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Pensione a 67 anni dal 2019: il decreto atteso per dopo l’estate

Oggi servono almeno 66 anni e 7 mesi ma la speranza di vita aumenta e quindi il Governo pensa di aumentare l’età per andare in pensione

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Pensione a 67 anni dal 2019: il decreto atteso per dopo l’estate

In  pensione sempre più tardi. Dal 2019 si potrebbero dover aspettare i 67 anni anagrafici per tagliare l'agognato traguardo. Come riporta il Corriere tecnici dei vari ministeri coinvolti, Lavoro, Finanze, Presidenza del Consiglio dei Ministri, sarebbero da tempo al lavoro e il percorso per poter arrivare a questo risultato sarebbe ormai tracciato

Un decreto rivedrà l’età minima per andare in pensione

Dopo l’estate il governo dovrà emanare un decreto per rivedere l’età minima necessaria per andare in pensione. In teoria il meccanismo, previsto per legge, non lascia margini di discrezionalità, scrive il Corriere . L’età della pensione è legata alla speranza di vita a 65 anni, cioè il tempo che in media resta da vivere una volta superata la boa dei 65. Il legame tra requisiti di uscita e speranza (o aspettativa) di vita dopo alcuni passaggi preliminari è entrato nella legislazione italiana nel 2010 ed è stato poi fissato in modo definitivo con la riforma Fornero di fine 2011.

Il ruolo dell’aspettativa di vita

La speranza di vita dopo i 65 anni si sta allungando: per gli uomini siamo passati dai 18,6 anni del 2013 ai 19,1 anni del 2016; per le donne da 22 a 22,4 anni. Per questo l’ipotesi è che venga spostata verso l’alto anche l’età della pensione, che potrebbe passare dai 66 anni e sette mesi di adesso a 67 anni. Non subito ma a partire dal 2019. Non sarebbe una differenza da poco. E spingerebbe ancora più in alto quei requisiti previdenziali che già adesso fanno dell’Italia uno dei Paesi dove si va in pensione più tardi. Ma si procederà davvero fino in fondo?

Lo spauracchio delle elezioni politiche a ridosso

L' unica possibilità di evitare un ulteriore innalzamento dell'età pensionabile sarebbe un accordo in sede politica. Ma se dovesse trasformarsi in una decisione politica sarebbe certamente impopolare, soprattutto considerando che andrebbe presa e varata dopo l'estate, con le elezioni politiche a ridosso. E sarebbe davvero difficile leggerla come una decisione popolare. Sia per i lavoratori vicini alla pensione, che vedrebbero spostarsi il traguardo ancora più in là. Sia per i giovani che vedrebbero rafforzarsi quell’effetto «tappo» che già oggi rende molto difficile il ricambio generazionale.

Il ricorso all’Ape

A mitigare gli effetti dell'impopolare provvedimento, potrebbe essere l'Ape (anticipo pensionistico) a pieno regime. Questo strumento è da poco entrato in vigore ma soltanto nella versione Ape sociale, vale a dire quella riservata a disoccupati, invalidi, chi ha svolto lavori usuranti. Tuttavia se è vero che chi non se la sente di continuare a lavorare  può far ricorso all’Ape (anticipo pensionistico) è vero anche che lo fa a proprie spese visto che la banca viene ricompensata con una parte della pensione del richiedente. Chi non supera i 1.500 € di pensione farà invece ricorso all’Ape Social (anticipo pensionistico i cui costi sono interamente a carico dello Stato), ma in questo caso lo Stato invece che togliersi un’uscita (l’erogazione immediata della pensione) se ne sobbarca i costi andando ad allargare ulteriormente la forbice del debito pubblico (e quindi, di riflesso, inevitabilmente il carico fiscale per i cittadini, quel carico fiscale che a proclami da decenni vorrebbe ridurre)

 

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