziamenti previsti dalla legge di Bilancio per far partire subito almeno la “pensione di cittadinanza” e la riforma dei centri per l’impiego. Ci è riuscita

Sulla legge di Bilancio il gioco nella maggioranza si fa duro. Fuori i secondi, per discuterne al piano nobile di Palazzo Chigi, si sono ritrovate le menti economiche del governo giallo verde. Al vertice decisivo per la scrittura della manovra, in cui si discuteva di ben 35 miliardi, erano presenti il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, il ministro dell’Economia Giovanni Tria e il ministro per gli Affari europei, Paolo Savona. Questi ultimi vecchi leoni dei numeri, economisti di grande esperienza. A dare la parola - e le carte -, il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Giancarlo Giorgetti, ex presidente della commissione Bilancio e ispiratore da un ventennio delle politiche economiche del Carroccio, si dice in ottimi rapporti con Mario Draghi.
L’irruzione della viceministra Castelli
A rompere quel clima così austero l’ingresso nel palazzo del governo di Laura Castelli. Trentadue anni, torinese, forte di una (sola) laurea triennale in economia aziendale, la giovane deputata pentastellata al secondo mandato si è seduta senza alcun imbarazzo al tavolo delle trattative. Gli altri erano super esperti, lei no. Unica donna presente, la viceministro all’Economia ha tenuto il punto su quello che lei e il suo partito considerano “irrinunciabile”: “A gennaio 2019 ci dovrà essere qualcuno che riceve una cosa che si chiama reddito di cittadinanza”, ha detto. Non importa quanti soldi prendano e quale sia la platea, ma “qualcuno” dovrà avere ciò che è stato promesso in campagna elettorale dai Cinquestelle, un reddito universale e temporaneo per chi è rimasto senza lavoro.
Grillina della prima ora
Per poterlo distribuire, la viceministra, che per qualche giorno era stata proiettata a capo del dicastero delle Infrastrutture ma che poi è stata dirottata a via XX settembre a causa della sua aperta ostilità alla Tav, considera prioritaria anche “la riforma dei centri per l’impiego”, un’altra operazione piuttosto costosa. Sempre lei, una delle prime “grilline” che furono autorizzate in campagna elettorale a partecipare ai talk show tv, era stata inviata in prima linea per difendere l’esecutivo dall’attacco dell’Anci che accusa il governo di avere tagliato i fondi alle periferie. Ad ogni appunto dei colleghi di governo, ha risposto. E a darle manforte, quando ha preteso che Tria aumentasse le risorse da mettere a disposizione della misura che sta più a cuore a Luigi Di Maio e soci, sarebbe stato Savona. Il ministro già al centro di una diatriba tra maggioranza e Quirinale, avrebbe condiviso e sostenuto le sue affermazioni. Così, dai tre miliardi che Tria aveva stimato di mettere a disposizione del reddito di cittadinanza, si sarebbe arrivati fino a nove.
La classica coperta troppo corta
Mai come oggi, per la legge di Bilancio vale la classica immagine della coperta corta: dal momento che ormai tutti sono convinti che al massimo la finanza pubblica italiana può reggere in alternativa tra loro o il reddito di cittadinanza o la flat tax, a Palazzo Chigi si è parlato di realizzarle entrambe ma in versione mini. Il mini-reddito di cittadinanza, che estende le misure contro la povertà già introdotte da Paolo Gentiloni e le trasforma in una “pensione di cittadinanza” potrebbe soddisfare le aspettative - immediate - dei pentastellati; la flat tax a centomila euro per le sole partite iva quelle della Lega. Anche se limitate a piccole platee, le misure chieste dai due contraenti del Patto di governo sono comunque molto costose. A queste, oltretutto, bisogna aggiungere la riforma delle pensioni, per la quale si erano impegnati prima delle elezioni gli uni e gli altri. Lo ha riconosciuto anche il premier al termine del Consiglio dei ministri nel corso del quale, con l’assenza “pesante” di Salvini, è stato approvato anche il decreto anticorruzione. Ma Giuseppe Conte ha voluto mostrarsi rassicurante: “Faremo una manovra ambiziosissima, che rispecchi il programma di governo e che getti le basi per l’intera legislatura”.
L’incubo Ue della spesa pubblica in Italia
Per capire quanto l’Ue sia disposta a tollerare l’aumento della spesa pubblica in Italia, sarà decisiva la missione di Tria che oggi e domani parteciperà all’Ecofin, il vertice dei ministri dell’Economia dei Paesi dell’Unione. A Palazzo Chigi sperano di ottenere il via libera per scrivere una manovra che valga quasi 35 miliardi. Quasi dieci miliardi dovrebbe costare il reddito di cittadinanza, mentre la flat tax per i professionisti - fino a una soglia che non sarà di 100 mila euro come annunciato ma leggermente inferiore - peserà sulle casse dello Stato per quindici. Paradossalmente, lo scoglio più pericoloso per la trattativa coi partner Ue potrebbe essere il superamento della legge che porta il nome di Elsa Fornero. Proprio sui costi di “quota cento”, una soluzione sostenuta anche da Forza Italia e Fratelli d’Italia, nel corso dell’estate si era acceso un duro scontro tra governo e Inps, tra Matteo Salvini e Luigi Di Maio da una parte e Tito Boeri dall’altra. “Il calcolo del costo dell’intervento tra i 14 e i 20 miliardi fatto dall’Inps non è plausibile”, disse allora il vicepremier leghista, i cui tecnici stimano che invece riformare la legge costi “solo” 6-8 miliardi. “Sono gli uffici tecnici dell’Inps che fanno le valutazioni e screditare chi le fa è un esercizio pericoloso”, replicò l’economista che guida l’istituto di previdenza italiano. Per avere un quadro più preciso delle risorse a disposizione, l’esecutivo dovrà comunque attendere il 21 settembre, quando l’Istat renderà noti i dati aggiornati sull’andamento dell’economia per l’ultimo trimestre.