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[Il punto] Tassi di disoccupazione alti ma le aziende italiane non trovano i profili richiesti. Ecco quali sono

Il fenomeno è noto come mismatch. Tutti i paesi avanzati ne soffrono ma l’Italia più di tutti anche a causa della carente formazione professionale

Michael Pontrellidi Michael Pontrelli   
[Il punto] Tassi di disoccupazione alti ma le aziende italiane non trovano i profili richiesti...

Il Italia il lavoro rimane una delle prime emergenze. Il tasso di disoccupazione generale a settembre si è attestato al 10,1% mentre quello giovanile supera addirittura il 30%. Eppure da tempo c’è un paradosso di cui si parla pochissimo nel dibattito pubblico e nei programmi elettorali dei principali partiti: il mismatch tra domanda e offerta di lavoro. Di cosa si tratta? Semplicemente del fatto che non c’è corrispondenza tra le richieste delle aziende e le competenze professionali di chi cerca una occupazione.

Mezzo milione di opportunità nei prossimi 5 anni 

E’ un problema comune a tutti i paesi avanzati a causa del progresso tecnologico ma da uno studio dell’Ocse è emerso che l’Italia è messa peggio degli altri. Conclusioni confermate da una recente ricerca di Confindustria secondo cui oggi il 33% delle professionalità richieste dalle aziende risulta introvabile. Il fenomeno è destinato ad ingrandirsi nei prossimi 5 anni. L’industria avrà necessità di quasi 500 mila nuovi addetti con profili professionali che non sarà semplice reperire.

Le figure che mancano 

Del tema si è occupato anche il Sole 24 Ore che ha indagato quali sono le competenze professionali che mancano. La maggior parte sono concentrate nelle nuove tecnologie. Non ci sono programmatori, tecnici elettronici, elettromeccanici e specialisti in automazione industriale, big data analyst, manager digitali, esperti di privacy e Gdpr. Ma c’è spazio anche per figure commerciali (sales account, key account manager) che conoscono bene il mercato Ict.

Mercato del lavoro in continuo cambiamento 

“Il mercato del lavoro è in continua evoluzione: la domanda va di pari passo con lo sviluppo di nuove competenze, ed è sempre più esigente” ha spiegato Elisa Schiavon di Monster Italia al Sole 24 Ore. “Dalle più recenti skills trasversali – ha proseguito - fondamentali per rispondere a un alto grado di flessibilità delle mansioni, si passa oggi a quelle dettate dalla digital transformation, che presuppone una preparazione legata ai big data, al web, all’analisi, ma soprattutto un vero cambio di mentalità”.

Manca l'orientamento professionale 

C’è dunque bisogno di nuove competenze professionali ma anche di una nuova cultura del lavoro imposta dalla rivoluzione digitale. Ma, come detto prima, questo tema è totalmente assente dal dibattito pubblico italiano. Nessun partito politico pone il mismatch in cima ai programmi elettorali. Eppure ci sarebbe tanto da fare. A partire dai programmi di orientamento per spiegare ai più giovani le esigenze delle aziende e dunque quali sono i percorsi formativi che offrono le migliori opportunità di collocamento.

L'esperienza di Open Factory 

Una iniziativa interessante in questa direzione è Open Factory, il più importante opening italiano di cultura industriale e manifatturiera. Giunto alla quarta edizione l’evento, la domenica, apre al grande pubblico le aziende per spiegare la storia e i segreti dell’eccellenza manifatturiera italiana. Una operazione di comunicazione che per il momento però rimane confinata al Nord. Nel programma non ci sono appuntamenti nelle regioni meridionali. La città più a Sud è Perugia.

Formazione: il flop del Jobs Act 

Altro buco nero dell’Italia è la formazione professionale, in particolare per chi ha perso il lavoro e deve essere ricollocato. La grande occasione persa è stato il Jobs Act, ovvero la riforma del mercato del lavoro varata dal governo Renzi che, seguendo l’esempio dei paesi del nord Europa, avrebbe dovuto introdurre anche da noi la flexsecurity. La maggiore flessibilità in uscita (licenziamenti più facili da parte delle aziende) sarebbe stata compensata dall’aiuto che lo Stato avrebbe dato ai disoccupati attraverso ammortizzatori sociali ma anche tanta formazione professionale. Le cose purtroppo non sono andate come promesso. La flessibilità è stata introdotta (abolizione dell’articolo 18) ma di security non c’è stata traccia.

Formazione: nuova chance con il reddito di cittadinanza 

Per la formazione professionale ci sarà ora una nuova opportunità: il reddito di cittadinanza. Il programma del M5s prevede infatti che chi riceverà il sussidio dovrà impegnarsi a seguire percorsi di aggiornamento che semplificano l’inserimento nel mercato del lavoro. In teoria la strada dovrebbe essere giusta ma non mancano i rischi. Il primo è la mancanza di risorse. Il secondo è la qualità della formazione erogata. Per essere efficaci i percorsi formativi dovrebbero essere coordinati con le necessità aziendali. Solo in questo modo darebbero competenze davvero spendibili sul mercato del lavoro e dunque utili per ridurre il mismatch. Cosa apparentemente scontata ma non in Italia dove da sempre pubblico e privato faticato a dialogare tra loro.

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