Lagarde ci spaventa, ecco perché per l'Italia torna l’incubo dello Spread
Il differenziale tra il rendimento del titolo decennale italiano e quello italiano sta salendo rapidamente. Il mercato teme un rialzo dei tassi di interesse da parte della Bce

Allarme tassi. Da giovedì, bisogna tornare a controllare giorno per giorno lo spread, perché il differenziale fra i tassi di interesse dei titoli pubblici tedeschi e quelli italiani torna ad essere il barometro della salvezza o della caduta dell'economia italiana: con un debito pubblico record, oltre il 150 per cento del Pil, un aumento dei rendimento da pagare agli investitori rischia di strangolare ancora una volta il paese.
E lo spread sta salendo. E' arrivato quasi a quota 150, oltre il 7 per cento in più. Ma non è un aumento graduale. I grafici raccontano di un salto brusco, tutto d'un fiato, scattato all'improvviso a metà pomeriggio, quando il presidente della Banca centrale europea, Christine Lagarde, nella sua conferenza stampa, ha aperto, a sorpresa, alla possibilità che, di fronte all'aumento dell'inflazione, la Bce aumenti i tassi di interesse, molto prima di quanto annunciato finora.
E' stato l'apice di una giornata confusa, che ha contraddetto la generale convinzione che la Bce non avrebbe seguito la Fed, la banca centrale americana, sulla strada dell'inasprimento dei tassi e della stretta monetaria. E questo era stato, in effetti, il messaggio consegnato alla stampa nel comunicato finale del Consiglio della Bce, subito dopo pranzo. Il vertice dei governatori ripeteva nel documento che i tassi di interesse europei non si sarebbero mossi, fino a che non sarebbe stato chiaro che l'obiettivo di una inflazione al 2 per cento era stato scavalcato e travolto non per un picco accidentale, ma su base stabile.
In effetti, l'inflazione europea, a gennaio, ha superato il 5 per cento, ma i tecnici di Francoforte sottolineano che metà dell'aumento è dovuto ai prezzi dell'energia (su cui i tassi di interesse della Bce hanno influenza zero) e non ad una economia surriscaldata al contrario di quanto avviene in America, e che l'inflazione europea rientrerà nei ranghi entro la seconda metà del 2022. Nessun motivo di panico, insomma.
Tutt'altro clima, però, nella conferenza stampa di Christine Lagarde, immediatamente successiva. Come sempre, nelle dichiarazioni dei banchieri centrali, contano le sfumature, gli accenni e l'insistenza della Lagarde sulla “flessibilità” delle risposte della Bce all'inflazione ha finito per diventare un mezzo annuncio che l'aumento dei tassi di interesse (finora escluso) è in realtà dietro l'angolo.
Vero, metà dell'inflazione è dovuta a gas e petrolio su cui la politica monetaria non può incidere. Vero, la curva dell'inflazione si appiattirà a partire dall'estate. Tuttavia, continua la Lagarde, i dati ci stanno cogliendo di sorpresa, la corsa dei prezzi durerà più a lungo di quanto credevamo e siamo quindi pronti a procedere “passo passo” nella nostra risposta. Ovvero? Siamo pronti a fermare gli acquisti di titoli di Stato europei (su cui molto ha fatto affidamento l'Italia in questi mesi) e “a breve” a intervenire, se del caso, anche sui tassi di interesse. Quanto “a breve”? La Lagarde non lo ha detto, ma il risultato delle sue parole è stato che i mercati, convinti finora che i tassi europei non si sarebbero mossi prima di dicembre, ora scontano la possibilità che un aumento ci sia già a giugno.
Non è la prima volta che Christine Lagarde straparla. Era già avvenuto all'inizio del suo mandato, quando la dichiarazione “non siamo qui a difendere gli spread” fu interpretata come un lasciare a se stesso il debito italiano, con conseguente ondata speculativa, sui mercati, contro i nostri Btp, tamponata a fatica con una serie di marce indietro, interviste riparatrici eccetera.
La presidente della Bce è scivolata una seconda volta sulla buccia di banana? In fondo, come lei stessa ha detto nella conferenza stampa, metà dell'aumento in atto dell'inflazione è effetto diretto del boom di gas e petrolio, mentre negli Usa l'inflazione è figlia di un eccesso di liquidità, determinato dai programmi di aiuto antipandemia. Inoltre, il 5 per cento di aumento registrato a gennaio spaventa, ma il confronto è fatto su un anno fa, quando, nel mezzo di una nuova crisi Covid, con i vaccini ancora a venire, l'inflazione era particolarmente bassa: i dati, infatti, dicono che l'aumento registrato a gennaio 2022 su dicembre 2021 è il più basso degli ultimi sei mesi. La curva, insomma, si sta effettivamente appiattendo, corroborando la tesi di chi sostiene un rientro nella normalità dei prezzi nel giro di pochi mesi.
C'è, tuttavia, un reale profumo di panico nella conferenza stampa della Lagarde e l'evidente timore di poter essere presto accusata di essere stata presa in contropiede dall'inflazione. L'ipotesi più probabile che gli equilibri all'interno del vertice del Consiglio della Bce si stiano modificando a favore di chi vorrebbe una stretta monetaria anche subito: in Germania, ad esempio, l'inflazione sta correndo più che da noi. Per l'Italia, sono pessime notizie. Un aumento dei tassi toglierebbe ossigeno ad una ripresa che sta ancora combattendo con l'ondata Omicron. Ma, già prima dell'aumento vero e proprio da parte della Bce, la sua attesa, spingendo i mercati ad allargare lo spread con i titoli tedeschi, ovvero, in buona sostanza a chiedere fin d'ora più soldi per investire sui titoli italiani, fa salire il costo del nostro debito pubblico.
Dedicare più soldi a rimborsare i debiti significa che ce ne sono di meno, ad esempio, per quello scostamento di bilancio che dovrebbe alleviare il peso sulle aziende dei costi impazziti dell'elettricità. Significa anche che potrebbe essere necessario riscrivere i numeri della manovra di finanza pubblica di quest'anno. Siamo su un terreno minato.