[L’analisi] L’innovazione fa lievitare gli stipendi: il caso dei meccanici di Bologna
Mediamente guadagnano quasi 5 mila euro in più all’anno rispetto a quanto previsto dal contratto nazionale. Il distretto industriale del capoluogo emiliano non rispecchia però l’intero Paese che sul fronte dell’innovazione resta indietro
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Da uno studio della Fiom-Cgil di Bologna sulle retribuzioni del settore manifatturiero nella provincia del capoluogo emiliano è emerso un dato che dovrebbe far riflettere il mondo della politica ma non solo: le retribuzioni medie sono superiori di quasi 5 mila euro annui a quelle previste dal contratto nazionale. In alcune realtà la differenza sale addirittura a 7 mila euro.
Lamborghini, Ducati ma non solo
Le aziende in questione sono quelle del distretto della meccanica bolognese. Nomi conosciuti dal grande pubblico come Lamborghini e Ducati, e meno noti come Bonfiglioli e Sassi. Realtà produttive altamente sindacalizzate (per sfatare il mito caro ai liberisti che i sindacati siano un freno allo sviluppo) e altamente innovative. A fare la differenza rispetto al resto del Paese è proprio quest’ultimo elemento.
Il know how diventa prezioso
“Le aziende dell’Emilia Romagna protagoniste della massima espansione economica di questi ultimi anni – ha spiegato il presidente della Confindustria regionale, Pietro Ferrari – lavorano in nicchie pregiate in cui sono competenze e know how a garantire il differenziale competitivo. La capacità di trattenere il personale è fondamentale”.
Industry 4.0 cambia il modo di lavorare
Tradotto in termini più semplici: nelle imprese 4.0 ad elevato contenuto innovativo le risorse umane diventano più pregiate. Gli operai ci sono ancora ma anziché maneggiare il tornio o la mola devono sapere guidare i robot che svolgono quelle funzioni. I lavoratori coinvolti da questo cambiamento diventano preziosi e guadagnano più soldi.
L'indagine di Eurostat
Purtroppo però il distretto industriale meccanico bolognese non è la norma in Italia ma una delle poche eccezioni. I dati parlano chiaro. Eurostat (l’Ufficio di statistiche dell’Unione europea) ha misurato i cambiamenti nel mondo del lavoro dei singoli paesi dovuti alla innovazione. Ha conteggiato la percentuale di lavoratori che nel 2018 hanno modificato il loro modo di operare in seguito all’introduzione di un nuovo software o di una nuova apparecchiatura.
Italia indietro rispetto al Nord Europa
I numeri più alti (ovvero le percentuali maggiori di lavoratori che hanno modificato il loro modo di operare a causa dell’innovazione) si trovano nei paesi del Nord Europa. In Norvegia il cambiamento ha coinvolto il 29% degli addetti. In Italia solo 12%. L’ennesimo spread tra noi e le altre economie avanzate che spiega il declino dell’Italia.
Il cambiamento culturale non decolla
Purtroppo nella classe politica italiana (e in generale nella classe dirigente) non è ancora passato il concetto che solamente l’innovazione tecnologia e dei processi organizzativi (sia nelle imprese che nella pubblica amministrazione) può farci uscire dalla peggiore crisi economica e sociale dal dopoguerra. Un cambiamento culturale che tranne alcune eccezioni (come quella del distretto industriale bolognese) tarda purtroppo a decollare.